C’è un fatto. Il coronavirus spaventa più dell’emergenza climatica. E mentre nella Pianura Padana le attività produttive rallentano e la gente si rinchiude in casa, in Sicilia si arriva a pregare per la pioggia (la messa ad petenda pluviam, nella zona del Nisseno, è stata seguita da una processione con il Crocifisso di Bilici e il protettore degli agricoltori Sant’Antonio Abate; manifestazioni dello stesso tenore si stanno tenendo in tutta la regione). Riti religiosi e simil-vudù a parte, in tutta la penisola le temperature record di questo inverno (1,65 gradi più alte della media stagionale) e la mancanza di precipitazioni, diminuite del 75% a febbraio, mettono sotto gli occhi di tutti il vero problema di questo paese: l’emergenza climatica.
Perché se è vero che la crescente diffusione del virus nCoV-2019 sta mettendo in ginocchio il Paese (il conteggio finora è di 7 morti, oltre 280 contagiati e 50mila in quarantena), con forti ripercussioni sull’economia e il turismo (si stima una perdita di 1000 miliardi; diversi Paesi invitano i propri cittadini a non viaggiare in Italia), la minaccia climatica sta facendo danni più ingenti e duraturi di qualsiasi problema sanitario. Gennaio è stato il mese più caldo nella storia della Sicilia, le dighe in Basilicata sono ai livelli più bassi degli ultimi trent’anni, in Sardegna si sono raggiunti i 27 gradi e gli incendi divampano come se fosse estate. I livelli del lago di Como e del lago d’Iseo sono sotto la linea di base. Il Po è prosciugato, tanto che per il 6 marzo è stato convocato l’Osservatorio sulle crisi idriche. A rischio siccità, segnala Confagricoltura, anche i raccolti di orticole invernali ed estivi e di cereali.
«Sulla siccità si tratta di dati preliminari, perché c’è ancora la possibilità di fermarsi entro la primavera, sul caldo invece non ci sono dubbi», spiega a Linkiesta il meteorologo e climatologo Luca Mercalli. «Stiamo assistendo a un’anomalia importante che si sta facendo più frequente. Al Nord si tratta dell’inverno più caldo degli ultimi due secoli, e non c’è dubbio che sarà il primo o il secondo più caldo della storia a livello nazionale. È una tendenza in atto ormai da anni in tutto il mondo».
Lo scenario si sta facendo apocalittico sotto i nostri occhi, ma ancora non ce ne rendiamo conto. In Antartide prosegue la fusione dei ghiacci – questo mese si sono toccati 20.7°, la temperatura più elevata mai registrata. In Australia si stanno contando adesso i danni degli incendi che per mesi hanno distrutto foreste e ucciso koala e canguri, e dopo aver devastato l’Africa gli immensi sciami di locuste si stanno spostando in Medio Oriente, con conseguenze catastrofiche per i raccolti e l’approvvigionamento delle popolazioni. Quanto ancora si potrà continuare così?
«È da trent’anni che noi scienziati diciamo queste cose», dice Mercalli. Ma poco, troppo poco è stato fatto, in Italia come nel resto del mondo. Mentre ci si dispera per i danni economici che il coronavirus sta causando, se c’è un’unica consolazione, è proprio che il rallentamento delle attività produttive sta portando a una riduzione dell’inquinamento. Soprattutto nella Pianura Padana, la più colpita dal virus, ma anche la regione più inquinata d’Europa. «Siccome è l’economia la causa delle emissioni, ogni rallentamento riduce i consumi, che sono soprattutto quelli di combustibili fossili», dice ancora l’esperto. Solo, «dispiace di ottenere un risultato positivo attraverso un fatto sbagliato, invece che per un progetto. Per questo periodo ci sarà un rallentamento; se si tratta di una settimana non cambierà nulla, ma se dovesse durare mesi avremmo un’effettiva riduzione dell’impatto climatico. Si è arrivati a questi paradossi».
A voler vedere il bicchiere mezzo pieno, l’avvento del Covid-19 potrebbe essere un’occasione per prendere coscienza della pericolosità di fenomeni incontrollabili e improvvisi, tanto quanto può esserlo un’epidemia quanto già lo sono gli eventi meteorologici estremi, che si stanno intensificando in misura esponenziale ovunque nel mondo. E invece, tutto prosegue come se nulla fosse: «Ci spaventiamo delle cose che sono a breve termine, quello del virus è un rischio che tutti sentono immediato. Come sempre tendiamo a sottovalutare i rischi a lungo termine, l’ennesima prova che siamo disposti ad accettare tutto, mentre non facciamo praticamente nulla per obiettivi di lungo respiro», commenta lo scienziato. Lo stesso governo italiano, al di là delle contingenze relative all’epidemia, da quando si è insediato non ha portato al tavolo del dibattito nessun tema ambientale. Le priorità del Paese sono sempre altre. Eppure «il governo italiano è uno dei più consapevoli, il ministro Costa è informatissimo, lo stesso Conte più volte ha preso posizione, ma il problema è cosa fare quando si ergono tutti gli ostacoli delle lobby. Se ci sono degli interessi importanti in gioco, tutti alzano la loro bandierina, e alla fine si fanno delle scelte piccole rispetto all’entità del problema» conclude Mercalli. L’ipocrisia riguardo al problema ha raggiunto ormai livelli imbarazzanti. «Contro il virus non ci si è fermati davanti a nulla. Si è deciso che era giusto fermarsi. Bisognerebbe fare lo stesso con il problema climatico».
In un contesto tale, l’unica speranza è l’Europa: dopo l’annuncio del European Green Deal da parte della Commissione, a inizio marzo è prevista la presentazione della prima vera legge sul clima a livello continentale, il cui obiettivo è di azzerare le emissioni entro il 2050. «Al momento è la cosa migliore che abbiamo al mondo, l’impegno europeo sulla carta è ammirevole», commenta Mercalli. «L’Ue già da anni è avviata in questa direzione. Non si invertirà mai la rotta se non c’è una visione mondiale di questi problemi, ma l’Europa può fare da apripista». Se la montagna non va da Maometto, sarà l’Unione a imporre la retta via anche al nostro Paese. «Bisogna capire che la natura dei problemi è uguale. Tutte le risorse di una società devono essere messe a servizio dell’obiettivo». Coronavirus o crisi climatica che sia.