Vogliamo gli umanistiForse la pandemia ci ha chiarito che la scienza non pensa

Un virologo non può spiegare il significato della virologia con i suoi strumenti, né l’economista può spiegare quello dell’economia attingendo unicamente alla sua esperienza. Dovranno essere i cultori delle vecchie, claudicanti, fallibilissime, presbiti materie umanistiche, a farlo

Mbzt

Se, per la scienza, la scienza è la più efficace strategia evolutiva di homo sapiens, per la filosofia la scienza è solo una tra le modalità di interazione dell’essere umano con l’essere tout court, e il suo ruolo va continuamente valutato e ridefinito.

Oggi ci troviamo concettualmente frantumati. Da qui, il nostro spaesamento di fronte all’epidemia da coronavirus. Ogni virologo vede la vita ruotare attorno al virus. L’infettivologo all’infezione. L’economista all’economia, eccetera.

In buona fede non hanno la possibilità, nell’ambito della loro disciplina, di analizzare dall’esterno il proprio pensiero, e quindi di relativizzarlo, di inserirlo in un sistema più complesso, in una sintesi.

Quindi ascoltiamo un signore al tg e vorremmo tenere tutto chiuso per secoli, dato che i comportamenti di un semi-organismo di un centinaio di nanometri, per ora abbastanza oscuri, sono il centro di quel mondo. Ascoltiamo un altro signore al tg e riapriremmo tutto subito, dato che adesso il centro del mondo è il prodotto interno lordo, la sua crescita e la sua redistribuzione. 

Cos’è più importante?  Evitare che una sola persona in più di quelle che avremmo potuto salvare muoia per la malattia? Se altri moriranno per povertà, suicidi o tensioni sociali, potremo comunque avere la coscienza a posto: avremo garantito direttamente la salvaguardia del bene che qui consideriamo più prezioso, la salute. Se indirettamente altre cause lo mineranno, quel bene ora supremo, allargheremo le braccia e diremo: e cos’altro avremo potuto fare?

O forse è più importante garantire che il sistema socioeconomico nel suo complesso resti solido, assumersi la responsabilità di un rischio maggiore per gli individui più fragili, decidere consapevolmente per la morte di qualcuno (leggi: gli anziani), piuttosto che di qualcun altro? Perché, se le risorse dovessero scarseggiare sul serio (anche quelle necessarie alla sanità), la morte colpirebbe qua e là, dove vuole, chissà, magari perfino con più violenza, senza che noi possiamo direzionarne in alcun modo la falce.

Cos’è più importante? Non lo sappiamo. Non ne abbiamo la più pallida idea. Viviamo in un’era di schizofrenia filosofica. Per molto tempo abbiamo sopportato l’idea della morte grazie alla promesse ultraterrene delle religioni. Nel mondo secolarizzato dobbiamo aggrapparci con le unghie all’esistenza biologica come all’unico scoglio che spunta dall’eterno abisso del nulla. E c’è poco da fare: di fronte al one shot, al “o la va o la spacca”, alla mancanza di alternative plausibili, tendiamo tutti all’isteria.

Forse le tanto bistrattate materie umanistiche un loro scopo ce l’hanno ancora. È chiarire l’idea. Intesa nel senso greco di visione. Orientarsi, guardare dove stiamo andando. Dare un senso. E cioè una direzione. Con una parola che va molto di moda e quindi rischia di essere svuotata del suo significato più autentico, creare una narrazione. Una storia, anche quando parla di eventi terribili – una tragedia, o di eventi orribili – un horror, ci dà piacere perché ci redime dal caos, fonda il suo bene e il suo male, immagina il suo inizio e la sua fine.

Per tutta la seconda metà del ‘900 abbiamo avuto le idee chiare. Erano di fatto due. Comunismo: uguaglianza. Mondo libero: benessere. Ogni cosa era potenzialmente sacrificabile al cospetto di quei due valori supremi. Quanto questi impianti realizzassero effettivamente le proprie premesse ora non ha importanza: organizzavano in ogni modo la mentalità di miliardi di persone, le loro priorità, la loro felicità, la loro salvezza, il loro bene e il loro male. 

Dopo una breve illusione di fine della Storia, ci abbiamo provato con lo scontro di civiltà. Ma non ha funzionato. Prova: dallo scoppio dell’epidemia, di fanatismo islamico non si è più sentito parlare. Il senso, a volte considerato un capriccio di chi si può permettere di non lavorare, ha dimostrato la sua necessità proprio in questi giorni. Eccoci di nuovo all’aprire tutto, al chiudere tutto. Dammiti, prenditi, oggi la visione del mondo è un cuccurucù. 

La globalizzazione, più che una scelta umana, dà ormai l’impressione di essere un movimento tellurico, impossibile da fermare e difficile da controllare. Avvantaggia molti, svantaggia alcuni – c’è chi crede comunque troppi. In ogni caso, essere contro la globalizzazione è come essere contro i terremoti. Non è una filosofia, è un fatto. Umanizzarla, parlarle, convincerla, inquadrarla, darle un senso, non può toccare agli scienziati: sarebbe come pretendere di farla dialogare con un braccio, con un metatarso, con un intestino crasso.

Perché, come diceva Heidegger, la scienza non pensa: un virologo non può spiegare il significato della virologia con gli strumenti del virologo; l’economista non può spiegare il significato dell’economia con gli strumenti dell’economista. Dovranno essere i cultori delle vecchie, claudicanti, fallibilissime, presbiti materie umanistiche, a inoculare un nuovo pensiero nel corpo inerte della Storia.

Le newsletter de Linkiesta

X

Un altro formidabile modo di approfondire l’attualità politica, economica, culturale italiana e internazionale.

Iscriviti alle newsletter