L’impero di ArnaultEcco come Lvmh si è mangiato il mercato del lusso e perché non ha intenzione di smettere

L’acquisto di Tiffany è solo l’ultimo atto di una politica aggressiva di acquisizioni che ha reso il gruppo francese il leader mondiale nel settore. Da solo ha il 18 per cento del mercato, e in Italia fa da padrone. Nel 2017 ha fatturato 893 milioni. Il doppio del suo primo concorrente

STEPHANE DE SAKUTIN / AFP

Per Lvmh l’ultima colazione da Tiffany è costata un po’ troppo: 14,7 miliardi di euro. Una cifra importante, ma non proibitiva per la multinazionale francese valutata 220 miliardi di dollari che solo nel 2018 ha venduto beni per 46,8 miliardi di euro. Un tempo quelle quattro lettere rappresentavano solo due aziende francesi: Louis Vuitton per la moda e Moët Hennessy per il vino. Ora con 4592 negozi e oltre 156mila dipendenti nel mondo Lvmh vale da sola il 18% del mercato mondiale del lusso. Il merito è tutto del francese Bernard Arnault, ceo dal 1988 e azionista di minoranza assoluta che negli ultimi 20 anni ha attuato una politica aggressiva per acquisire i marchi più prestigiosi. Alta moda, orologi, liquori, alberghi di lusso, catene di negozi, gioielli.

Boccone dopo boccone, Lvmh ha mangiato 75 grandi marchi tra cui Bulgari, Christian Dior, Fendi, Givenchy, Sephora, Hublot, TAG Heuer. Per far deglutire bene l’acquisto costoso di Tiffany & Co, il 30 novembre Lvmh ha acquisito il 55% di Chateau d’Esclans, azienda leader del vino rosato della Provenza. In questi casi non potevano bastare le casse di champagne Dom Perignon e Krug, già nel portafoglio della multinazionale. Forse serviranno per brindare all’aumento del patrimonio personale di Arnault che grazie all’operazione Tiffany ha aggiunto altri 2,85 miliardi di dollari. È diventato il secondo uomo più ricco del mondo dopo Bill Gates.

Almeno in Italia non c’è partita: Lvmh è il padrone del mercato di oggetti di lusso. Nel 2017 ha fatturato 893,2 milioni di euro. Il secondo in classifica, Rolex, non arriva neanche alla metà con 426,8 milioni di euro (dati Truenumbers). Non c’è giornale o televisione che non ospiti almeno una volta al giorno una pubblicità di un prodotto del gruppo francese che ha circa 50 milioni di euro a disposizione ogni anno solo per il portafogli Lvmh. Se invece consideriamo il budget per tutte le sue controllate, secondo Statista, la piattaforma globale di dati aziendali, negli ultimi cinque anni la spesa per pubblicità di Lmvh è cresciuta di due miliardi di euro. Dai 3,310 spesi nel 2013 ai 5,52 nel solo 2018. Da grandi marchi derivano grandi spese per continuare a farli conoscere ai consumatori. ​

Nel 2018 le vendite di Lvhm sono aumentate del 10% rispetto all’anno precedente, l’utile del +18% (6,3 miliardi di euro). Numeri che hanno dato coraggio ad Arnault di osare: comprare Tiffany & Co a 130 dollari per azione, dieci in più dell’offerta che l’azienda statunitense aveva rifiutato un mese prima. Alla fine 14,7 miliardi sono diventati una proposta indecente per la maison di gioielli che ad agosto valeva 80 dollari per azione. La proprietà americana era riuscita a rimanere indipendente dal 1837, ma i gioielli di Tiffany non brillano più come nel 1961, quando Audrey Hepburn in tubino nero e occhiali da sole a goccia la rese immortale.

E così Arnault da buon squalo è riuscito a ottenere due risultati con una gioielleria. Primo: è rientrato di prepotenza nel mercato del lusso americano dopo la vendita Donna Karan, la casa di moda Usa ceduta nel 2017 perché le vendite non erano pari alle attese dopo la morte della stilista fondatrice. L’acquisto esoso di un’azienda in calo negli ultimi anni per poca domanda interna ed estera è il dazio dovuto per ingraziarsi Donald Trump ed evitare dazi, sui prodotti europei del gruppo. I due che si conoscono da quando erano promotori immobiliari nella New York dei primi anni Ottanta, a metà ottobre erano tutti sorrisi all’inaugurazione della terza sede di Louis Vuitton negli Stati Uniti. Un investimento da 50 milioni di dollari a Rochambeau, un ranch poco a sud di Dallas, nel Texas, e la promessa di aumentare da 150 a mille il numero di dipendenti nei prossimi cinque anni sono i due motivi per cui Trump ha fatto addirittura salire sull’Air Force One Arnault e suo figlio Alexandre. Quest’anno Lvmh ha creato anche da zero la casa di lusso Fenty in collaborazione con la cantante delle Barbados Rihanna.

Secondo, anche se per ora il reparto gioielleria e orologi di Lvmh garantisce solo il 9% del fatturato, ha ampi margini di crescita. Già solo con l’acquisto di Tiffany il fatturato raddoppierà al 16% e l’obiettivo è assecondare il mercato asiatico in crescita. Da tempo il gruppo Lmvh ha puntato sull’Asia dove ha più negozi che nel resto del mondo: 1289 contro i 1153 europei (esclusa la Francia) e 783 negli Stati Uniti. I milionari cinesi sono più sensibili dei paperoni europei al fascino delle confezioni blu di Tiffany che per questo ha puntato da alcuni mesi ad ampliare la sua rete di negozi al dettaglio in Cina.

In generale la mossa non sembra così avventata perché a livello mondiale il mercato della gioielleria è aumentato del 7% in un solo anno. Il segnale è chiaro: quando l’economia mondiale è instabile, i più ricchi corrono verso il bene rifugio per eccellenza: l’oro. Così dopo aver comprato l’italiana Bulgari nel 2011, Lvmh è diventando grande abbastanza per competere con il Richemont. Il gruppo Richemont è proprietario di Cartier, la maison gioielliera numero uno al mondo e a settembre ha riacquistato la gioielleria italiana Buccellati dai cinesi della Gangtai holding a cui l’aveva venduta due anni fa. Gli eserciti si preparano alla guerra assoldando soldati perché Il mercato dei gioielli è una prateria da colonizzare: il settore è meno agguerrito dell’abbigliamento, ci sono poche aziende dominanti, la clientela è più fedele. E soprattutto rispetto a tutti gli altri settori del lusso offre una crescita media più alta.

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