Per fare il pane Cercasi lievito disperatamente

Che cos’è e come mai è diventato l’oggetto del desiderio di milioni di italiani il cubetto che ci permette di trasformarci in panificatori

Foto assitol

È il principe azzurro della quarantena, l’amante segreto di milioni di italiani. L’oggetto del desiderio di tutti i panificatori seriali: è il lievito, ormai una chimera per la maggior parte di noi, orfani dell’impasto. E mentre nel resto del mondo è la carta igienica a mancare dalle corsie dei supermercati, per noi i cubetti da 25 g di lievito di birra sono scomparsi ormai da settimane dai frigoriferi di quasi tutta la GdO.

È un complotto della confraternita dei panificatori, che non vogliono che autoproduciamo? O più semplicemente le aziende non erano pronte a questa domanda amplificata dal bisogno di impastare per dimenticare?

Il report Coop registra un incremento di lievito di birra del +203% (contro un +117% delle prime tre settimane di lockdown): vuol dire che non ci siamo fermati alle prime difficoltà con biga e fermentazione, ma anzi ci stiamo dando sempre più da fare per avere in casa l’alimento base, e vogliamo che sia prodotto da noi.

«Per le aziende non è semplice: il lievito è un microorganismo vivente che ha i suoi tempi, non deriva da un processo industriale intensivo, facile da dimensionare a seconda delle richieste. Il lievito, infatti, si coltiva, non si fa: si tratta di un microrganismo che prende vita da un sottoprodotto di origine agricola. Ci spiega come viene prodotto Pietro Pasturenzi, presidente del Gruppo Lievito da zuccheri di ASSITOL, l’Associazione italiana dell’industria olearia, che rappresenta il settore.

«In pratica tutto si basa sulla fermentazione dello zucchero, un processo che non ha nulla di artificiale e che, ovviamente, ha i suoi tempi». Questo microrganismo, ricco di virtù benefiche per la salute non è di sicuro uno dei prodotti più conosciuti. Per questo l’associazione ha lanciato un sito, in cui si approfondisce il mondo che ruota intorno a questa officina biologica.

Prosegue Pasturenzi: «È un processo naturale che inizia in laboratori specializzati. Si parte da ceppi selezionati che sono il vero patrimonio dei produttori. Di solito il lievito da panificazione si prende dalla natura, sui cereali. Una volta selezionati i ceppi da utilizzare, si fanno moltissimi test per vedere come si moltiplicano e poi andando a vedere fisicamente come si compartano in un impasto: si verificano la facilità di riprodursi e lo sviluppo di co2. A quel punto i ceppi scelti si conservano in purezza, a meno 50/60 gradi. Una volta al mese, dai laboratori, si va prendere qualche cellula e le si fanno moltiplicare. Si preparano degli strisci, su terreni inclinati in una provetta, dove si fanno crescere questa cellule prese dal campione iniziale.

Il prodotto di queste colture si manda ai centri operativi, alle fabbriche, che iniziano la produzione vera e propria. La mia azienda, la ab mauri http://www.abmauri.it di Casteggio, parte da un ceppo selezionato per rispecchiare le caratteristiche selezionate dall’azienda a seconda del tipo di lievitazione che si desidera e a seconda del tipo di prodotto che deve andare ad alimentare: non tutti i lieviti sono uguali e a seconda del tipo di lievitato da produrre serve una tipologia di lievito con differenti caratteristiche. Con qualche milligrammo di questi ceppi si fa la produzione, che dura una settimana, perché la fermentazione lavora in scala: non si può prendere qualche mg e metterlo nel fermentatore!

In 24 ore dal ceppo originale si produce un grammo di lievito, che viene utilizzato per lo step successivo. Passano altre 24 ore e diventano 300/400 g, che vanno nel fermentatore successivo per altre 24 ore: a quel punto ho 400 kg di lievito. Li passo quindi nel fermentatore da 250 metri cubi per altre 24 ore e produco 30 tonnellate, e così finisco quello che noi chiamiamo il ciclo madre. Questo serve per avere una biomassa sufficiente da utilizzare come stater per fermentatori enormi da 400 metri cubi. Tutti i giorni finiamo questa fase che ci permette di inoculare 4/5 fermentazioni finali, che è la nostra massima capacità produttiva. Ma il processo non è ancora finito: dobbiamo poi passare al confezionamento finale. E confezionare un prodotto vivo non è come fare dei bulloni. Dipende da quante linee di confezionamento ha un’azienda. La nostra, per esempio, ne ha 5, ma normalmente ne usiamo tre su tre turni lavorativi per 5 giorni. Nelle ultime settimane stiamo lavorando a ciclo continuo e abbiamo dovuto assumere personale e istruirlo. Siamo stati fortunati perché non abbiamo avuto casi all’intero dell’azienda, anche se un po’ di panico si era creato, visto che siamo vicini a Pavia.  Abbiamo trovato persone extra per la produzione e ci siamo organizzati per far lavorare da casa quelli che potevamo. E alla fine siamo riusciti a fare buone produzioni.»

Da dove arriva la richiesta, prevalentemente?

«Tutte le fabbriche hanno aumentato i turni per cercare di produrre il più possibile e coprire così la forte richiesta arrivata dalla GdO. I piccoli artigiani come i panettieri, che valgono il 60% del mercato, hanno subìto un calo, alcuni hanno chiuso, mentre l’industria ha avuto un piccolo aumento di richiesta di lievito perché produce il pane a lunga conservazione e tutti i lievitati. Ma il grosso della domanda è arrivata proprio dai supermercati e anche spingendo al massimo non si riesce a coprire tutta la richiesta che nel nostro caso per esempio viene non solo dall’Italia ma anche dall’estero.»

Continueremo a usarlo dopo l’emergenza?

«Inizialmente si pensava a un exploit, e invece le nostre previsioni sono che questa grande richiesta vada avanti diversi mesi. Però io penso che se piano piano riparte tutto chi torna a lavorare non avrà più il tempo per fare il pane in casa e tornerà a comprarlo. Non credo che sia un ritorno all’antico: quando saremo di nuovo tutti di corsa per andare al lavoro il pane lo andremo a comprare come facevamo prima.»

Questa corsa al lievito di sicuro non ce la aspettavamo: gli italiani hanno sempre panificato ma i numeri di queste settimane sono letteralmente fuori controllo. Le aziende stanno lavorando a pieno ritmo ma le caratteristiche intrinseche della produzione, che non può essere automatizzata, e le difficoltà logistiche stanno facendo rallentare le consegne. Non è affatto una speculazione, come qualcuno ha detto, ma la penuria dipende da questo aumento vertiginoso del lavoro casalingo, che è evidentemente un sistema di successo per convivere con la quarantena. In fondo non è una cosa così strana per gli italiani: cuciniamo da sempre, ma in questo momento storico abbiamo aumentato il tempo ai fornelli e abbiamo scoperto che il lievito è necessario. Inoltre, nelle ultime settimane sono cambiate le richieste dei supermercati, che hanno ordinato il lievito in versione maxi, aumentando la dimensione dei cubetti e la quantità: adesso non è difficile reperire anche i panetti da 500 g che prima erano appannaggio esclusivo dei professionisti. Quello del lievito è sempre stato un settore solido, c’è stato un ritorno alla panificazione domestica già da diverso tempo, ma di sicuro mai a questi livelli. Quando riprenderemo le nostre attività in esterno ci sarà senz’altro un calo, ma noi speriamo che questa riscoperta di qualcosa di così bello da preparare per se e per la propria famiglia prosegua anche nel post-coronavirus e rimanga una buona abitudine.

Se comunque non lo trovate, vi abbiamo spiegato come realizzare il lievito madre: molto più complesso da produrre e mantenere, ma decisamente di soddisfazione. E poi, tempo ne abbiamo, no?

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