Proviamo a immaginare il coronavirus che arriva prima in Germania e non, come avvenuto, in Italia. Immaginiamo poi quale diversa manovra sarebbe intrapresa dal governo tedesco a differenza di quello italiano se il virus o la paura del medesimo dilagasse.
Atto primo. Il virus compare in terre teutoniche, ma non dilaga. Similitudini con il Bel Paese.
I tedeschi della Baviera – i ricchi sospetti portatori del virus – non possono entrare nel povero Maclemburgo, proprio come i Longobardi non possono sbarcare a Ischia. Gran parte dei turisti (che sono pochi) e degli uomini d’affari (che sono molti) smette di andare in Germania a svantaggio degli albergatori, dei ristoratori, e della Lufthansa. Insomma, circa quello che sta succedendo da noi. Abbiamo altre similitudini. Il sistema sanitario tedesco è efficiente (proprio come quello di molte parti dell’Italia), si hanno delle fobie nei confronti degli stranieri (come in Italia, diffuse soprattutto nella ex-DDR), e si ha un sistema politico molto meno stabile che in passato (come nel Bel Paese).
Atto secondo. Il virus dilaga in terre teutoniche. Che dilaghi il virus o la paura del medesimo non facciamo distinzione. Differenze con il Bel Paese.
Una prima differenza con noi è l’improbabile polemica verso l’Europa, la matrigna – secondo l’opinione dei più in Italia – dell’austerità. La Germania, infatti, è, con i propri sodali del Nord, la madre dell’austerità, tanto che il suo bilancio pubblico registra un debito che è la metà di quello italiano. Detto altrimenti, avendo la Germania agito da “formica” ha accumulato un modesto debito pubblico. Insomma, la Germania può espandere la spesa pubblica anti corona-virus non proprio ad libitum ma quasi.
La seconda differenza, probabilmente quella cruciale, è la diversa struttura dell’economia. L’estrema frammentazione in Italia in imprese di piccola e piccolissima dimensione, a cui si associa una quota di lavoratori autonomi che è la più elevata tra i paesi avanzati. Le imprese italiane nel settore privato non finanziario hanno una dimensione media di appena 3,9 addetti contro i 6,9 dell’Unione Europea; quelle con meno di 10 addetti impiegano il 47 per cento degli occupati contro il 29 per cento medio dell’Unione. Specularmente, le imprese sopra i 250 addetti sono molto poche e relativamente piccole, con una quota di occupati di poco superiore al 20 per cento contro valori superiori al 30 nei principali paesi europee.
Con un tessuto produttivo così frammentato l’intervento pubblico nel Bel Paese non può che defluire in tanti rivoli – ossia, non può non prendere la forma di tanti provvedimenti per le diverse categorie: oltre alla cassa integrazione per alcune grandi imprese, potremmo avere un aiuto alle piccole imprese, un altro aiuto alle partite IVA, eccetera. In Germania, invece, l’intervento pubblico anti virus, data la notevole minor frammentazione produttiva, potrebbe limitarsi all’erogazione di una non modesta quota del reddito degli occupati, insomma una cassa integrazione per tutti.
Atto terzo. Nel caso del Bel Paese – vero quanto fin qui affermato – dovremmo avere – ma è già partita – una corsa a ricevere denaro pubblico in forma frammentata, al contrario di quello che potrebbe accadere se la nostra struttura economica fosse simile a quella tedesca. Nota finale. La nostra struttura produttiva frammentata non è figlia del destino “cinico e baro” ma delle scelte fatte nel Secondo dopoguerra di preferire il “piccolo” che si suppone alimenti la “solidarietà” alle grandi concentrazioni, che erano ritenute legittime se pubbliche.