Questa quarantena ha messo molti genitori a dura prova: per la prima volta ci siamo ritrovati con i figli a casa per un tempo molto più ampio di un fine settimana, con la grossa limitazione di non poter uscire dalla propria abitazione e di non essere in vacanza. Una prigionia condivisa con piccoli esseri umani dalle infinite risorse ed energie, alcune inesauribili come il coniglio della pubblicità delle pile. Chi non ha pensato almeno una volta che i bambini piccoli sniffino cocaina appena svegli? Riescono a essere iperattivi in un lasso di tempo brevissimo, passando dal sonno alla corsa in pochi secondi. Le insegnanti stanno facendo video e dirette in streaming per portare avanti le lezione, ma – soprattutto con i più piccoli – i genitori si ritrovano di colpo a dover aiutare i figli con i compiti rendendosi conto di quanto sia difficile farli rimanere concentrati in un ambiente pieno di distrazione (questo vale anche per chi ha iniziato a fare smart working). Mentre sto scrivendo questo articolo mia moglie sta aiutando mio figlio (sei anni) a fare gli esercizi di matematica e lui si sta lamentando perché vorrebbe giocare con il suo elicottero della polizia.
Questa convivenza forzata per alcuni è peggio di un girone dantesco, moltiplicano all’infinito un’agonia e una difficoltà nella gestione dei figli, magari chi ne ha più di uno e sono molto piccoli. Facce disperate, occhiaie e un equilibrio mentale che vacilla. Per altri è un momento di condivisione che – nonostante alcune difficoltà logistiche (e non sono poche) – è un modo per passare più tempo con i propri figli, conoscendoli ancora di più. Io faccio parte della seconda categoria e sto cercando di sfruttare questo momento per capitalizzare il tempo assieme che spesso per gli impegni lavorativi è ridotto all’osso. Ovviamente non è semplice. Ad esempio sono cambiati gli spazi. Mio figlio si è impossessato di tutta la casa mettendo i suoi giocattoli in ogni posto libero ottenendo il possesso di tutto per usucapione. Abbiamo avuto la brillante idea (brillante è fortemente ironico) di montare una piccola tenda in salotto per giocare al campeggio. Quella tenda è ancora lì e ormai fa parte dell’arredamento casalingo. Abbiamo anche disegnato un falò che, senza bruciare ma simulando la fiamma, rimane giorno e notte a farci compagnia. Nella nuova quotidianità si cercano equilibri che possano essere utili alla salute (anche mentale) di entrambi. L’altro giorno ho chiamato un mio amico che stava facendo lezioni di kung fu con i figli e non stava scherzando.
C’è chi organizza giochi in famiglia, attività oppure semplici partite a carte. Noi abbiamo costruito un cantiere con i Lego talmente grosso che abbiamo dovuto chiedere al comune il permesso per costruire, mettendoci anche degli omini anziani che guardavano i lavori in corso per rendere tutto più veritiero. Guardiamo un solo film al giorno e, per dare una certa continuità, ci stiamo rivedendo tutti i classici Disney e sono venuto a conoscenza di cose sconvolgenti. Ho scoperto che nella versione originale de Gli Aristogatti la canzone «Tutti quanti voglion fare Jazz» in realtà è «Everybody wants to be a cat» facendo vacillare alcune mie certezze. E poi mi sono reso conto quanto si riciclassero intere scene da un film all’altro. Baloo de Il libro della giungla è praticamente identico a Little John di Robin Hood, ci sono scene completamente uguali. Inoltre i personaggi fumavano, c’erano battute che adesso sarebbero censurate per i bambini. E un po’ mi è venuta nostalgia per quei tempi in cui l’estremismo del politicamente corretto ancora non esisteva o era inoffensivo.
Anche se vi consiglio di non far vedere Taron e la pentola magica ai vostri figli per non traumatizzarli (io l’ho già fatto) perché praticamente è quasi un horror. A parte le cose frivole ci sono altre che vanno affrontate in maniera seria, come spiegargli cosa sta succedendo. Ho cercato sempre di essere onesto con lui senza, però, spaventarlo. Non è facile, non lo è per niente. Quindi gli parli del virus e cerchi di fargli il perché stiamo a casa tutti i giorni. Lui poi l’ha spiegato ai suoi peluche e soprattutto a Otto, il suo preferito. Un cucciolo di pantera che lo guarda con gli occhi fissi. Devo parlare di Otto in questo articolo perché me l’ha chiesto espressamente quando ha capito il mio lavoro osservandomi da vicino e comprendendo anche le mie esigenze. Forse, se guardiamo il lato positivo di un evento negativo, ci sono delle cose che ci serviranno anche dopo, quando tutto questo sarà finito. Abbiamo imparato (siamo stati costretti a farlo) a conoscerci meglio.