Non solo HalloweenJoker, quella maschera vuota diventata il nuovo Dio della ribellione

Da Hong Kong al Cile fino al Libano, sono apparse immagini di manifestanti in piazza che emulano il “Joker” del film di Todd Phillips. Questo volto nuovo riunisce in sé tutte le maschere della rabbia e della vessazione, ma senza possibilità di redenzione

«Con un Joker da record al botteghino e Halloween alle porte, sembra inevitabile che folle di appassionati di cinema si vestano come clown assassini per i vari festeggiamenti». Questo è più o meno l’incipit di un articolo che ho letto un paio di giorni fa sul sito di Cnn sulla protesta di Hong Kong.

L’articolo approfondiva le dinamiche di un processo di ribellione che va avanti da quattro mesi in cui l’uso delle maschere in generale ha un peso maggiore o semplicemente diverso ma dove, tuttavia, la maschera del nuovo Joker del film di Todd Phillips, acclamato vincitore del Leone d’oro all’ultimo Festival di Venezia, ha fatto ben presto la sua comparsa evidenziando una sorta di desiderio di trovare un gemellaggio tra società malate. Quasi a voler sottolineare che Hong Kong non è poi così distante da Gotham City.

Non a caso uno dei fotografi attivi nel coprire le notizie della protesta, Deacon Lui, ha recentemente postato sui social una sua foto in cui tiene la testa fuori dal finestrino di un tram, con la faccia dipinta da Joker illuminata dalle luci al neon della città. «Is it just me or is it getting crazier out there?», scrive nel post citando una delle frasi topiche del film.

No, purtroppo. Non è il solo. Ci sono altre fotografie scattate tanto a Hong Kong quanto in Cile, in Bolivia, a Beirut che stanno facendo il giro del mondo. Ne ricordo una in cui il volto di Joaquin Phoenix e la scritta “Sonríe y pon tu mejor cara” (“Sorridi e indossa la tua faccia migliore”) fanno da sottofondo ai giovani cileni che protestano per strada. In un flimato si vede un manifestante cileno vestito da Joker balla davanti a un blindato dell’esercito. E la stessa maschera si è vista ritratta tra le fiamme di Beirut da Alain El Khoury.

Ma un nuovo, omnicomprensivo Dio della ribellione che non comprende in sé alcuna possibilità di redenzione né di soluzione né di bellezza, è proprio ciò di cui abbiamo bisogno?

I media hanno subito definito il film pericoloso perché induce lo spettatore a scambiare la vendetta per giustizia, a parteggiare per il male, per il “cattivo” schierandosi con la sua violenza in un processo di identificazione che generalmente accade con il “buono”. Il film è bellissimo, formalmente bellissimo e con una prova attoriale superlativa. Ma più che pericoloso, sarebbe da definire come irresponsabile.

Non tanto, o almeno non solo per quello spirito di banale emulazione che ha già contagiato molti individui affetti da selfite acuta. Quelle persone che trovano nei social network il loro specchio, per i quali la scala nel Bronx teatro di una scena iconica del film è diventata il ring di definizione della loro personalità. Se l’effetto si limitasse a questo, saremmo di fronte a un fenomeno sì potenzialmente globale per la capacità capillare delle piattaforme social – nel momento in cui scriviamo, solo su Instagram e limitatamente al solo hashtag #jokerstairs si contano oltre 2.000 post ma circoscritto alla sfera delle singole identità.

Qui il rischio reale, confermato dai fatti e dalle foto di questi fatti di cui ho detto, è che questo volto del nuovo Joker così pericolosamente attraente per le nostre anime stanche e vuote, riunisca in sé tutte le maschere usate sin qui dalla storia della rabbia civile, e le superi nella rappresentazione scenica di un Caos legittimato dalla società delle asimmetrie e per questo legittimo.

Siamo in un momento storico particolarmente complesso per il futuro nostro, dei nostri figli e dell’intera umanità. La complessità è data da una crisi intensa che interessa ogni aspetto delle nostre società: dalla politica alle istituzioni, dalle economie ai consumi, dalle culture alle religioni, tutto ci appare particolarmente e dolorosamente privo di valori di riferimento. In uno scenario che perpetuamente ci riflette lo stato di annichilimento della nostra coscienza non è inverosimile che si finisca per scegliere un modello che ci somigli per delusione, vessazione e rabbia, e che lo si alimenti giorno dopo giorno per accrescerlo in credibilità e potenza facendolo assurgere sino al gradino più alto, quello di guida. Ma un nuovo, omnicomprensivo Dio della ribellione che non comprende in sé alcuna possibilità di redenzione né di soluzione né di bellezza, è proprio ciò di cui abbiamo bisogno?

Non servono piuttosto visione positiva e azioni condivise? Non è essenziale piuttosto coordinare gli sforzi di ogni singola coscienza verso una nuova educazione che sia orientata al rispetto del Tutto e non alla sua totale distruzione?

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