La lotta di classe è tornata prepotentemente a far parlare di sé. Non c’entra Marx, ma tre film usciti nell’ultimo anno – Us di Jordan Peele, Joker di Todd Phillips e Parasite di Bong Joon-ho – che, pur nelle differenze di trama, di stile, nella lontananza geografica e nell’enorme differenza di sfumature interpretative, hanno in comune il conflitto sociale nelle sue innumerevoli varietà. E lo mettono in mostra, utilizzandolo come miccia per scatenare gli eventi che caratterizzeranno l’intero film e le azioni dei loro personaggi.
È come se di colpo il cinema si fosse fatto portavoce di un’esigenza civile da raccontare. Anche se i sentori di questa esigenza narrativa erano già presenti nella Serie tv La casa di carta, dove il nemico era l’alta finanza (rappresentazione dei ricchi) e Bella Ciao riecheggiava come se bastasse cantarla per giustificare qualsiasi reato. Il nemico invisibile sembra essere la differenza, la forbice che si allarga sempre di più tra i pochi che posseggono la ricchezza e i tanti che ne subiscono l’ingiustizia che deriva dalla mancanza di soldi, sommata alla volontà di alcuni politici di nutrire il volere del popolo per dargli l’illusione di essere sovrano, ma – come scriveva Trilussa – “che nun commanna mai”.
Dopo anni in cui la piccola borghesia era la condizione minima e più abitata, dove ristagnavano i sogni e le proiezioni di vita, ora sembra essersi trasformata in un acquitrino putrido dove si rimane impantanati e tende a portarti verso il basso, verso lo spettro oscuro della povertà assoluta
Dopo anni in cui la piccola borghesia era la condizione minima e più abitata, dove ristagnavano i sogni e le proiezioni di vita, ora sembra essersi trasformata in un acquitrino putrido dove si rimane impantanati e – come le sabbie mobili – tende a portarti verso il basso, verso lo spettro oscuro della povertà assoluta. Mentre in Us i doppelgänger odiano la loro versione felice e vorrebbero vendicarsi, in Joker sembra essere l’abbandono delle classi meno agiate a rigurgitare un nuovo simbolo del male che diventa l’idolo profano da seguire, le cui azioni sono giustificate in parte dalla decadenza di una politica che si dimentica dei più bisognosi. Mentre in Parasite la lotta di classe sembra essere senza vincitori né vinti e non si riesce a definire chi siano i veri parassiti, dando al film diverse interpretazioni, anche culturalmente e moralmente distanti tra di loro.
Ma è la realtà a ispirare il cinema oppure è il cinema a catalizzare i problemi attuali? Entrambe le cose, in un do ut des di cui si nutrono a vicenda (parassiti anche loro?). Il successo al botteghino (e di critica) non fa altro che fomentare come un moto rivoluzionario questa nuova rappresentazione scenica della voce del popolo che sembra essere arrivato a un punto di rottura. Anche se è dai tempi di V per vendetta che una rivoluzione idealizzata in un film (molto prima in un fumetto) ha avuto riscontri nella realtà, come ad esempio l’utilizzo della maschera di Guy Fawkes che è diventata simbolo di diverse proteste, come quella degli Indignados.
È come se il mondo stesse attraversando un periodo di rabbia globale frutto di tante piccole catastrofi e fallimenti individuali, alimentata anche della modernità e delle sue illusioni di uguaglianza.
Anni fa in Italia c’è stata l’ascesa e il declino (in un lasso di tempo abbastanza breve) del Movimento dei Forconi che, per qualche istante, aveva cercato di immobilizzare il Paese, oppure oltralpe dove il Movimento dei gilet gialli verrà ricordato – oltre che per la protesta – anche per le numerose azioni violente, gli scontri e i blocchi al traffico che hanno tenuto in scacco la Francia. È come se il mondo stesse attraversando un periodo di rabbia globale frutto di tante piccole catastrofi e fallimenti individuali, alimentata anche della modernità e delle sue illusioni di uguaglianza.
Ora si percepisce un moto rabbioso soprattutto in Sudamerica, dove il Cile è diventato il centro di una ribellione senza un colore politico forte (diciamo che la politica tenta di tingere le azioni dei loro colori per far proprio il malessere generale e guadagnare consensi) che sta continuando, senza riuscire a far capire quali siano le reali. Salute? Trasporti? Stipendi? Anche, ma non solo. Il Cile era fino a qualche mese fa un paese modello nell’economia in cui sembrava esserci un futuro roseo. I cileni usciti da una situazione di povertà, però, non accettano di non godere del benessere che c’è in altri paesi a cui si sono affacciati e con cui vogliono confrontarsi.
Sembra che ci sia una globale attrattiva verso il buco nero dell’insuccesso per contrastare invece chi gode del successo. D’altronde esiste un corto circuito sociale: ad esempio in molti posso comprarsi – magari a rate – lo stesso cellulare del presidente degli Stati Uniti (sperando, però, che utilizzino i social meglio di lui). E quindi: perché non provare a prendersi tutto?