Crisi d'identità Tra crisi d’identità (e di idee) una Spd smarrita cerca di ritrovarsi

I socialdemocratici tedeschi a un punto di svolta. Dopo le dimissioni forzate di Andrea Nahles, eletta solo un anno fa, si è aperta la votazione per il nuovo segretario. Molti candidati, molte incertezze

Michael Kappeler / dpa / AFP

La Sozialdemokratische Partei Deutschlands (SPD), lo storico partito socialdemocratico tedesco, sta attraversando da tempo una grave crisi di consenso e di iniziativa politica.

Si tratta di un processo in corso da anni, in cui si mescolano un logoramento dovuto all’essere al governo da lungo tempo, la crisi dei partiti tradizionali in Germania (e spesso in Europa) e, da ultimo, l’emergere di nuove forze politiche sulla scena.

Se già alle elezioni per il Bundestag del 2017 la SPD si è fermata poco oltre il 20 per cento, perdendo più di 5 punti percentuali rispetto al 2013, nello scorso autunno ha ottenuto risultati scarsi anche in Assia e Baviera. Alle elezioni europee non è andata oltre il 15,8 per cento, portando dopo poco tempo alle dimissioni di Andrea Nahles prima da segretaria e poi da capogruppo al Bundestag. Nahles era stata eletta alla guida del partito solo un anno prima (prima donna a ricoprire l’incarico), con oltre il 60 per cento dei consensi.

Se una leadership così giovane si è esaurita in così poco tempo, la ragione, oltre che in responsabilità personali, va rintracciata anche in un contesto più ampio. Dal 2013, il partito è al governo con la CDU di Angela Merkel. Già in precedenza, però, dal 2005 al 2009, i socialdemocratici avevano sostenuto il primo governo Merkel. Negli anni, dunque, la SPD è apparsa sempre di più come la stampella dei cristiano-democratici, riuscendo talvolta a ottenere importanti concessioni (come la legge sul Mindestlohn, il salario minimo) ma senza davvero dettare l’agenda dell’esecutivo. In alcuni casi, anzi, i socialdemocratici sono stati privati dagli alleati di Governo di temi su cui avevano puntato, si pensi alla proposta del matrimonio egualitario, poi approvata dalla CDU sul finire della legislatura per impedire che la sinistra la usasse in campagna elettorale.

Inoltre, la SPD (come accade ad altri partiti socialisti in Europa) sembra oggi in crisi d’identità: chiusa la fase della terza via (avuta con Schröder), fatica a ricomporsi come forza di sinistra tradizionale anche di fronte ai ceti tradizionalmente vicini, mentre il lungo periodo trascorso al governo non la rende una chiara alternativa. Anche per questo, i socialdemocratici hanno subìto moltissimo la concorrenza dei Verdi, un partito sicuramente progressista ma da cui differiscono su diversi temi, che però è riuscito spesso a proporsi come alternativa credibile ai partiti tradizionali, risultando la forza più votata dai giovani alle scorse europee.

In queste settimane, la SPD è impegnata in un congresso delicatissimo che avrà il compito di risollevare il partito da uno dei periodi più bui mai attraversati

In queste settimane, la SPD è impegnata in un congresso delicatissimo, apertosi dopo il ritiro di Nahles, che avrà il compito di risollevare il partito da uno dei periodi più bui mai attraversati. La maggior parte delle candidature sono state avanzate nella forma di Spitzenduos, cioè una coppia uomo-donna sul modello di quanto già iniziato dai Verdi negli scorsi anni. Contrariamente a quanto alcuni si sarebbero aspettati, non ha presentato la sua candidatura Kevin Kühnert, il giovane Jusos diventato molto popolare tra i fautori di un “ritorno a sinistra” dei socialdemocratici. Ha invece fatto molto discutere l’annuncio di Jan Böhmermann, famoso commentatore satirico tedesco, di voler concorrere come leader della sinistra.

Dopo 23 Regionalkonferenzen, si è aperto un voto online per eleggere il futuro segretario del partito, a cui hanno partecipato circa 220 mila iscritti (circa il 53,3 per cento degli aventi diritto).

Il ventaglio di opzioni e temi presentati ai Genossen era molto ampio, andando da figure attualmente nell’esecutivo come Olaf Scholz a outsider come Hilde Mattheis, parlamentare spesso in rottura con la linea del partito. In generale, il voto degli iscritti è stato molto diviso: basti pensare che la coppia più suffragata, Olaf Scholz e Klara Geywitz, non è andata oltre il 22,7 per cento, mentre già con il 16,3 per cento accedono al terzo posto il Ministro di Stato per l’Europa Michael Roth e la deputata al Landtag del Nordrhein-Westfalen Christine Kampmann, i candidati più giovani per età media che proponevano una riduzione della settimana lavorativa e una serie di misure sul clima. Poco sotto (14,6 per cento) troviamo Boris Pistorius, il Ministro dell’Interno del Niedersachsen soprannominato lo “sceriffo rosso” per l’attenzione al tema della sicurezza, in coppia con Petra Köpping, mentre si fermano al 9,6 per cento Gesine Schwan e Ralf Stegner, considerati l’ala destra della SPD.

Poiché nessuna delle coppie ha ottenuto la maggioranza assoluta, in base al regolamento del congresso si è aperto un ballottaggio, che avrà luogo fino al 29 novembre e che vedrà affrontarsi candidati in qualche modo paradigmatici del bivio di fronte a cui si trova la SPD. La già citata coppia Scholz-Geywitz, infatti, si contenderà la leadership con Norbert Walter-Borjans (ex Ministro delle Finanze della Renania Settentrionale-Vestfalia) e Saskia Esken (deputata al Bundestag), arrivati secondi con il 21 per cento.

Scholz e Geywitz hanno chiuso il primo turno in vantaggio, ma ora dovranno impedire che Borjans ed Esken aumentino il loro consenso tra gli iscritti più delusi dall’attuale direzione del partito, e che magari già al primo turno hanno votato candidati molto critici. In effetti, Olaf Scholz è un nome di peso per il congresso, ma al tempo stesso molto ingombrante: è attualmente vicecancelliere e Ministro delle Finanze, una posizione che lo rende facile bersaglio polemico per tutti gli iscritti stanchi della Große Koalition e desiderosi di un cambio di passo.

Scholz si trova a rappresentare (e in parte a essere effettivamente) un po’ tutto quello che viene criticato da larghe fette della base dei socialdemocratici

Scholz, quindi, si trova a rappresentare (e in parte a essere effettivamente) un po’ tutto quello che viene criticato da larghe fette della base dei socialdemocratici. Non a caso, nella lettera aperta in cui il comico Böhmermann annunciava il ritiro della sua candidatura (scherzosamente: in realtà non è riuscito a presentarla) il suo cognome viene storpiato in Schulz, in riferimento allo storico presidente SPD del Parlamento Europeo che ha perso le ultime politiche contro la Merkel, come a volerlo accusare di essere pienamente in linea con la classe dirigente del partito che ha portato alla situazione attuale. Nella stessa lettera, Böhmermann fa una serie di refusi voluti, tra cui “Sozialdemokartie”, per criticare la burocratizzazione della SPD, e afferma che il congresso sia stato delegittimato dal fatto che il 47% degli iscritti ha deciso di non partecipare al voto.

Scholz e Geywitz hanno più volte espresso la volontà di proseguire con la GroKo, il governo di larghe intese, fino alla fine della legislatura. Nella loro ottica, la SPD non deve far cadere l’attuale governo, ma lavorare per crescere nei sondaggi e porsi alla guida di un governo progressista nel 2021, dialogando quindi con le altre forze alternativa alla CDU.

Walter-Borjans ed Esken, invece, hanno un atteggiamento più ambiguo sulla GroKo: non hanno mai annunciato ufficialmente di volerla terminare, ma l’hanno criticata spesso, e in più occasioni hanno lamentato «l’impostazione neoliberale» avuta dalla SPD e dai suoi dirigenti, affermando la necessità di riallacciare un rapporto con i sindacati per tornare a crescere in settori sociali dove il partito ha perso molti consensi (ricevendo ad esempio l’endorsement di Kevin Kühnert). Walter-Borjans, tra l’altro, viene dal Nordrhein-Westfalen, un Land molto popoloso che potrebbe rivelarsi utile nel portargli voti, e che ha al suo interno città storicamente rosse come Colonia.

Walter-Borjans ed Esken cercano quindi di guadagnare il supporto degli iscritti che vogliono un cambio di direzione, mentre Scholz, pur affermando di non essere disposto a rifare le larghe intese tra due anni, tende ad apparire come il difensore della classe dirigente attuale. Questa dinamica è apparsa chiara ad esempio in un recente confronto TV, in cui Scholz ha affermato che la SPD per crescere deve «fare cose di buon senso, come è giusto quando si hanno responsabilità», mentre Borjans ha detto che bisogna smetterla con la filosofia del «privato che viene prima dello Stato» e ha definito poco ambiziose le proposte del partito sul Klimapaket, una serie di misure contro il cambiamento climatico.

Attualmente nella SPD si confrontano due posizioni che hanno a che fare con l’identità del partito e con uno scontro interno tra una classe dirigente ormai consumata e nuovi attori che si affacciano sulla scena

Come è evidente, il tema della Große Koalition sarà centrale nell’orientare il voto degli iscritti. Tuttavia, i candidati apertamente contrari, come la già citata Mattheis, non hanno ottenuto grandi risultati durante la prima fase. La questione, quindi, divide gli iscritti, ma non esiste una maggioranza netta a favore della fine del governo. Proprio questo potrebbe aver spinto Walter-Borjans a rimanere tutto sommato ambiguo, e a non sposare completamente la linea di chi sostiene che peggio di così non possa andare, e che quindi l’unica cosa da fare sia far crollare il governo e lavorare per una crescita sul lungo termine, senza pensare alle elezioni del 2021.

Al tempo stesso, Scholz afferma chiaramente di voler continuare a governare con la CDU fino alla fine della legislatura, ma di escludere ogni intesa con i cristiano-democratici nella prossima. Questa posizione probabilmente è determinata non solo dal voler dare una prospettiva anche ai critici della GroKo, ma soprattutto dalla consapevolezza che nel 2021 non ci sarà Angela Merkel, e il candidato SPD si troverà ad affrontare Annegret Kramp-Karrenbauer, che gode di bassissima popolarità persino tra gli stessi elettori CDU. Nelle valutazioni di Scholz, dunque, tra due anni la SPD potrà far leva anche sulla scarsa attrattività della leader del partito rivale. Ma questo ragionamento ha il limite di non considerare i Verdi, in forte crescita: se la SPD non dovesse avere i numeri, il rischio è che la prossima alleanza di Governo sia tra CDU e Verdi.

Non è chiaro se una vittoria di Walter-Borjans causerà una caduta della maggioranza, o se semplicemente questi userà le elezioni anticipate come minaccia per strappare di più agli alleati di governo. È palese, tuttavia, che attualmente si confrontano nella SPD due posizioni che più che con i prossimi due anni di Governo hanno a che fare con l’identità del partito e con uno scontro interno tra una classe dirigente ormai consumata e nuovi attori che si affacciano sulla scena. Il Parteitag che si terrà dal 6 all’8 dicembre alla Fiera di Berlino sarà chiamato a eleggere un nuovo segretario e, forse, a scegliere sul Governo, ma queste scelte avranno, sullo sfondo, il tema più ampio del rilancio di un partito che oggi sembra aver smarrito la sua funzione nella vita pubblica della Germania.

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