Da mesi il governo è fermo sullo stallo delle concessioni autostradali. Una situazione scoppiata con il crollo del ponte Morandi del 2018, andando a coinvolgere la famiglia Benetton, beneficiaria della concessione del tratto autostradale e delle sue responsabilità. Ancora oggi è difficile, per una serie di questioni relative a equilibri politici e clausole contrattuali, arrivare a una conclusione chiara.
Un problema che, come dimostra l’avvocato Andrea Grappelli dello studio Nunziante Magrone, non è limitato alla sola Italia.
Proprio così. Partendo la nostra analisi dal modello autostradale – di cui si sente molto parlare ultimamente – si può evidenziare che a livello europeo, seppur ricorrendo all’utilizzo di modelli diversi tra loro, si è riscontrato che l’applicazione della concessione in tale settore non è riuscito a garantire sempre un corretto equilibrio tra gli aspetti economici, operativi e manutentivi delle infrastrutture.
Una questione comune, quindi.
Sì. Ad esempio i modelli spagnoli, francesi hanno dimostrato la loro fragilità al pari del modello italiano, mentre (per quanto possibile in questo settore) quello anglosassone – dove l’investimento nelle infrastrutture autostradali è avvenuto ricorrendo ad una fiscalità generale, quindi mediante capitali pubblici – è risultato vincente. In questo caso c’è, a valle dell’investimento e della gestione pubblica, il successivo l’intervento del privato, dimostrando qua la sua forza. Ciò anche grazie all’applicazione di un sistema atto a garantire una adeguata remunerazione sulla base del servizio offerto (nel cui ambito valutativo si fanno rientrare anche aspetti quali la qualità della sicurezza, la manutenzione eseguita nei tratti autostradali nonché i tempi di percorrenza).
Si può allora rintracciare, in generale, un modello concessionario efficace e funzionante? Qual è la formula?
Nel panorama internazionale ciò che accomuna esperienze di successo nel rapporto tra concedente e concessionario sono quelle che non prevedono un totale abbandono in mano al privato della concessione e dove vi è un continuato ed effettivo monitoraggio e partecipazione dell’amministrazione concessoria da parte dello Stato.
E il privato però ne risente.
Il privato in linea di massima può ritagliarsi un ruolo assolutista in un secondo momento quando le opere infrastrutturali sono state realizzate e la gestione ormai si è consolidata mediante costanti flussi di cassa idonei a garantire un equilibrio economico anche rispetto al modello gestionale e manutentivo applicato, così che lo Stato effettivamente possa avere una cognizione costante, corretta e trasparente basata su proprie modalità di valutazione e non su quelle rappresentate da terzi.
Può fare un esempio di un modello efficace, oltre a quello delle concessioni autostradali anglosassoni?
Per rimanere nell’ambito infrastrutturale e del trasporto un modello internazionale di successo è quello connesso al mondo portuale e, precisamente, quello nordeuropeo; seppur in questo ambito non ci si discosta troppo dall’impostazione italiana, in nord Europa vige il modello del cosiddetto landlord, in cui la titolarità delle aree portuali rimane in capo alla pubblica amministrazione (Stato o entità locali) mentre viene lasciata al privato, tramite meccanismi di partenariato pubblico-privato, la gestione delle attività portuali. Questa modalità, anche se simile a quella italiana, si differenzia in quanto nel nord Europa le Autorità portuali operano in un regime societario non come soggetti pubblici (cioè sottoposti ad un rigido meccanismo autorizzativo operativo che ne rallenta la concorrenzialità), bensì come privati aventi una più snello edampio spettro di libertà operative e finalità commerciali. Tra queste rientra anche l’autonomia decisionale nella realizzazione di quelle opere infrastrutturali necessarie.
E quali sono i porti da prendere come esempio?
Tra i modelli europei, il porto di Rotterdam – the Port of Rotterdam Authority – (che opera tramite forme di partenariato pubblico-privato), dove l’elemento concessorio, anche a distanza di tempo, è continuato a risultare vincente. È un progetto partito negli anni ’90, era la classica realizzazione di una infrastruttura portuale che solo in un momento successivo, e precisamente intorno al 1998, ha visto un pregnante intervento di soggetti privati – costruttori e banche – per poi diventare nel 2004 vera e propria società commerciale di diritto olandese (la cui titolarietà è rimasta in mano pubblica).
Come è organizzata la concessione?
Questa forma concessoria fa sì che siano in capo ad essa addirittura quelle competenze che di solito sono di natura strettamente pubblicistica e non di autonoma gestione, quali la sicurezza delle acque portuali nonché tutte le responsabilità relative all’intera gestione delle aree portuali. Ma è un altro l’aspetto importante.
Quale?
La strutturazione del modello di concessione applicabile deve permettere una sua evoluzione nel tempo in base alle esigenze di crescita e sviluppo infrastrutturale, per garantire la continua miglior concorrenzialità nel panorama portuale europeo. In più, intorno vi è un sistema in cui l’amministrazione pubblica non si è mai disinteressata della evoluzione concessoria, anzi ne ha fatto parte formante. Questo a differenza della visione italiana, dove spesso il concessionario diventa unico vero ed esclusivo protagonista, e dove l’amministrazione pubblica (una volta data la concessione al privato) quasi subisce il sistema concessorio da essa stessa impostato tanto da dovervi rimanere legata anche quando non sia più attuale o del tutto idoneo a produrre il giusto equilibrio gestionale, vista l’evoluzione negli anni delle esigenze infrastrutturali e di flussi di cassa generati.
Insomma, continua attenzione da parte del soggetto pubblico e un costante monitoraggio delle aree di sviluppo per favorire concorrenza ed efficienza. È questa la chiave di un buon sistema concessorio?
L’ottimizzazione delle strutture concessorie deriva dall’integrazione e dallo sviluppo coerente delle aree connesse alla concessione. Dove l’ordinamento amministrativo deve essere orientato a garantire lo sviluppo di dinamiche di concorrenza ed efficentismo sulla base dell’evoluzione temporale del contesto in cui opera la concessione, quindi ci vuole dinamicità strutturale e flessibilità amministrativa e regolatoria volte ad anticipare i tempi.
E in Italia non esiste qualcosa che si avvicini a questo modello?
Sì. Un modello concessorio che in generale ha dimostrato la sua forza anche in Italia, è quello energetico dove vi è un flusso di cassa che permette di ottenere una maggior redditività e si ha un contenimento dei costi infrastrutturali. Difatti queste tipologie di concessioni sono caratterizzate da una forte finanziabilità da parte di terzi (le banche) determinato dalla garanzia dei flussi di cassa. I quali a loro volta scaturiscono dall’elemento gestionale, che nel settore è quello più fluido e continuato.
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