Lunga conservazioneIl cibo non manca, ecco che cosa mangiano gli italiani costretti dal virus a restare a casa

Nel clima di incertezza del coronavirus, le prime a saltare sono le pietanze esotiche. Crescono le ordinazioni online, aumentano le iniziative di solidarietà. Ma c’è inquietudine perché non si conosce la durata della crisi

Miguel MEDINA / AFP

In Italia è tutto (o quasi) chiuso, per evitare la diffusione dei contagi da coronavirus. Restano aperti i supermercati, per garantire l’approvvigionamento di cibo. «Ma fino a quando?», sembrano chiedersi gli italiani. Secondo un’indagine Coldiretti/Ixè, infatti, la paura è tanta: quasi 4 italiani su 10 hanno fatto scorte di prodotti alimentari e bevande per il timore ingiustificato di non trovarli più disponibili sugli scaffali di negozi, supermercati e discount facendo registrare così un balzo degli acquisti di prodotti alimentari. Le scelte raccontano di un’Italia che si prepara a tempi difficili, quasi simili a quelli di una guerra. Da un lato, la fanno da padrone gli alimenti semplici alla base della dieta mediterranea, quelli essenziali per le preparazioni domestiche della tradizione che, in questi giorni, sono praticamente le uniche possibili, visto che tutti sono obbligati a stare in casa: il prodotto più acquistato è la farina con un balzo dell’80% rispetto alla media del periodo. Dall’altro, aumenta la domanda di prodotti conservabili, soprattutto quelli in scatola: l’acquisto di carne in scatola aumenta del 60%, quello dei legumi a lunga conservazione arriva al 55%. Il che significa che molti consumatori temono che, a un certo punto, l’approvvigionamento di cibo possa cominciare a scarseggiare.

La preoccupazione riguarda anche la durata dell’epidemia. Secondo dati Nielsen, un italiano su tre si aspetta che l’emergenza duri almeno fino a Pasqua, mentre il 46% pensa che dovremo fare i conti con il virus almeno fino all’estate, un 7% fino al prossimo autunno. I più pessimisti (5%) pensano che la crisi durerà per tutto l’anno. E così, chiusi tra le mura domestiche, gli italiani riempiono le dispense con prodotti che rievocano la cucina del dopoguerra: farina, latte, pasta. Secondo i dati divulgati dal portale Italiani Coop sembrano depennati i prodotti esotici (o, se preferite, da “gastrofighetti”): dallo zenzero alle bacche di Goji, fino alla curcuma. Al tempo dell’economia da virus, ritornano a tavola i rassicuranti cibi della nostra tradizione. L’ansia non lascia spazio agli ingredienti etnici, alle ricette creative e alle recenti tendenze salutistiche.

L’analisi sulle vendite Coop nel periodo di quarantena compreso tra il 24 febbraio-1 marzo e tra il 2-8 marzo evidenzia che, nell’emergenza, salgono, nel borsino della spesa alimentare, le quotazioni di farina, carne in scatola e legumi in lattina. Seguono la pasta (+51%), il riso e le conserve di pomodoro (+39), lo zucchero (+28), l’olio d’oliva e i sughi pronti (+22), il latte Uht (+20), i biscotti (+13), le confetture (+9) e le fette biscottate (+17). Molto richiesto anche il pesce surgelato (+21%) o in conserva come per esempio il tonno (+26).

Figlio diretto di questa logica emergenziale è il calo di interesse per le bevande maggiormente legate al tempo libero o alla socialità (bibite, aperitivi, birra, vini tipici) o per i prodotti industriali (succhi di frutta, pasticceria industriale, merendine, creme spalmabili).

Lievemente diversi i dati del rapporto Coldiretti/Ixè, secondo cui, in questo periodo, la grande maggioranza degli italiani (6 su 10) va a fare la spesa una volta a settimana: nel carrello finiscono nell’ordine pasta, riso e cereali (26%), poi latte, formaggi, frutta e verdura (17), quindi prodotti in scatola (15), carne e pesce (14), salumi e insaccati (7) e vino e birra (5).

Ma gli italiani, almeno sul cibo, possono stare tranquilli: la produzione e vendita non si ferma. Ci sono oltre tre milioni di lavoratori all’opera nella filiera alimentare, dalle campagne alle industrie fino ai trasporti, ai negozi e ai supermercati. La continuità delle forniture di cibo e bevande alla popolazione è garantita. «L’approvvigionamento alimentare è assicurato – garantisce Ettore Prandini, presidente della Coldiretti – grazie al lavoro di 740mila aziende agricole e stalle, 70mila imprese di lavorazione alimentare e una capillare rete di distribuzione tra negozi, supermercati, discount e mercati contadini».

Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia, conferma: «Il cibo non mancherà. Il nostro settore continuerà a garantire capillarmente e con continuità l’approvvigionamento e la distribuzione dei prodotti agroalimentari. L’assalto ai supermercati, dunque, è inutile e controproducente e rischia solo di ritardare i tempi di riassortimento». I giovani della Cia, la Confederazione degli agricoltori italiani, lanciano lo slogan “Io resto in campagna per voi”: «Siamo impegnati a restare nei campi e nelle aree dove lavoriamo e viviamo, in prima linea per garantire, l’attività agricola e zootecnica e, quindi, la produzione di generi alimentari». Giorgio Mercuri, Presidente dell’Alleanza cooperative agroalimentari, assicura che «prosegue senza sosta l’attività di lavorazione delle cooperative agroalimentari su tutto il territorio nazionale per garantire continuità di fornitura dei prodotti alimentari».

Buone notizie anche sul fronte della sicurezza. Per la tranquillità di tutti i consumatori – e al fine di garantire la libera circolazione delle merci europee e italiane sui mercati esteri – la European Food Safety Authority (EFSA) ha assicurato con un comunicato che non ci sono prove che il cibo sia fonte o via di trasmissione del Coronavirus. «Il bene-cibo è essenziale. Il virus non si trasmette con cibo e bevande. Il nostro è sicuro, tracciato, controllato», assicura anche Teresa Bellanova, ministro dell’Agricoltura, dopo che alcuni paesi hanno pensato di bloccare gli scambi o hanno perfino rimandato indietro i prodotti italiani per paura di una trasmissione del virus per via alimentare. «Chiedere certificati virus free è irricevibile: è concorrenza sleale che fa saltare le regole del mercato comune e della leale collaborazione tra paesi», sottolinea Bellanova, secondo la quale «serve una chiara presa di posizione della Commissione europea, con un coordinamento che porti subito alla definizione e al rispetto di misure comuni. L’emergenza è europea e mondiale, non italiana».

Tuttavia, la chiusura di bar, ristoranti, gelaterie, pizzerie e il conseguente abbandono di alcuni riti consolidati – come il cappuccino e il gelato – mette un freno ai consumi nazionali di latte. «Il 10% della produzione nazionale di latte fresco già adesso fatica a trovare collocazione sul mercato», avverte Giorgio Mercuri. «La chiusura forzata in tutta Italia di tantissime attività produttive legate al canale horeca – continua – ha provocato pochi giorni il crollo della vendita di latte fresco e di molti prodotti trasformati. A causa dell’emergenza virus le strutture cooperative temono di non essere più in grado di trasformare tutto il latte raccolto dai loro soci e invitano pertanto la propria base associativa a fare ogni sforzo per ridurre la produzione di latte». Proprio per questo Teresa Bellanova ha deciso di destinare 6 milioni di euro all’acquisto di latte Uht per le persone più bisognose.

Non siamo ai tempi di guerra, ma poco ci manca. Basta sentire gli appelli della Bellanova di questi ultimi giorni: «A tutti i consumatori italiani: dobbiamo avere la certezza che si è lavorato per non far mancare il cibo sugli scaffali. Non bisogna fare acquisti che poi diventeranno merce da buttare. I nostri negozi, i supermercati e tutte le strutture di vendita avranno a disposizione la merce sufficiente. Non cambiamo le abitudini alimentari: il fresco, la verdura, il latte, il pesce e la frutta sono prodotti italiani che fanno bene alla salute, come prevede la dieta mediterranea, che sono nella disponibilità sufficiente e dobbiamo continuare a consumarli». Il Made in Italy: se in passato era un motivo di vanto, oggi, in piena epidemia, diventa quasi una necessità.

Intanto, il periodo di quarantena aumenta gli acquisti online. Alcune catene registrano un’esplosione della domanda: Esselunga, per esempio, passa dal 4% abituale al 20%. «Le richieste ricevute in questi giorni sono pari a cinque volte il livello abituale», conferma Sami Kahale, Ceo dell’azienda. L’epicentro dell’e–commerce – con relativa consegna a domicilio – è la Lombardia. Non poteva essere diversamente visto che si tratta della regione più martoriata dal virus, con migliaia di decessi e la gente rifugiata in casa. La Coop segnala qui un aumento del 90% rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, con una media di 900 spese giornaliere consegnate.

Si moltiplicano poi, in generale, le iniziative di solidarietà per garantire la consegna della spesa direttamente nelle case, soprattutto a favore di tanti anziani o contagiati che non possono uscire dalle proprie abitazioni. Non solo. Il sistema agroalimentare si muove pure per rispondere alla crescente domanda di strutture sanitarie. La Cia ha messo a disposizione della Regione Toscana i primi dieci agriturismi – ormai chiusi al pubblico – che saranno destinati a ospitare persone affette da coronavirus, poco sintomatiche o in via di guarigione. «Gli agriturismi – spiega Giordano Pascucci, direttore di Cia Toscana – garantiscono isolamento e cure in una situazione confortevole ma controllata. Liberano posti letto negli ospedali, senza far tornare nelle proprie abitazioni i pazienti prima della definitiva guarigione». E aggiunge: «Facciamo il possibile per dare un contributo in questa fase di emergenza sanitaria. Con gli agricoltori che non si fermano mai per garantire la produzione di alimenti e materie prime. E adesso anche con la disponibilità delle strutture. Tutti insieme, ce la dobbiamo fare». Dalle campagne ai supermercati, l’Italia resiste.

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