L’altalena delle cifre decimali del mercato del lavoro chiude il 2019 con il segno negativo, confermando le cifre arrivate dal Fmi sulla stagnazione economica del Paese. I dati Istat di dicembre certificano un calo dell’occupazione nell’ultimo mese dell’anno, con una crescita degli inattivi e il tasso di disoccupazione che aumenta di poco. Nessuna buona notizia, insomma. Tutti i posti di lavoro guadagnati tra ottobre e novembre, in pratica, sono finiti in fumo in un solo mese. E a calare a picco sono di fatto soltanto i contratti stabili (-75mila), mentre crescono quelli a termine (+17mila). Arrivando a toccare quota 3 milioni 123mila rapporti di lavoro precari, l’ennesimo record storico. L’effetto contrario, insomma, rispetto all’obiettivo del decreto dignità.
L’inversione di tendenza, che già si registrava nel rallentamento della crescita dei contratti permanenti nei mesi scorsi, a fine anno è netta. E se da un lato potrebbe rivelare l’attesa dei datori di lavoro per i nuovi incentivi previsti nella legge di bilancio 2020, dall’altro è anche un’ulteriore conferma che i paletti inseriti dal decreto dignità sui contratti a termine non hanno portato al boom sperato dei contratti stabili. Anzi.
A dicembre, l’Istat ha registrato 75mila occupati in meno, con il tasso di occupazione che scende (-0,1%) al 59,2%. Una flessione che interessa più gli uomini, ma anche le donne. Mentre il numero dei disoccupati resta quasi invariato (+2mila). A dimostrazione – se ce ne fosse ancora bisogno – che la fase 2 del reddito di cittadinanza, quella della ri-attivazione dei percettori del sussidio per la ricerca di un lavoro, non decolla affatto. Ci si sarebbe aspettato infatti un aumento positivo dei disoccupati prima inattivi, e così invece non è. Anzi, gli inattivi, quelli che un lavoro non ce l’hanno e non lo cercano neanche, a dicembre tornano a crescere (+42mila). «Da tempo, non si riscontrava una crescita contemporanea sia di disoccupati che di inattivi: in quest’ultima area, la più grande di tutta Europa, si trova una quota importante di disoccupazione non rilevata nei dati ufficiali», spiega Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio.
Ma il dato che salta più all’occhio è quello del calo netto dei contratti a tempo indeterminato: 75mila in meno in un mese, che annullano e anzi superano il dato dei +67mila stabili di novembre. Mentre sono tornati a crescere i contratti a tempo determinato (+17mila nel mese), con un calo ulteriore degli autonomi. Ormai in Italia gli indipendenti si fermano a 5 milioni e 255mila: il minimo storico dal 1977. E sul trimestre, i contratti a termine crescono più (+28mila) di quelli permanenti (+15mila). «Crescendo sempre più il numero dei lavoratori a termine, possiamo pensare che sia un’anomalia o che forse sia la nuova normalità di un mercato del lavoro che sta cambiando», spiega Francesco Seghezzi, presidente della Fondazione Adapt. «Bisogna forse iniziare a pensare che dobbiamo riorientare la struttura del mercato del lavoro, tutele comprese, verso un mercato che non è più quello dell’Italia industriale».
I dati che arrivano da Istat riflettono sul mercato del lavoro, seppure tardivamente, l’andamento stagnante del Pil italiano. Un effetto che che gli esperti si attendevano da mesi. «Quel che risultava anomalo nei mesi scorsi era che l’occupazione, soprattutto quella stabile, continuasse a crescere, seppure a ritmi sempre più ridotti. E in effetti si trattava di una crescita non di teste, ma non di ore lavorate, con una forte diffusione di part time involontario», ha spiegato il segretario generale aggiunto della Cisl Luigi Sbarra.
Il confronto sul trimestre dimostra la stagnazione in atto, con l’occupazione che in tre mesi è cresciuta di sole 13mila unità. Nessuna spinta in avanti neanche sul fronte dei lavoratori più giovani, con piccoli aumenti degli occupati e dei disoccupati e una riduzione degli inattivi nell’ultimo mese. Mentre restano critici i dati delle fasce di mezzo dei 24-34enni e dei 35-49enni, che complessivamente a dicembre hanno perso quasi 80mila occupati. In particolare, nella fascia 35-49 anni, si registrano 51mila occupati in meno in un mese e, anche per effetto del calo demografico, sui 12 mesi il calo è di 215mila unità (ma pur guardando le cifre al netto della componente demografica, i disoccupati in un anno crescono del 2,2%). Una tendenza che non promette bene. Anche perché ai segni negativi problemi sul numero degli occupati, si aggiunge anche un progressivo peggioramento della qualità dell’occupazione. E il numero delle ore lavorate non ha raggiunto ancora i livelli precedenti alla crisi.