È tanto banale quanto retorico, ma è anche profondamente vero: un piccolo passo per l’uomo può essere un grande passo per l’umanità, come è stato detto per l’uomo sulla Luna. È stato così anche il 6 febbraio del 2018, quando, in Florida, a Cape Canaveral, luogo simbolo della conquista spaziale, la SpaceX del funambolico Elon Musk è riuscita nel lancio del Falcon Heavy, progettato – come riporta anche Wikipedia – «per portare astronauti verso l’orbita terrestre bassa e ripristinare la possibilità di raggiungere la Luna e, in futuro, Marte. Il carico trasportabile dal lanciatore è più o meno lo stesso del Saturn C-3, progettato nel 1960 per lo scenario di rendez-vous in orbita terrestre». Il razzo Saturn (il V, con un’altezza di 110,6 metri e un diametro di 10,1 metri è stato il modello fisicamente più grande mai prodotto della famiglia di razzi Saturn), dettaglio non da poco, è poi il modello che ha contribuito, nel 1969, a portare Neil Armstrong e «soci» sulla Luna. Per un rilancio del settore aerospaziale in grande stile.
Tutti i razzi – sia i Saturn che il Falcon Heavy – sono alimentati da tradizionale carburante liquido, il che significa che un viaggio con questa tipologia di propulsione porterebbe un equipaggio su Marte all’incirca in nove mesi; che però sono reputati troppi – nove mesi – per un equipaggio umano in considerazione dei rischi potenziali tra radiazioni cosmiche, solari e pericoli vari. Ecco quindi che NASA, altre agenzie spaziali, mondo universitario e industria privata internazionale stanno progettando propulsioni missilistiche alternative.
Quella elettrica è in via di sviluppo già dal 2015, con la NASA che, attraverso il programma Next STEP (Space Technologies for Exploration Partnerships), ha sovvenzionato tre startup – Ad Astra Rocket Company (Web- ster, Texas), Aerojet Rocketdyne (Redmond, Washington) e MSNW (Redmond, Washington) – per sviluppare sistemi di propulsione elettrica solare (SEP), con l’obiettivo di costruire una stazione spaziale orbitante attorno alla Luna come «area di servizio» verso il passo successivo: Marte.
La strada è ancora lunghissima perché se i sistemi SEP sono già una realtà, parliamo comunque di dimensioni «minuscole» rispetto alle esigenze aerospaziali. L’affare si fa ancora più fantascientifico dicendo che queste tre startup stanno sviluppando il progetto utilizzando ioni o plasma. La questione si fa complicata: invece di espellere i gas di combustione che producono spinta, i propulsori ionici applicano la forza per muovere il razzo ionizzando un gas inerte come xeno o idrogeno attraverso una carica elettrica. Questo elimina gli elettroni dagli atomi, creando ioni con carica positiva. Il gas risultante consiste di ioni positivi e elettroni negativi, in altre parole, plasma. I campi elettrico-magnetici vengono quindi utilizzati per direzionare il plasma come fornitore di spinta. Il meccanismo è lo stesso di quello che in qualche maniera fa funzionare anche le tv – per l’appunto – al plasma. Ma è già realtà, tanto che già nel 2015 hanno alimentato la sonda Dawn della NASA in un’orbita attorno al pianeta nano Cerere, che si trova nella fascia di asteroidi tra le orbite di Marte e Giove.
Singularity fa notare che un veicolo spaziale a propulsione ionica può raggiungere velocità molto maggiori rispetto ai motori convenzionali. In quale ordine di misura? Tipo che il vecchio Space Shuttle raggiungeva una velocità di 18mila miglia all’ora e una futura nave spaziale potrebbe andare a oltre 200mila miglia all’ora. Ovvero, più semplicemente, significa andare su Marte in meno di 40 giorni! Però siamo chiaramente ancora agli albori della sperimentazione.
L’ESA – l’Agenzia spaziale europea – dal canto suo sta testando un altro tipo di propulsore ionico che non sarebbe utile per un veicolo spaziale a lungo raggio ma funzionerebbe alla grande per alimentare satelliti a bassa orbita – oltre le 300 miglia di quota – o aerei attorno alla Terra o anche su pianeti come Marte dove attingerebbe gas – anidride carbonica – direttamente nell’atmosfera.
Fantascienza per fantascienza, ben oltre – perché siamo ancora soltanto alla teoria (ed estrema per giunta) – si spinge un sistema di propulsione elettromagnetica che non utilizza alcun tipo di propellente! È l’EmDrive immaginato dagli scienziati della NASA, che crea una spinta facendo rimbalzare le microonde in una camera chiusa, portandoci teoricamente su Marte in due mesi! Però c’è un piccolo ostacolo: va contro la terza legge della meccanica classica di Isaac Newton («per ogni azione c’è una reazione uguale e contraria»).
Ha pensato alla tecnologia di propulsione a microonde anche la Escape Dynamics del Colorado qualche anno fa. Lo ricorda Singularity. Il progetto prevedeva di alimentare il motore elettromagnetico di un’astronave attraverso le microonde, che riscaldando il combustibile a idrogeno, una volta espulso avrebbe prodotto la spinta necessaria. Un prototipo aveva addirittura dato qualche segnale incoraggiante ma l’azienda nel 2015 è stata costretta a interrompere il progetto a dir poco rivoluzionario perché non è riuscita a raccogliere ulteriori fondi di ricerca.
A prescindere dal grado di fantascienza che c’è nella ricerca di una propulsione alternativa a quella tradizionale e all’altrettanto idea fantascientifica di atterrare su Marte con un novello Neil Armstrong, va detto che c’è stato un giorno lontano dove l’uomo immaginava fantascientifico anche fare quel piccolo passo sulla Luna! Perciò bisogna soltanto crederci.