Il testoIl discorso completo di Conte sul Mes al Senato

Il presidente del Consiglio ha chiarito che il prossimo Consiglio europeo non sarà risolutivo, vuole vuole nero su bianco la garanzia di zero condizionalità del meccanismo europeo di stabilità. E il recovery fund dovrà basarsi su quanto previsto dai trattati perché non c'è tempo

Per Giuseppe Conte il prossimo Consiglio europeo di giovedì non risolverà la questione ma vincolerà il prossimo incontro dei 27 leader Ue. Il meccanismo Sure e la garanzia Bei vanno bene, ma non sono sufficienti. Il Consiglio europeo dovrà chiarire nero su bianco che non ci saranno condizionalità sul Mes. Rifiutare la linea di credito sarebbe un danno per i Paesi che lo hanno chiesto. Va bene la proposta francese di recovery fund ma servono delle integrazioni. Va molto bene la proposta del premier spagnolo Pedro Sanchez di un recovery fund da circa 1.500 miliardi di euro finanziato attraverso debito perpetuo dei Paesi dell’Ue da assegnare tramite trasferimenti, e non come debito, tra i Paesi maggiormente colpiti dalla crisi. Questo è il succo del discorso pronunciato dal presidente del Consiglio «Non siamo di fronte a un negoziato a somma zero. Non ci saranno vincitori e perdenti. O vinceremo tutti o perderemo tutti».

 

Il testo completo

L’Unione europea e l’Eurozona non possono permettersi di ripetere gli errori commessi durante la crisi finanziaria del 2008. Allora non si riuscì ad affrontare in modo coordinato, unito e solidale uno shock comune e si decise addirittura un consolidamento fiscale affrettato e ingiustificato che, amplificando le divergenze fra i Paesi, produsse un secondo shock di natura asimmetrica nel 2010-11, portando alla crisi dei debiti sovrani e condannando l’Europa a una recessione più prolungata e a una ripresa più lenta e più debole rispetto alle altre maggiori aree economiche del mondo.

È un rischio che adesso non possiamo correre, poiché il fallimento nel produrre una risposta adeguata e coraggiosa porterebbe – inevitabilmente – grave danno allo stesso progetto europeo.

L’Eurogruppo dello scorso 9 aprile ha preparato un rapporto per la risposta economica dell’Unione all’emergenza sanitaria ed economica che, oltre a tenere conto dei progressi compiuti, predispone un pacchetto di strumenti a disposizione degli Stati membri composto da quattro elementi principali.
Innanzitutto, viene costituito un fondo di garanzia europeo presso la Banca Europea degli Investimenti, la BEI, dotato di 25 miliardi di euro, che dovrebbe consentire l’attivazione fino a 200 miliardi di euro di finanziamenti per gli investimenti all’interno dell’Unione.

Il secondo elemento del pacchetto è il cosiddetto piano “Sure”, uno strumento di assistenza finanziaria che potrà erogare sino a 100 miliardi in linee di credito dedicate alle misure di sostegno al reddito dei lavoratori temporaneamente privi di impiego.

Questi due elementi, seppure ancora insufficienti, già si caratterizzano per un finanziamento con garanzie comuni, e quindi a tassi di interesse particolarmente bassi, per spese e investimenti da effettuare nei Paesi membri.

Sul terzo elemento del pacchetto, ovvero l’attivazione di una linea di credito dedicata alle spese sanitarie ed erogata dal Meccanismo europeo di stabilità (l’ormai strafamoso Mes), si è alimentato, nelle ultime settimane, un dibattito che rischia di dividere l’Italia in opposte tifoserie.

Insieme ad altri otto Paesi membri, l’Italia ha lanciato una sfida ambiziosa all’Europa, invitandola a introdurre nuovi strumenti per affrontare e superare al più presto questa crisi. Alcuni di questi Paesi, che hanno condiviso questa nostra impostazione, hanno dichiarato da subito, penso alla Spagna, di essere interessati al Mes, purché non abbia le rigide condizionalità applicate in altre circostanze, ma solo la condizione che l’utilizzo del finanziamento sia per far fronte alle spese sanitarie, dirette e indirette. Rifiutare la nuova linea di credito significherebbe fare un torto ai Paesi, che pure sono a noi affiancati in questa battaglia, e che intendono invece usufruirne.

Resto però convinto che all’Italia serva altro.

All’ultima riunione dell’Eurogruppo è stato compiuto un deciso passo avanti in tale direzione, perché nel paragrafo 16, relativo all’utilizzo del Mes, è stata proposta una nuova linea di credito, chiamata “pandemic crisis support” e adattata alla natura simmetrica dello shock legato al Covid-19, soggetta alla sola condizione dell’utilizzo del finanziamento per le spese sanitarie e di prevenzione, dirette e indirette. Per capire se effettivamente sarà così, bisognerà però attendere l’elaborazione dei documenti relativi ai termini di finanziamento, che verranno predisposti per erogare questa nuova linea di credito.

Su questo versante mi attendo ulteriori chiare prese di posizione anche in seno al Consiglio Europeo, e in ogni caso siamo disponibili a lavorare con i Paesi direttamente interessati a questa nuova linea di credito affinché, anche in sede regolamentare, non siano introdotte condizionalità di sorta, macro-economiche o più specifiche.

Quanti oggi esprimono dubbi e perplessità su questa nuova linea di credito contribuiscono a un dibattito democratico e costruttivo, e sono io il primo a dire che bisognerà valutare attentamente i dettagli dell’accordo. Solo allora potremo valutare se questa nuova linea di credito pone condizioni, quali condizioni pone, e solo allora potremo discutere se il relativo regolamento può essere o meno conforme all’interesse nazionale, se può essere o meno conveniente e opportuno rispetto agli interessi nazionali.

Come ho già dichiarato in altre sedi, ritengo che questa discussione, in un Paese civile e democratico, debba avvenire in modo pubblico e trasparente, dinanzi al Parlamento, al quale spetterà l’ultima parola. Ma la verità è che la trattativa in cui siamo impegnati in Europa è particolarmente complessa perché la risposta comune non può poggiare solo su queste misure: deve essere molto più efficace e consistente.

Noi siamo ben convinti della forza delle nostre ragioni.

All’inizio eravamo soli. Nelle scorse settimane ho però proposto una lettera, un vero e proprio manifesto programmatico, che è stato sottoscritto da altri 8 Paesi, che ora sono con noi a chiedere strumenti nuovi, adatti alla situazione eccezionale che stiamo vivendo.

Il quarto elemento del pacchetto è un pezzo fondamentale della nostra azione europea: uno European Recovery Fund, che possa finanziare progetti comuni di interesse europeo, per avviare un piano di ricostruzione fondato sugli investimenti, l’innovazione, la sostenibilità ambientale, la tutela della salute e dell’ambiente.

Il rapporto dell’Eurogruppo dello scorso 9 aprile richiama la necessità di costruire questo strumento, che l’Italia intende realizzare quanto più velocemente possibile, strutturandolo come un veicolo in grado di finanziarsi con debito comune sui mercati finanziari. Sarà – questo – il tema centrale della videoconferenza dei membri del Consiglio europeo, previsto per il prossimo giovedì 23 aprile.

L’Italia, insieme agli altri Paesi che condividono questa medesima linea, sostiene la necessità di una risposta coordinata e ambiziosa allo shock da Covid-19 con la conseguenza che questo nuovo strumento di finanziamento dovrà

  1. essere conforme ai trattati europei, perché non abbiamo il tempo di operare modifiche che comporterebbero una lunga e complessa procedura; gestito a livello europeo e offerto a tutti i Paesi interessati, senza assumere carattere bilaterale,
  2. dovrà essere particolarmente consistente quanto alla dimensione finanziaria, ben più consistente degli strumenti di cui attualmente si parla,
  3. dovrà essere mirato a far fronte a tutte le conseguenze negative economiche e sociali prodotte dal Covid-19,
  4. dovrà essere immediatamente disponibile e se pure verrà a ricadere nel nuovo Quadro Finanziario Pluriennale, dovrà essere messo a disposizione di tutti i Paesi interessati, subito, è possibile farlo tecnicamente attraverso un meccanismo di garanzie che ne anticipino l’applicazione (c.d. bridge),
  5. non dovrà avere le condizionalità, anche in termini di cofinanziamento o modalità di spesa, che caratterizzano gli ordinari piani di finanziamento strutturali dell’Unione europea.

Al momento abbiamo una iniziativa della Presidente della Commissione europea che, per quanto da essa stessa specificamente anticipato, potrebb avere tutte queste caratteristiche e muovere proprio in questa direzione.

Sul tavolo vi è anche una proposta francese che legherebbe il Recovery Fund a un veicolo costruito ad hoc, in grado di emettere strumenti di debito comune e di erogare fondi ai paesi membri. Noi appoggiamo questa proposta, avendo però chiesto di integrarla nella sua originaria formulazione, in modo da rispondere più puntualmente e ampiamente ai requisiti che riteniamo imprescindibili.

Da ultimo è stata presentata anche una proposta spagnola che pure, con qualche suggerimento di variazione, potremmo appoggiare, per la conformità alle caratteristiche e alle finalità più sopra indicate.

Ai Paesi che condividono con noi la medesima linea di intervento abbiamo riservatamente anticipato anche una nostra proposta, sempre in questa nuova direzione, che riteniamo pienamente conforme all’art. 122 del Trattato europeo, ma a noi interessa portare a casa un risultato, non ci interessa in questo momento rimarcare la nostra primazia. In questo momento riteniamo opportuno condividere quanto più possibile le proposte, senza rischiare di dividerci, con la conseguenza di rallentare, non ce lo possiamo permettere, il processo decisionale.

Dobbiamo agire presto perché il ritardo comprometterebbe il risultato: è un rischio che l’Europa, non l’Italia, non può correre. Dobbiamo affrettarci, senza indugio, a rafforzare la nostra casa comune, e dobbiamo ripararla in fretta per sperare di competere in modo efficace con le altre economie mondiali. Quest’ultimo aspetto non riveste certamente minore importanza: al mantenimento di un equilibrato e sostenibile mercato interno fa evidentemente da corollario, nell’azione esterna dell’Unione europea, quel “level playing field”, quella parità di condizioni che le consentirebbe di restare al passo con i grandi players globali.

Le consultazioni da me avute in questi giorni sia a livello G7 sia a livello G20, hanno fatto da subito emergere – cosa che non smetto di segnalare ai miei omologhi – la magnitudo dello spazio fiscale messo in campo da USA, Cina e Giappone. Di fronte a ordini di grandezza di diversi trilioni di dollari, la risposta complessiva europea non si è ancora configurata ad un livello adeguato.

È per questa ragione che non potrò accettare un compromesso al ribasso. Qui non siamo di fronte ad un negoziato a somma zero. Non ci saranno alcuni vincitori ed alcuni perdenti. Sono intimamente convinto, parlando di Europa, che o vinceremo tutti o perderemo tutti. Il prossimo incontro europeo a livello di leader dei 27 Stati Membri dell’Unione europea non ritengo sarà risolutivo a questo fine, ma farò di tutto perché esprima già il prossimo Consiglio europeo un indirizzo politico chiaro nell’unica direzione ragionevole.

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