Alla faccia dei no-vax: Ilaria Capua ci racconta come Jenner inventò il vaccino e salvò milioni di vite

Nel suo ultimo libro “Salute circolare. Una rivoluzione necessaria” (Egea) la virologa italiana ripercorre le tappe della storia della medicina per arrivare alla rivoluzione che si prepara: quella del digitale

Tobias SCHWARZ / AFP

Ricapitoliamo: a un certo punto ci si rende conto che le malattie non derivano da imprecisati ed evanescenti miasmi, ma da «veleni» costituiti da particelle estremamente piccole.
Questi veleni però sono animati, perché sono in grado di trasmettersi ad altri soggetti recettivi; poi, attraverso le lenti meravigliose di van Leeuwenhoek, iniziano ad assumere contorni e forme. Ad arrivare fino a qui, partendo da Fracastoro, ci abbiamo messo circa duecento anni, ma difendersi da virus e batteri è tutta un’altra storia. Lo stesso concetto di difendersi in modo attivo non era mica facile da sviluppare, specialmente se si considera che proteggersi contro qualcosa di invisibile è, concettualmente e praticamente, difficilissimo da concepire prima, da immaginare poi. Per quello ci vorranno quasi altri cento anni dopo la scoperta di van Leeuwenhoek, quando un medico e naturalista britannico, Edward Jenner (1749-1823), introduce la pratica della vaccinazione.

Contro il vaiolo, una delle malattie più pericolose.
Diciamo che però aveva un pregio: il vaiolo – quel mostro che sfigura i volti e deturpa i corpi e gli spiriti, e ha tassi di mortalità altissima – è un nemico abbastanza semplice da capire. è un virus che si comporta da virus, un tipo regolare: e nel suo essere regolare c’è anche il fatto che se ti ammali una volta e sopravvivi all’infezione poi diventi immune, salvo, protetto. Si tratta quindi di comprendere meccanismi che oggi ci appaiono tutto sommato semplici e abbastanza solidi, ripetitivi: è una malattia mortale che ti pone di fronte allo scontro finale – il duello. Se le sopravvivi una volta, poi non potrà mai più colpirti. E questo ai tempi di Jenner era già stato intuito, tanto che ci si era inventati un metodo: quello di provocare a scopo preventivo delle piccole infezioni controllate, tramite il procedimento noto come variolizzazione.

Io credevo che fosse Jenner il padre delle procedure di immunizzazione.
Sì e no. Già Voltaire descrive la terapia preventiva del vaiolo praticata dai Circassi, gli abitanti di una regione del Caucaso settentrionale. Questi si erano accorti che il vaiolo colpisce una sola volta nella vita e immunizzavano i bambini già all’età di pochi mesi. I turchi adottarono lo stesso costume, che diventò pratica comune nella città di Costantinopoli. In Inghilterra l’innesto volontario del vaiolo viene introdotto grazie all’opera di un medico di origine greca, Emmanuel Timoni (1670-1718), e alla lungimiranza di Lady Mary Wortley Montagu (1689-1762), che assieme al marito, ambasciatore a Costantinopoli, aveva osservato i benefici della variolizzazione tanto da applicarla ai propri figli. Tecniche analoghe erano del resto diffuse da secoli nelle Isole Ionie, nell’Istria e nei territori confinanti con la Grecia, e larga eco ne era giunta anche a Venezia e persino in Cina. Quindi un po’ già si era capito.

Aspetta un attimo, hai accennato a Lady Mary Wortley Montagu: qui finalmente abbiamo una protagonista donna nella nostra storia?
Già, introducendo l’inoculazione del vaiolo in Inghilterra, Lady Mary ebbe un ruolo non da poco nella storia della salute occidentale, anche se, ahimè, non le è stato riconosciuto spesso. Fu una donna coraggiosa che viaggiò moltissimo, come ci testimoniano le tante lettere che scrisse durante la sua vita e che la resero particolarmente famosa, non sempre in modo positivo purtroppo. Nel Settecento e nell’Ottocento, infatti, Lady Mary fu attaccata e criticata per la libertà di pensiero ed espressione che troviamo nelle sue lettere. In esse ci descrive una vita quasi fosse una parabola romanzesca: l’amore per la scrittura sin da fanciulla; la fuga e il matrimonio contro la volontà paterna; l’ascesa nella società politico-intellettuale inglese; il soggiorno, accanto al marito ambasciatore, a Istanbul, da dove importerà il metodo di immunizzazione dal vaiolo; e infine la deludente relazione con il letterato Francesco Algarotti. Insomma, Lady Mary fu in grado di uscire dagli schemi culturali del suo tempo, da una prospettiva nuova, tutta femminile. E proprio la tecnica dell’innesto la fece diventare una delle protagoniste della storia dell’immunizzazione.

Chissà se già all’epoca c’erano i no-vax.
Ci arriveremo.

Sintesi numero uno del dottor Jenner: una malattia dell’uomo può essere prevenuta attraverso un virus delle mucche. Sintesi numero due: quel materiale infetto può essere prelevato da mucche infettate appositamente

Come nasce la variolizzazione?
Ciò che colpisce in questa storia è che l’esercizio dell’inoculazione avviene sulla base di informazioni e dell’esempio forniti dalla gente comune, ed è formidabile che si diffonda anche in Europa superando barriere linguistiche, religiose e culturali. E si diffonde semplicemente perché funziona. Il «favoloso innesto», come lo definisce Giuseppe Parini nella sua quinta ode, ci fa capire che l’inoculazione è percepita come un qualcosa di meraviglioso e magico – e in effetti, per chi ha paura di quella malattia piena di eruzioni e che lascia il segno indelebile, lo è, quasi un miracolo. Il che non va considerato necessariamente un limite, anzi proprio il fatto di avere questo alone di meraviglia nella pratica diventa un vantaggio nell’opera di coinvolgimento dei ceti più poveri che vivono nei villaggi e nelle campagne, illetterati e impauriti di fronte a un morbo che quando passa ci lascia sempre la firma.

Se la variolizzazione funziona, che bisogno c’è del vaccino?
Queste inoculazioni un po’ estemporanee e poco standardizzate effettivamente proteggono, ma possono anche farti stare molto male o spedirti sotto terra: una soluzione decisamente carente dal punto di vista dell’innocuità dell’intervento…

È qui che entra in scena Jenner.
Jenner osserva che c’è un’altra popolazione che sembra essere resistente al vaiolo: quella dei mungitori di vacche. Ma soltanto quelli che si sono presi un’infezione sulle mani, che di sicuro deriva da strane lesioni sulla cute dei capezzoli delle vacche in lattazione. Ecco: lui riesce in qualche modo a intendere che un virus «parente», anche se proveniente da un’altra specie (un animale!), può offrire protezione clinica contro il morbo più temibile. Un’intuizione sensazionale, anche se Jenner non è certo il primo: già nel 1774 un altro medico britannico, Benjamin Jesty (1736-1816), aveva vaccinato la sua famiglia e prevenuto la malattia, ma non era stato in grado di verificare le sue scoperte attraverso il metodo scientifico e non le aveva divulgate.

Cosa che invece fa Jenner.
Nel 1798 Jenner pubblica sotto forma di lettera al suo amico Caleb Hillier Parry (1755-1822) – a proprie spese, dopo che la Royal Society si è rifiutata di farlo – An Inquiry Into Causes and Effects of the Variolæ Vaccinæ. La grandiosa scoperta è che una malattia dell’uomo può essere prevenuta tramite la somministrazione preventiva di materiale infetto prelevato, nientepopodimeno che da un animale. Entro più nel dettaglio, perché questa scoperta infrange tabù, sradica certezze e distrugge argini: peggio di uno tsunami. Sintesi numero uno del dottor Jenner: una malattia dell’uomo può essere prevenuta attraverso un virus delle mucche, noto nel Regno Unito come cowpox. Sintesi numero due: quel materiale infetto può essere prelevato da mucche infettate appositamente. Tre rivelazioni in un colpo solo: i vaccini eterologhi (e qui gli va anche bene, anche perché i Poxvirus si prestano), una malattia che si trasmette dagli animali all’uomo (malattia dei mungitori) e un metodo per salvare l’umanità da una delle piaghe peggiori. Con un unico tiro segna tre gol. E lo fa di nuovo mettendo in correlazione salute degli animali e salute dell’uomo.
Quasi a voler far sì che anche noi generazioni del terzo millennio non ci dimentichiamo di questo incredibile incrocio tra la nostra salute e quella degli animali, il dottor Jenner usa la parola vaccino (che deriva dal latino vacca). Un termine che nel tempo ha esteso il suo significato originale per arrivare a indicare, nel linguaggio medico, un preparato che si somministra a un organismo per stimolarlo a produrre difese specifiche, cioè ad acquisire un’immunità attiva.
Questa intuizione geniale e coraggiosa, quasi oscena per la mentalità dell’epoca, sarà poi approfondita da Jenner negli scritti dei tre anni successivi (Further Observations on the Variolæ Vaccinæ, A Continuation of Facts and Observations relative to the Variolæ Vac­ cinæ e The Origin of the Vaccine Inoculation), che rivoluzionano in maniera definitiva la storia della medicina e della salute pubblica.
È una rivoluzione che mette in discussione e sostanzialmente stravolge le teorie dell’epoca, ottenendo subito un’ampia risonanza: pensa, i lavori di Jenner appaiono in italiano già nel 1799. Una scoperta che coglie impreparati gli stessi colleghi della Royal Society, anche perché va sostanzialmente contro quella distinzione e separazione tra le specie viventi su cui si sono esercitati gli studiosi nei loro tentativi di classificazione. Insomma, sta per passare un bulldozer sopra agli orticelli dei singoli settori disciplinari e, come per magia, emergono delle gigantesche aree di ricerca fino ad allora sconosciute. Tipo l’immunologia.

In effetti a prima vista sembra una teoria quasi incredibile.
Proprio così, tant’è che le idee del coraggioso Jenner all’inizio sono così innovative da essere rigettate come «troppo rivoluzionarie». E secondo me ci sta pure. Provate solo a mettervi nei loro panni: un uomo che propone di usare materiale infetto prelevato da un animale ammalato come strumento per proteggere degli umani da una malattia diversa? Pura fantascienza, ma funziona proprio così. Guarda un po’, la soluzione che ha spalancato le menti alla vaccinazione stava nascosta nei capezzoli delle mucche.

da Salute circolare. Una rivoluzione necessaria, di Ilaria Capua, Egea (2019)

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