L’epidemia ai tempi del lavoro precario e povero è cosa ben diversa dal colera (1973) e persino dalla Sars (2002), emergenze dei tempi del lavoro garantito, quando il mantello degli ammortizzatori sociali copriva pressoché tutti i lavoratori dipendenti: sorprende che questa valutazione risulti assente dalle valutazioni di un governo in teoria sensibile alla condizione dei piani bassi del condominio, il governo delle sinistre e del M5S, il partito del reddito di cittadinanza, il “partito dei poveri”, se mai ce ne può essere uno.
Restringeremo l’osservazione sulla scuola, dove lo sguardo della politica è tutto puntato sulle difficoltà (vere) delle famiglie cui si offriranno bonus baby-sitter e sulla necessità (vera) di finanziamenti per le lezioni a distanza. Beh, c’è anche altro. C’è Gemma, che lavora per un’associazione che ha in appalto corsi sportivi in un grande polo scolastico romano: tutto chiuso, niente corsi, nessuna notizia sullo stipendio del mese di marzo, che forse arriverà ma più probabilmente no. C’è Nicola, da 15 anni in una cooperativa sociale della Basilicata che si occupa di sostegno ai ragazzi disabili, stranieri o comunque in difficoltà: per la sua lunga esperienza è al top della retribuzione del settore – 9.60 netti l’ora, che in quel mondo sono moltissimi – ma è pagato appunto a ore, e quelle ore non esistono più. «Ho quarant’anni, moglie inoccupata, due figli e un mutuo – racconta – e sto attingendo ai risparmi, ma mi chiedo per quanto potrò farlo». C’è Maria, educatrice, pure lei dipendente della cooperazione, che vede le ordinarie difficoltà diventare baratro: «Pure in tempi normali se non lavoro per assenza dell’alunno, emergenza neve, sciopero degli insegnanti, elezioni o per qualsiasi altro motivo, il Comune committente non paga. E adesso?».
Il calcolo dei lavoratori che ruotano intorno alla scuola rimasti senza lavoro e senza salario è quasi impossibile perché i dati sono molto frammentati. Ma guardando le proteste che cominciano a emergere in rete e negli appelli al Ministero ci si può fare un’idea dell’enormità del problema. Solo in Lombardia quattromila educatori scolastici in difficoltà. Solo nella provincia di Monza e Brianza 600 impiegati nei servizi sospesi in questi giorni. Solo nel settore delle pulizie, 4/5mila lavoratori esclusi dalla stabilizzazione e rimasti dipendenti di cooperative. Poi c’è la gestione degli asili nido comunali e privati convenzionati, le attività svolte nelle scuole dell’infanzia paritarie, i servizi di mensa. È un mondo enorme di lavoratori precari e per di più “poveri” – è difficile immaginare che con retribuzioni intorno ai mille euro al mese si abbiano tesoretti ai quali attingere – che in questi giorni si sta chiedendo: mi pagheranno? Quanto? E quando?
Anche per questo l’epidemia ai tempi del coronavirus è molto diversa dalle precedenti, pure se nel governo sembra non essersene accorto nessuno, e c’è il concreto rischio che la crisi si riveli un moltiplicatore delle diseguaglianze, accentuando il senso di insicurezza e di smarrimento – oltre che le difficoltà economiche – di una parte non irrilevante del Paese. «Reddito di quarantena per tutti» dicono gli striscioni dei precari che, due giorni fa, si sono dati appuntamento sotto la sede della Regione Emilia Romagna: una citazione ironica evidentemente destinata al ministro dell’Istruzione Lucia Azzolina e al suo partito, attivissimo nel chiedere la sospensione dell’attività scolastica ma assai meno solerte nel tamponarne le conseguenze.
La scuola non è ovviamente l’unico settore dove il lavoro precario risulta prima vittima dell’emergenza e si trova alle prese con problemi di materiale sopravvivenza. Larga parte degli impieghi nel turismo e nei servizi, in Italia, sono affidati a tipologie di contratto che consentono revoche istantanee e senza ammortizzatori sociali: se ci sarà cassa integrazione per l’impresa e forse qualche sostegno per i dipendenti delle coop, nessun paracadute aiuterà larga parte dell’esercito del lavoro somministrato, per non parlare del cottimo dei riders o di altre categorie di lavoro istantaneo inventate dalla modernità. Anche per loro dovrebbe valere l’appello alla solidarietà e all’unità nazionale lanciato in questi giorni da molte voci autorevoli, a cominciare dal Presidente della Repubblica. Salvo che non si pensi davvero che in Italia la povertà sia stata abolita e che Gemma, Nicola, Maria e tutti gli altri debbano semplicemente stringere un po’ la cinghia.