Opere di beneLa grande campagna di solidarietà della Cei

La grande assente. Era stata definita così la Chiesa cattolica italiana a fronte dell’emergenza sanitaria nazionale da Covid-19, ma la Cei e altre associazioni si sono mosse, in silenzio, e stanno aiutando moltissimi italiani

La grande assente. Era stata definita così, nella prima metà di marzo, la Chiesa cattolica italiana a fronte dell’emergenza sanitaria nazionale da Covid-19. E con essa il Vaticano secondo il generale quanto inesatto criterio identificativo e sovrappositivo.

Ma, se è innegabile che si è dovuto attendere il 13 marzo per il primo stanziamento di  10 milioni di euro alle 220 Caritas diocesane e mezzo milione alla Fondazione Banco Alimentare onlus da parte della Conferenza episcopale italiana (Cei), è altrettanto vero che il volontariato cattolico si è dato da fare sin dalla prima ora insieme con congregazioni religiose maschili e femminili che gestiscono ospedali e case di cura.

Una macchina della solidarietà che, avviata con lentezza a livello centrale, ha assunto dimensioni considerevoli nel volgere delle tre ultime settimane. E questo proprio grazie alla Cei mentre nelle singole diocesi si sono moltiplicate le iniziative: dal sostegno ai lavoratori in difficoltà, come fatto a Milano con l’istituzione del Fondo San Giuseppe (2 milioni di euro), alle donazioni di ventilatori polmonari o di denaro a ospedali; dalla messa a disposizione di strutture ecclesiastiche per la Protezione civile, per la quarantena di persone positive al Covid-19 e dimesse dagli ospedali, per l’accoglienza di senzatetto agli aiuti verso persone che, uscite dal carcere a fine pena, affrontano lo scoglio  del reinserimento lavorativo. 

E poi c’è tutto il sommerso del non detto, secondo la massima evangelica del «non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra». Nonché le “opere di  misericordia spirituale”, frutto di quella virtù teologale della carità, che altrimenti sarebbe mera filantropia.

In quest’ottica sono da leggere anche le misure adottate progressivamente dalla Cei a partire dal 12 marzo. E così, dopo il primo stanziamento del 12 marzo, se ne sono avuti altri due di 3 milioni ciascuno, che, rispettivamente disposti il 24 e il 30 marzo e sempre provenienti dall’8xmille, sono stati devoluti a favore di strutture ospedaliere. I primi per il Cottolengo di Torino, il Panico di Tricase (Le), il Maria Santissima di Troina (En) e il Poliambulanza di Brescia; i secondi, invece, per il Gemelli di Roma, il Villa Salus di Mestre (Ve) e il Miulli di Acquaviva delle Fonti (Ba).

E, se il 3 aprile la Conferenza episcopale ha deciso di aiutare anche Paesi africani e poveri donando sei milioni di euro per ospedali e formazione del personale, ieri ha annunciato un ennesimo intervento «a sostegno di persone e famiglie in situazioni di povertà o di necessità, enti e associazioni che operano al superamento dell’emergenza provocata dalla pandemia, enti ecclesiastici in situazioni di difficoltà» in area italiana.

Si tratta, come recita il comunicato ufficiale diramato dall’Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali della Cei, di «200 milioni di euro, provenienti dall’otto per mille che i cittadini destinano alla Chiesa cattolica e recuperati dalla finalità a cui erano stati destinati, essenzialmente l’edilizia di culto. Di questi, 156 milioni sono ora ripartiti, in modo proporzionale, fra tutte le Diocesi.

L’erogazione avverrà entro fine aprile e impegna – spiega una nota della Conferenza dei vescovi – a un utilizzo di tali risorse entro il 31 dicembre 2020; la rendicontazione – che dovrà essere inviata alla Segreteria generale della Cei entro il 28 febbraio 2021 – si atterrà al dettato concordatario (legge 222/85) e ai criteri di trasparenza, rafforzati dall’Assemblea generale del maggio 2016. 

Tenuto conto delle differenti situazioni esistenti sul territorio nazionale, le modalità di tale rendicontazione non seguiranno la griglia predisposta per i fondi ordinari, ma dovranno specificare: i soggetti destinatari delle erogazioni, le causali, le somme erogate, i relativi giustificativi – secondo prassi – delle attività sostenute».

Uno stanziamento indubbiamente considerevole, che, non senza retorica, è stato già definito “il Piano Marshall della Chiesa italiana”. Sulle modalità di devoluzione alle singole diocesi, cui si accenna nel comunicato ufficiale, il direttore dall’Ufficio nazionale per le Comunicazioni sociali della Cei, Vincenzo Corrado, dice a Linkiesta: «Il contributo è ripartito essenzialmente in base al numero degli abitanti. Si è preferito non distinguere tra chi è stato più colpito e chi meno, perché, oltre a essere difficile, abbiamo considerato che l’emergenza non è tanto o solo sanitaria, ma anche economica e sociale​».

Un’iniziativa, quella della Cei, che è stata accolta con soddisfazione anche da preti di strada come, ad esempio, don Ciro Cozzolino, parroco della Santissima Trinità a Torre Annunziata (Na) e referente locale di Libera. Associazioni, nomi e numeri contro le mafie

«Si tratta di un gesto significativo e importante – spiega il sacerdote dell’area vesuviana, particolarmente flagellata dalla camorra – che permetterà di ulteriormente aiutare persone e famiglie in difficoltà. La situazione a Torre Annunziata, per esempio, è già una situazione complessa di suo, soprattutto in alcune zone della città. A questa si aggiunge tutta quella fascia di persone che, prima dell’emergenza sanitaria, riusciva a vivere anche facendo lavori in nero. Si tratta indubbiamente di una situazione nuova e la risposta, che dovrebbe venire dalle istituzioni e dalla società civile, è una risposta un po’ affannata. Si cerca di fare di tutto e di più perché si capisce l’urgenza. Però ci sono i tempi organizzativi e i tempi organizzativi non sempre corrispondono alle esigenze delle persone». 

Cozzolino aggiunge che i tempi sono fondamentali: «C’è chi cerca di approfittare di tale situazione. Tempo fa ho scritto una lettera mettendo in guardia le persone dal rischio dell’usura, dalla tentazione di cedere a questi sanguisuga, che si presentano al momento come amici ma poi aggravano la situazione. Ecco, perché la macchina della solidarietà deve essere piuttosto veloce: questi problemi, che ora non si percepiscono, rischiano di palesarsi in tutta la loro forza negativa successivamente».

 

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