Con i sostenitori di Matteo Salvini, contrari al processo, determinati a votare sull’autorizzazione a procedere il prima possibile, e i suoi avversari, favorevoli, pronti a fare le barricate pur di rinviare la decisione, lo scontro politico attorno al caso Gregoretti ha raggiunto ieri il suo punto più basso. A meno che non sia confermata l’ipotesi secondo cui la maggioranza sarebbe capace persino di non presentarsi in commissione, lasciando quindi vincere il no, con l’argomento che tanto poi a decidere sarà il voto in aula: in tal caso, ovviamente, il punto più basso sarebbe quello. Ad ogni modo, la provvisoria conclusione di questa brutta commedia è talmente surreale che si sarebbe tentati di cavarsela prendendosela con tutti i suoi protagonisti allo stesso tempo, mettendoli tutti sullo stesso piano, criticandoli tutti alla stessa maniera e mandandoli tutti nello stesso posto. Ma sarebbe troppo facile. E poi, se non avessimo preso tutti quanti l’abitudine di cavarcela a questo modo, negli ultimi venti o trent’anni, forse la politica italiana non sarebbe ridotta così. Ma sto divagando, cioè prendendo tempo per non venire al punto, perché il punto della surreale, straziante, provvisoria conclusione della giornata di ieri è che ha ragione Salvini. Ecco, l’ho detto. E adesso, se avete ancora voglia di saperne qualcosa, posso ricominciare l’articolo dall’inizio.
Dunque, da capo. Non era facile finire per dare involontariamente ragione a Salvini in una vicenda su cui, sin dall’inizio, il leader della Lega aveva torto marcio, da tutti i punti di vista: politico, giuridico e umano. Ma i suoi avversari ci sono riusciti lo stesso. D’altra parte, se vogliamo avere una speranza di uscire da una stagione politica in cui si può mentire spudoratamente anche di fronte all’evidenza, confidando nel fatto che l’odio per gli avversari accecherà i propri sostenitori fino all’idiozia, l’unica strada è sforzarsi di rompere questo schema, unilateralmente, rispettando perlomeno alcune minime, fondamentali, autoevidenti verità della vita. La prima delle quali è che, per fare delle battaglie di principio, bisogna dimostrare di averceli, dei principi, e possibilmente osservarli. Ragion per cui non mi soffermo sulle proteste del Pd per la scelta della presidente del Senato, Elisabetta Casellati, di votare con l’opposizione in giunta, sulla data del voto in commissione, che sarà dunque il 20 gennaio (perché è esattamente quello che il Pd avrebbe dovuto chiedere, e ha chiesto, prima di giungere alla discutibile conclusione che a pochi giorni dal voto in Emilia-Romagna non sarebbe stato conveniente).
E così, in tutta questa assurda discussione regolamentare, si sono persi completamente di vista i fatti, che sarebbero anche piuttosto semplici. Da ministro dell’Interno Salvini ha tenuto ferma in mare una nave militare italiana, con oltre centotrenta naufraghi a bordo, per giorni. La magistratura, con il valido aiuto di molti dizionari, sostiene che un simile atto si chiami sequestro di persona, e pertanto ritiene che Salvini andrebbe processato. La tesi difensiva secondo cui un ministro può compiere qualsiasi reato, anche a danno della libertà e della salute di altre persone innocenti, semplicemente perché questo sarebbe nel suo programma politico, come dovrebbe capire anche un bambino, è un argomento estremamente pericoloso. Oggi si tratta dei naufraghi della Gregoretti, domani può trattarsi di chiunque altro. Ma i parlamentari non devono occuparsi del merito della questione, solo valutare se nell’agire come ha agito l’allora ministro Salvini lo abbia fatto, come sostiene lui, a tutela di un preminente interesse pubblico, cioè per difendere i confini e la sicurezza dello Stato. Dalla tremenda minaccia rappresentata da un centinaio di naufraghi appena recuperati da una nave italiana. E se persino per rispondere a questa semplice domanda c’è bisogno di «leggere le carte», come dice Carlo Calenda, vuol dire che stiamo messi male.
Ma l’amara verità è che stiamo messi anche peggio. Dietro l’assurda presa di posizione del Pd non c’è infatti solo l’ipocrisia di chi mostra di considerare il comportamento di Salvini una gravissima minaccia per la democrazia, che tuttavia può aspettare le regionali in Emilia-Romagna (non parliamo nemmeno dei cinquestelle, per i quali il caso Diciotti andava benissimo, perché erano ancora alleati di Salvini, e il caso Gregoretti invece è una vergogna, perché non lo sono più). C’è anche l’assurda idea che in tal modo si possa davvero contrastare efficacemente il leader della Lega. Mentre l’unico risultato ottenuto in questo modo è stato consentirgli non solo di fare la vittima, ma di fare la vittima a reti unificate, e con mille buoni argomenti per denunciare l’ipocrisia e la strumentalità di tutte le accuse e di tutti i suoi accusatori.
Viene da domandarsi quale raffinato stratega della propaganda abbia suggerito ai dirigenti del Pd di dire chiaro e tondo che sì, sarebbe giusto prendere una determinata decisione, ma se lo facciamo in campagna elettorale si capisce che l’altro ci guadagna voti, e quindi preferiamo rinviare tutto al giorno dopo le elezioni. Pensano forse che in Emilia Romagna non abbiano la televisione? Che per qualche strana ragione non li sentano, quando illustrano questo argomento nei talk show o nelle dichiarazioni ai telegiornali?
Non si tratta di fare le anime belle. Sappiamo tutti che in politica, per vincere, si fanno anche delle scelte strumentali, contrarie ai propri principi. E certo non sarebbe la prima volta che un partito prende in giro il proprio elettorato. Se si vuole avere una speranza di farla franca, però, bisognerebbe avere almeno l’accortezza di non dirglielo prima.