Europa sovranistaVox vola, così la Spagna diventa (anche) antifemminista

L’antifemminismo è uno dei tre capisaldi della proposta di Vox e del suo leader Santiago Abascal insieme alla lotta all’immigrazione e alla difesa dell’unità nazionale spagnola contro il separatismo catalano

Al di là del risultato e dei suoi effetti sulla tumultuosa scena politica spagnola, il risultato della destra di Vox (15,1 per cento, 52 seggi contro i 24 ottenuti appena sette mesi fa) porta alla luce l’appeal popolare di una linea ideologica piuttosto comune ai sovranismi, ma solo a Madrid esplicitata con nettezza nei programmi e nella campagna elettorali: l’aperta opposizione al femminismo, alle norme che sostengono i diritti delle donne e persino alle leggi studiate per limitare e punire la violenza domestica.

L’antifemminismo è uno dei tre capisaldi della proposta di Vox e del suo leader Santiago Abascal insieme alla lotta all’immigrazione e alla difesa dell’unità nazionale spagnola contro il separatismo catalano. In gennaio, in Andalusia, la prima condizione posta da Abascal per un accordo con i Popolari di Pablo Casado, fu proprio l’abolizione della legge regionale sulla violenza di genere, giudicata strumento delle “femministe suprematiste” – la definizione alternativa spesso usata è nazi-femministe – che “denunciano ingiustamente gli uomini per violenze mai subite”. Successe un putiferio, le spagnole invasero cento municipi per protesta al grido di “Nessun passo indietro”, e tuttavia i Popolari aprirono la trattativa e accettarono la condizione, ritenendola poco più di un danno collaterale rispetto ai vantaggi di un’intesa sul governo locale.

Quanto del successo dei sovranismi europei è collegato a questo tipo di narrazione? Molto, moltissimo. L’idea protettiva di un ritorno ai vecchi tempi, con la donna a casa per sostituire il welfare pubblico ormai zoppicante e l’uomo padrone assoluto dello spazio pubblico, suggestiona non solo gli spagnoli maschi ma anche l’elettorato femminile, forse perché risponde alla sua enorme stanchezza nella battaglia per l’autosufficienza, la parità e la possibilità di autodeterminazione. In uno degli spot più popolari della campagna di Vox alcune giovani donne contestano il “burqa ideologico del femminismo” nelle sue diverse declinazioni (aborto, critica al patriarcato, criminalizzazione degli uomini), facendo corona a Rocio Monasterio, l’architetta quarantenne che guida il partito a Madrid: una donna dalla biografia misteriosa – non si sa nemmeno se sia nata a Cuba o in Spagna – e in apparenza tutt’altro che sottomessa, capace di dare un volto giovane e assertivo a proposte che disegnano una gran rimpianto per gli equilibri domestici degli anni ’60.

L’idea protettiva di un ritorno ai vecchi tempi, con la donna a casa per sostituire il welfare pubblico ormai zoppicante e l’uomo padrone assoluto dello spazio pubblico, suggestiona non solo gli spagnoli maschi ma anche l’elettorato femminile

La sintonia con le posizioni proposte in Italia dal fronte di Simone Pillon o in Gran Bretagna dall’Ukip di Nigel Farage è evidente, così come l’affinità con la cultura tradizionalista di Viktor Orban e dei leader di Viesegrad. Tuttavia solo in Spagna la sfida al femminismo è epicentro del racconto sovranista e solo lì la definizione “antifemminismo” è diventata moneta corrente. È possibile, forse probabile, che il successo di Abascal inviti anche gli altri a osare di più, a scommettere con maggior forza su questo tipo di messaggio, marginalizzando il sovranismo laico e modernista di Marine Le Pen, forse la sola nel panorama europeo ad aver scansato come la peste ogni suggestione di retroguardia sui diritti e ogni tentativo di mettere in discussione le leggi sull’aborto e sulle unioni civili.

Leggere con questo filtro i risultati spagnoli significa anche riflettere sulle novità che emergono nel campo politico dei diritti delle donne. Anche lì come altrove l’esigenza di protezione sta prendendo il sopravvento sul desiderio di libertà che fu la prima cifra dei movimenti femministi e ne determinò il travolgente successo: negare questo dato, o peggio continuare a utilizzare vecchi slogan e vecchi occhiali ideologici per giudicare la realtà, significa tagliarsi fuori dal gioco. Chi immagina di costruire barriere al sovranismo sulle trincee di battaglie di assoluta minoranza (dalla gestazione per altri al dirittismo sulle transizioni di genere adolescenziali) compie un errore fatale. Chi pensa sia sufficiente per tenere la barricata la difesa delle conquiste dei Settanta e degli Ottanta, con la denuncia di chi le minaccia, perderà la partita. Questa suggestione nostalgica (o reazionaria, come si sarebbe detto una volta), l’idea che le donne “stavano meglio prima”, sta facendosi strada in modo insidioso e pervasivo nelle opinioni pubbliche più provate dalla crisi: è un problema nuovo, servono risposte nuove.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter