Alcuni italiani hanno accusato la Commissione europea di voler mantenere il rigore dei conti anche nell’emergenza coronavirus, e invece il governo italiano ha approvato senza pressioni un decreto da 25 miliardi di euro, a deficit. Altri italiani hanno accusato l’Unione europea di non aver agito contro Francia e Germania che avevano impedito il blocco delle esportazioni di mascherine, tute e schermi facciali in Italia. E il commissario Ue al mercato interno, il francese Thierry Breton, ha sbloccato la vendita perché «nessun Paese può farcela da solo». Altri italiani ancora hanno accusato Bruxelles di non aver impedito agli Stati Ue di bloccare il transito delle merci italiane, e ieri la presidente della Commissione europea ha annunciato l’istituzione nelle autostrade europee di corsie prioritarie per i trasporti essenziali. Così da garantire la continuità economica e la mobilità dei trasporti anche se saranno vietati in tutta l’Unione gli ingressi non essenziali per i prossimi 30 giorni.
A forza di gridare “al lupo al lupo”, alla fine qualcuno ha creduto che l’Unione europea non abbia voluto far nulla neanche per affrontare l’emergenza coronavirus in sé. Ma sulla Sanità il potere è tutto nelle mani degli Stati nazionali, che non hanno mai voluto cedere a Bruxelles la loro sovranità. L’Ue non può organizzare o fornire i servizi sanitari e di assistenza medica nei vari Paesi, né può definirne le politiche. I trattati permettono alle istituzioni europee di sostenere la cooperazione tra gli Stati membri in casi ordinari e straordinari. Ed è quello che sta facendo da giorni la commissaria Ue alla Salute, la cipriota Stella Kyriakides che venerdì ha riunito in teleconferenza i ministri della Salute dei 27 Stati dell’Unione per coordinare le operazioni in modo compatto. E lunedì ha ripetuto l’incontro aggiungendo i 27 ministri dell’interno che hanno redatto una guida essenziale per proteggere il mercato interno Ue e la salute dei cittadini europei.
Anche la virologa Ilaria Capua sul Corriere della Sera, lunedì, ha detto che «Avrebbe dovuto pensarci l’Europa: far arrivare a tutti gli Stati membri delle linee guida armonizzate per la registrazione dei casi». In realtà le linee guida esistono eccome, ma nessun Paese Ue le ha rispettate perché non sono vincolanti. Le ha redatte per tempo Il Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc) una delle due agenzie create dall’Unione europea per supportare (non sostituirsi a) i governi nazionali su questioni relative alla Salute. «Esiste dal 2005, ha sede a Stoccolma e supporta gli Stati fornendo dati, linee guida e analisi del rischio riguardo a malattie ed epidemie», spiega Massimo Gaudina, portavoce della Commissione europea a Milano. « Su questo problema specifico del coronavirus si è attivato subito. Il 22 gennaio i membri dell’Ecdc hanno lavorato a stretto contatto a Roma con la task force del ministero della Salute italiano per dare il proprio parere di livello alle nostre autorità».
Già il 17 gennaio, quando in Cina c’è stato il decesso della seconda vittima di coronavirus, l’Ecdc segnalava in una nota: «Se un caso viene identificato nell’Ue, devono essere applicate rigorose misure di prevenzione e controllo delle infezioni (Ipc)» e visto che allora era alto il livello di incertezza sulla trasmissione del Covid-19 chiedeva agli Stati Ue di «prendere in considerazione una traccia dei contatti completa dei casi confermati» o almeno «compiere degli sforzi per rintracciare i passeggeri seduti nella stessa fila e i passeggeri seduti due file davanti o dietro il sedile di un caso sospetto». Questo quando in Italia si pensava che il virus sarebbe rimasto in Asia.
Nelle settimane seguenti l’agenzia europea ha redatto una serie di linee guida aggiornate giorno per giorno su come gestire il coronavirus. Delle indicazioni non vincolanti destinate a tutte le strutture sanitarie dell’Unione europea, ma anche di Islanda, Liechtenstein e Norvegia. Una (2 febbraio) con dettagliate misure di prevenzione e controllo delle infezioni durante la gestione di casi sospetti e confermati di infezione 2019-nCoV. Un’altra guida (7 febbraio) sui dispositivi di protezione individuale per chi entra i contatto con i contagiati, un’altra ancora (10 febbraio) sulle misure non farmaceutiche per ritardare e mitigare l’impatto del Covid-19. Il comitato ha pubblicato anche una guida su come gestire l’impegno della comunità per eventi di salute pubblica causati da minacce di malattie trasmissibili nell’UE (13 febbraio), una sulla gestione delle persone, compresi gli operatori sanitari, che hanno avuto contatti con i contagiati (25 febbraio) e una cheklist per preparare gli ospedali all’arrivo massiccio di contagiati.
Non solo, il 25 febbraio, cinque giorni dopo la scoperta del “paziente 1”, il 38enne di Codogno, l’agenzia europea ha delineato i criteri che tutti gli Stati Ue avrebbero dovuto seguire per testare i casi sospetti. Addirittura il 2 marzo ai fini di sorveglianza europea chiede anche al Regno Unito di segnalare casi confermati di laboratorio di COVID-19 entro 24 ore dall’identificazione, attraverso il sistema di allarme rapido e di risposta (Ewrs) per avere un coordinamento adatto.
L’elenco potrebbe continuare, ma il senso è uno: l’agenzia europea ha fornito molte linee guida decisive per permettere a tutte le strutture sanitarie europee di gestire al meglio i casi. Perché questo è quanto poteva fare in base ai trattati. Non molto di più. Il passo successivo è cercare di armonizzare il metodo con cui si contano e definiscono i morti da coronavirus. Perché al momento non esiste una metodologia comune. Facile puntare il dito ora contro le istituzioni Ue ree di non aver armonizzato abbastanza, più difficile capire come fare a mettere d’accordo 27 Stati nazionali che hanno quasi totale indipendenza sulla materia e su come gestire situazioni eccezionali di questo genere.
L’Unione europea è il capro espiatorio perfetto perché appare come un organismo lontano e impersonale. Ma ciò che si decide a livello europeo è quasi sempre frutto della mediazione degli Stati che scelgono quali poteri dare alle istituzioni sovranazionali attraverso i trattati. La scelta di chiudere o non chiudere le frontiere interne, rispettare o meno le linee guida dell’Ecdc, stabilire strategie di campionamento, sorveglianza e comunicazione in modo indipendente è prerogativa degli Stati nazionali. Francia, Italia, Germania e Spagna non si sono comportate tutte allo stesso modo. Ma se le cose andranno male, tutte potranno dare colpa all’Unione europea. Come sempre.