“Il Made in Italy da solo non basta. Serve una politica industriale seria”

A Linkiesta Festival si parla del sistema delle imprese italiane, al tempo dei dazi e delle crisi industriali

Chiunque di noi probabilmente ha avuto a che fare con loro. Pelliconi è l’azienda leader in Italia per la produzione di tappi di bottiglia. E quest’anno compie 80 anni di storia. Chi meglio di loro conosce come funziona oggi il Made in Italy? «Le aziende italiane devono fare molta attenzione. Il Made in Italy è una grande piattaforma di lancio, ma non ci si può più solo basare sul fatto di essere in Italia», avverte Marco Checchi, amministratore delegato di Pelliconi, intervenuto a Linkiesta Festival. «Bisogna che l’imprenditoria italiana faccia il salto in avanti per emergere nei mercati mondiali». Ma attenzione, aggiunge, «serve una politica industriale strutturale e non solo mettere toppe di tanto in tanto. Il governo dovrebbe sostenere le aziende e quindi il Made in Italy in maniera moderna e non più solo romantica».

Certo nascondersi dietro l’idea romantica del Made in Italy non basta soprattutto, davanti ai dazi imposti dagli Stati Uniti, che colpiscono i prodotti lattiero-caseari italiani. «Le nostre imprese avrebbero bisogno di sostegno, ma non solo in questo momento», dice Giuseppe Mazzarella, delegato all’Internazionalizzazione di Confartigianato Imprese. «Prendiamo ad esempio la tracciabilità per far sapere al consumatore che se compra italiano compra il prodotto qualitativamente superiore a quello fatto negli Usa o in Messico, che magari si chiama parmesan. Ma la tracciabilità non è obbligatoria in Italia». Non solo. «Le piccole imprese sono attente già da molti anni alla sostenibilità. Non licenziamo, non delocalizziamo. Chiediamo solo un minimo di attenzione da parte dei governi. Molte volte la politica dovrebbe accettare di dialogare con le rappresentanze del mondo imprenditoriale, soprattutto con le medie e piccole imprese. L’anno scorso hanno aperto 300 nuove imprese artigiane al giorno. Vale a dire 900 nuovi dipendenti al giorno».

Il governo dovrebbe sostenere le aziende e quindi il Made in Italy in maniera moderna e non più solo romantica

E in una economia vocata all’export come quella italiana, bisogna spingere verso gli accordi commerciali con gli altri Paesi, proprio in un momento in cui sembra vincere il protezionismo. «Servono più accordi e meno colpi di dazi reciproci», spiega Patrizia Toia, europarlamentare e vicepresidente della Commissione Ue per l’industria, la ricerca e l’energia. «Se si va avanti a colpi di dazi reciprocamente, ci si fa molto male». Toia fa accenno, ad esempio, all’accordo negoziato qualche settimana fa tra Europa e Cina per la tutela di 100 prodotti, di cui 25 sono italiani. «Sono prodotti che saranno protetti da contraffazioni e imitazioni. È un ottimo risultato. Questo grazie a un accordo».

Ma come far conoscere il Made in Italy all’estero? «Servono incentivi alle aziende italiane per poter andare all’estero, investimenti per incentivare gli investitori ad arrivare in Italia e infine anche per attrarre turismo», dice Mattia Mor, deputato e membro di Italia Viva. «Sono i turisti che vengono e portano in giro il Made In Italy. L’Expo di Milano è stato uno strumento di questo processo».

E poi serve stare al passo della veloce trasformazione digitale in atto. Stefano da Empoli, autore di Intelligenza artificiale: ultima chiamata, a Linkiesta Festival ha spiegato come le imprese italiane possano sfruttare il mix tra cooperazione e competizione che le distingue, oltre che la gestione familiare diffusa, per fare il grande salto per la adozione delle tecnologie. «Soprattutto ora che i costi si sono abbattuti», ha ribadito. Tecnologie come la blockchain e l’intelligenza artificiale potrebbero proprio sostenere quella tracciabilità e conformità dei prodotti che sono centrali per il Made in Italy. Gli elementi per prendere il volo ci sono, basta saperli cogliere. Anche quando all’orizzonte incombono i dazi.

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