«Deve essere chiaro che noi non ci prestiamo a questi giochetti politicisti»: Emanuele Fiano non ha molto altro da dire al cronista. Il Pd si tira fuori da questa improvvisa e apparentemente inspiegabile chiamata al senso nazionale da parte dell’uomo che chiedeva pochi mesi fa pieni poteri. E tuttavia al Nazareno se lo chiedono, però, perché Matteo Salvini se ne sia uscito con una proposta di un “tavolo comune” che poi è addirittura tracimata nella suggestione di un governo di unità nazionale (Giorgetti ha speso pure il nome di Draghi). Già, perché?
«Lui è in difficoltà, si rende conto che molto probabilmente in Emilia perderà e che questo allungherà la vita del governo fino al semestre bianco – spiega Fiano – e quindi cerca di uscire dall’angolo». In effetti, come avevamo scritto qualche giorno fa, il “racconto” salviniano, dall’immigrazione alla giustizia-fai-da-te, è andato via via esaurendosi tanto che l’ex capo del Viminale ha dovuto ripiegare su una fallimentare “campagna” come quella sul Mes finita inevitabilmente nel nulla. Perché non “scartare”?
Il sospetto è che Salvini abbia voluto segnalarsi come un potenziale punto di riferimento per un coacervo di forze di vario conio, dai renziani a Mara Carfagna a Paolo Romani e magari a un pezzo del Cinque Stelle, un gruppone che tagli fuori Giorgia Meloni (non a caso molto innervosita) e il Pd, un’iniziativa politica di cui sfugge tuttora l’esito desiderato ma che rappresenta comunque una mossa nel caso in cui il governo Conte, per un motivo o per l’altro, vacillasse. Che a ben vedere è una bella nemesi per l’uomo che chiede le urne un giorno sì e l’altro pure.
Ma è probabile che lo stesso Salvini si sia limitato a gettare il sasso per vedere l’effetto che fa e riconquistare il centro del ring almeno per qualche giorno, prospettando una Lega “politica” e non distruttiva – guarda caso – proprio alla vigilia della sentenza della Consulta sul suo referendum. La circostanza è stata notata al Nazareno: rebus sic stantibus il verdetto è molto incerto, e la Corte potrebbe apprezzare una svolta “moderata” dei proponenti il referendum.
Ma al di là delle dietrologie, tutto questo è evidentemente il contrario di quello per cui lavora il Pd che sia pure con affanno e nervosismo punta a rilanciare l’azione del Conte bis proprio (e soprattutto) per sgonfiare la Lega. Per questo Nicola Zingaretti quotidianamente implora Conte di raffreddare gli animi dei grillini e dei renziani. E su questo il segretario è in sintonia con l’uomo forte del partito, Dario Franceschini, che non a caso stamattina ha subito detto no alla sortita del capo leghista. Dopodiché sulla legge elettorale certo che si tratterà anche con la Lega, «ma sulle regole è sempre stato così», dicono al Nazareno.
La convinzione del gruppo dirigente dem è che il castello di carte messo su da Conte, Zingaretti e – meno – da Matteo Renzi (con l’evanescente Luigi Di Maio a fare da quarto) stia reggendo e, se la fortuna lo assiste, resterà in piedi ancora un pezzo. Ma l’odore di bruciato in ogni caso aleggia nei Palazzi e, a taccuini chiusi, il Nazareno avverte che è in grado di misurare al millimetro ogni sillaba dei renziani, sempre sospettati di qualche piano diabolico. Anche per questo, il Pd alza la saracinesca alle sirene salviniane e si tira fuori.