Ripresa in salitaDalle imprese alle bottiglie di vino: dopo il panico, è caos per i certificati “virus free”

Molte aziende, dalla Lombardia al Veneto, hanno chiesto ai lavoratori di compilare questionari per attestare lo stato di salute. Nelle scuole, l’obbligo di documentazioni sanitarie ha generato le polemiche dei medici. Ognuno fa un po’ quello che vuole

Certificati, autocertificazioni, bollini di sicurezza. Dopo il panico da coronavirus, è partito il caos dei documenti richiesti da aziende, scuole e clienti per attestare la buona salute di studenti e lavoratori, ma anche di vini, formaggi, frutta e verdura provenienti dalle zone interessate dai contagi.

E ognuno fa un po’ come vuole. Nei giorni scorsi, dall’Emilia Romagna alla Lombardia, molte imprese hanno già chiesto ai lavoratori prima di entrare in fabbrica o in ufficio di compilare e firmare questionari in cui, oltre a chiedere se fossero passati dalla Cina o da uno dei comuni della zona rossa, si trovano specifiche domande sullo stato di salute come: «Negli ultimi 7 giorni hai avuto febbre superiore a 37?», «Tosse secca o con catarro?», «Dolori al corpo e alle articolazioni?», «Mal di testa?», «Raffreddore?». In alcuni casi, ai dipendenti è stato chiesto di arrivare 30 minuti prima in azienda, incaricando i responsabili del servizio di prevenzione e protezione di misurare la febbre ai colleghi all’ingresso. A Milano lo ha fatto ad esempio la HysterYale, nel ravennate la Marcegaglia.

«Sono misure prese unilateralmente, anche su indicazione delle associazioni datoriali», spiega Roberta Turi, segretaria generale della Fiom Cgil Milano. «E in molti casi questi questionari sono stati sottoposti anche in violazione delle norme sulla privacy, senza riportare l’informativa sul trattamento dei dati personali». Qualche azienda, come Electrolux, nel corso della settimana ha corretto i moduli. Ma le segnalazioni sulla richiesta delle autocertificazioni sono arrivate ai sindacati da diverse province lombarde, da Monza a Milano.

Richieste simili si sono registrate in Emilia Romagna, dove Cgil, Cisl e Uil regionali hanno diramato un comunicato congiunto, in cui denunciano anche segnalazioni di persone allontanate dalle imprese e dai cantieri. «Chiediamo alle aziende», scrivono, «fuori dalle procedure definite dalle autorità competenti, di non assumere iniziative in modo unilaterale che possono creare allarmismo e panico». E per lunedì hanno fissato un incontro con la Confindustria regionale per discutere delle misure adottate dalle imprese. In Veneto, è stata la stessa Confindustria Verona, città in cui non si registrano casi di coronavirus, a diramare un protocollo di autodisciplina per le aziende, suggerendo anche il monitoraggio quotidiano della temperatura.

La situazione si complica per le scuole. Nel decreto approvato il 25 febbraio dal governo per contenere la diffusione del virus, è previsto che fino al 15 marzo si potrà tornare in classe per assenze dovute a malattia di durata superiore ai cinque giorni solo con il certificato medico, in deroga alle disposizioni vigenti che invece lo avevano abolito. Per chi invece è rimasto a casa per altri motivi o è andato in vacanza, servirà una autocertificazione da parte dei genitori in cui si dice che l’assenza è dovuta a motivi familiari e in cui si riporta di non aver soggiornato in zone endemiche e non aver avuto contatti con casi sospetti o confermati.

«È una follia», ha detto subito Silvestro Scotti, segretario nazionale della Federazione dei medici di medicina generale. «Non ha fondamento scientifico perché non è possibile certificare l’assoluta certezza di non contagiosità». Anche perché, spetterebbe ora ai medici di famiglia assumersi la responsabilità di attestare l’assenza del virus. «Non firmerò alcun certificato finché l’Istituto superiore di sanità non ci farà avere i riferimenti in base ai quali certificare con assoluta certezza la non contagiosità di un bambino per coronavirus dopo un episodio respiratorio, senza aver fatto un tampone», fa sapere Scotti.

Ma le richieste di certificazioni non mancano nemmeno cibo, ortaggi e prodotti alimentari. Oltre al bollino di “buona salute” del Grana Padano chiesto dagli importatori greci a una cooperativa di Cremona per continuare acquistare le forme di formaggio (notizia poi sminuita dal Consorzio Grana Padano, anche per evitare la psicosi collettiva), molte segnalazioni arrivano anche dal Veneto. Dove, dopo aver confermato la fiera Vinitaly, sono arrivate richieste di certificati “virus free” persino sulle bottiglie di vino.

«A preoccuparci sono le pratiche commerciali sleali, come le richieste di certificazione sanitaria dei nostri prodotti, dal Prosecco al bio, che stanno avanzando sia le catene di distribuzione europee, sia i singoli clienti», spiegano da Confagricoltura Treviso. «Una richiesta assurda, che non ha motivo di esistere, in quanto, com’è stato detto e ripetuto, il contagio avviene solo nel contatto tra persone». Ma un altro fenomeno che ora preoccupa il Veneto è anche il rifiuto di molti braccianti stagionali romeni di andare a lavorare come ogni anno nelle aziende agricole locali. Sia per paura del virus, sia per possibili quarantene in caso di rientro. Tra poco comincerà la raccolta delle fragole. E le aziende venete, oltre a rischiare di trovarsi senza lavoratori, forse saranno costrette a creare un “bollino virus free” per la frutta raccolta.

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