Nata a Scutari, in Albania, ha frequentato l’Università Nostra Signora del Buon Consiglio a Tirana, per poi trasferirsi in Italia e diventare coordinatrice dei giovani medici stranieri per l’Amsi, l’Associazione medici di origine straniera in Italia. Collabora principalmente con enti privati, come la Croce Bianca e il CMP Global Medical Division, come spesso accade per i medici stranieri che, nonostante le qualifiche, non possono accedere al settore pubblico. Memelli è specializzata in medicina d’emergenza ed è abituata ad essere sempre in prima linea non solo nel lavoro, ma anche nella battaglia per i diritti dei medici stranieri in Italia.
Quando ha deciso di venire in Italia?
Quando ho capito che il sistema sanitario nel mio Paese non mi piaceva. I medici in Albania sono sottopagati e spesso devono ripiegare sul privato, nel pubblico c’è poco lavoro e pochissima avanguardia medica. In Italia se hai forza di volontà, il lavoro c’è.
La sua famiglia l’ha supportata?
No. Prima di tutto trovavano che medicina fosse un percorso troppo lungo per una donna, e non mi avrebbe dato lo spazio per essere moglie e madre, in più non condividevano la scelta di venire in Italia, in una realtà che non conoscono. Ma io ho voluto essere sempre libera, facendo le mie scelte.
Che vuol dire essere un medico straniero in Italia?
A differenza di altri non ho avuto problemi con l’abilitazione, avendo frequentato un’università taliana. Il mio ostacolo, come per tanti altri medici stranieri, è quello di non avere la cittadinanza italiana. Questo vuol dire non poter partecipare a percorsi pubblici, e soprattutto non essere tutelati a livello assicurativo. Nel pubblico possiamo lavorare solo come liberi professionisti, senza contratto.