Tratto dall’Accademia della Crusca
Ivato per ‘comprensivo di IVA’ o ‘per cui è già stata pagata l’IVA’ è aggettivo registrato dal Supplemento 2004 del GDLI, dal Devoto-Oli, dal Sabatini-Coletti e dallo Zingarelli con data 1983. Il GRADIT lo riporta con la stessa data e come termine speciale del linguaggio commerciale.
Su “Lingua Nostra” n. 49 del 1988 Fabio Marri lo ricordava come “brutto” erede dell’altrettanto sgradevole verbo igeare (pagare l’IGE, l’Imposta Generale sull’Entrata, sostituita dal 1972 dall’IVA), di cui igeato, cioè ‘comprensivo di IGE’, sarebbe stato il participio passato. Una parola cui Luciano Satta (Parole. Divertimenti grammaticali, 1981) aveva dato libero accesso, notando la legittimità della derivazione da una sigla, che consente “anche a igeato di stare nel vocabolario, pure se, con il senno di poi, si deve dire che sarebbe stato meglio non metterlo, poiché l’IGE non c’è più. E se mentre noi scriviamo c’è qualcuno che sta facendo un vocabolario, da IVA registrerà ivato, che è già parola corrente, con lo stesso diritto di esistere che l’uso ha riconosciuto a irizzato”. Precoce testimonianza di ivato, mentre la lingua si congeda dal suo antenato igeato!
Tutti i dizionari che lo registrano presentano ivato come un derivato da IVA (sigla di Imposta sul Valore Aggiunto) e non prevedono dunque un verbo ivare di cui ivato sarebbe il participio passato. In effetti ivato non è necessariamente il participio passato di ivare, come non lo era igeato di igeare (il supplemento del GDLI 2004 lo dà infatti come derivato da IGE). In effetti, poiché si applica, conferendo valore di aggettivo (anche sostantivato) soprattutto a nomi (alabardato, alluvionato, cabinato ecc.), il suffisso -ato potrebbe benissimo essersi applicato direttamente a IVA e ivare essere una retroformazione (processo che in genere produce proprio verbi, come osserva Franz Rainer, Retroformazione, in Grossmann-Rainer 2004, pp. 493-498) da un suo apparente participio passato (idem per igeare), per cui l’infinito viene dopo (cronologicamente) il presunto participio.
Se si cerca ivato su Google se ne trovano oltre un milione e mezzo di attestazioni. Assai meno quelle di ivare. Se non mancano i sostantivi e gli aggettivi ricavati da sigle (gappista, aclista, ciellino, pidiessino, missino), sono in effetti più rari i verbi; ma qualcuno c’è, come (secondo il GRADIT dal 1958) l’irizzare (assegnare all’IRI, l’Istituto della Ricostruzione Industriale) ricordato da Satta o, recentemente segnalato sul web e già registrato da Treccani Neologismi 2019, daspare (allontanare qualcuno col provvedimento Daspo, acronimo per Divieto di accedere a manifestazioni sportive).
Ivato ha il valore passivo (‘che è stato dotato di IVA’, ‘sottoposto a IVA’) tipico del participio passato dei verbi transitivi (del resto, quando si presenta, ivare lo fa col complemento oggetto), ma possiede anche una certa valenza attiva come gli intransitivi (‘che ha, contiene in sé l’IVA’): quasi una duplice diatesi che convive in parecchi derivati nominali di questo genere (si pensi a azotato o a iellato). In ogni caso, come per bollato (‘dotato di bollo’) nello stesso settore di lingua (burocratico-commerciale), la dimensione passiva è prevalente (‘munito di IVA’), anche se istintivamente si pensa forse non meno anche a quella attiva (‘comprende l’IVA’).