Nella confusione generale, tra migliaia di tamponi, bollettini inaffidabili e una noiosa quarantena, gli italiani hanno capito di sicuro una cosa: la pandemia è destinata a durare a lungo. Fin quando non si troverà un vaccino bisognerà trovare una soluzione concreta per tornare al lavoro senza essere contagiati. Uffici, spazi pubblici, aeroporti, strade, stazioni e scuole dovranno essere a prova di coronavirus per far riprendere un po’ la nostra economia.
In attesa di un’altra task force nominata dal governo conte o un super commissario destinato a essere commissariato dal prossimo ultra commissario, due urbanisti statunitensi di alto livello, Richard Florida (University of Toronto’s Rotman School) e Steven Pedigo (University of Texas) hanno preparato per la Brooking Institution un piano per riaprire le nostre città con regole per ridurre gli affollamenti e mantenere le distanze. Il miglior modo per evitare che le prossime ondate di contagi portino a chiudere tutto, di nuovo.
«La parola d’ordine sarà ammodernamento. Dovremo ripensare al nostro modi di fare le file, di vivere gli spazi pubblici, e prendere i mezzi di trasporto. Non sarà poi così diverso da quello che hanno fatto gli aeroporti dopo l’11 settembre 2001. Prima non c’erano controlli stringenti su cosa portassero le persone, s poteva portare addirittura il caffè da casa all’aereo. Poi ci siamo abituati a una maggiore sicurezza. Il punto centrale però sarà l’atteggiamento mentale: non si tratta solo di riaprire tutto e cercare di non ammalarsi, è una questione di resilienza per il futuro», spiega Pedigo a Linkiesta.
In effetti gli aeroporti sono già attrezzati con strumenti per limitare l’afflusso incontrollato di persone. Bisognerà aggiungere controlli di temperatura, fissi e mobili, dispenser di gel igienizzanti e colonnine che daranno mascherine e guanti gratuiti. Ogni aeroporto e stazione dovrà avere quelle strutture da simil “cabine telefoniche” sviluppate in Corea del Sud. Le compagnie aeree dovranno ridurre il numero di passeggeri, mantenere libero il posto in mezzo nelle file da tre e rivoluzionare il modo in cui imbarcano le persone, chiamando uno alla volta dalla prima fila all’ultima.
Nelle aree di attesa ai gate e nei corridoi si possono disegnare delle linee colorate che guidano i passeggeri e delimitano il distanziamento sociale. Un modo più economico e meno invasivo per evitare di impiegare poliziotti o agenti di sicurezza che potrebbero essere contagiati. Tutte queste indicazioni si possono applicare agli ospedali, ma anche alle stazioni ferroviarie, mentre i treni dovranno mantenere la prenotazione “a scacchiera” per evitare che due persone siano sedute vicine.
«Dovrà cambiare il modo in cui concepiamo i nostri ristoranti, bar e caffetterie. Distanza tra i tavoli, una mensa buffet a cui potersi servire uno alla volta, menu fissi per rassicurare i clienti su cosa viene cucinato e da chi. Il governatore della California, Gavin Newsom, ha imposto ai ristoranti di usare bicchieri di carta usa e getta», spiega Pedigo.
Il problema vero sarà gestire i grandi eventi in stadi, cinema e teatri. Oltre ai guanti, le mascherine, le colonnine igienizzanti e lo screening della temperatura che dovranno essere forniti dalle compagnie per trasmettere sicurezza ai clienti. Sarà necessario ridurre le dimensioni del pubblico lasciando tanti posti vuoti. E i governi dovranno pensare a delle sovvenzioni per recuperare il gettito perduto.
«Per evitare il congestionamento delle auto, le città dovranno pensare a un trasporto attivo che permetta ai cittadini di potersi spostare su più mezzi singoli: a piedi, in bici, ma anche con monopattini e scooter», spiega Pedigo. Per questo i sindaci dovranno pensare a pedonalizzare vaste aree della città per evitare ai cittadini di ammassarsi nei marciapiedi.
Un altro nodo cruciale riguarda le scuole e le università «Prima di entrare in classe a ogni bambino bisognerà controllare la temperatura per sapere se ha la febbre e ovviamente i genitori non dovranno neanche entrare nell’edificio ma lasciare il figlio all’entrata. La stessa cosa che spesso succede già oggi in alcune residenze per gli anziani.
Dovremo pensare anche a classi più piccole e questo vuol dire aumentare gli investimenti nell’educazione. Un prezzo da pagare per la nostra sicurezza», spiega Pedigo. «Aumenterà la didattica online ma serve uno sforzo di creatività anche da parte delle università perché serve anche il rapporto umano. Bisognerà formare gruppi di lavoro e di studio più piccoli e rinunicare alle aulee tradizionali ristrette e anguste con centinaia di studenti che seguono una sola lezione. Lì è altissimo il rischio di contagio».
Bisogna chiarire poi due concetti.
Primo, i lavoratori in prima linea come infermieri, addetti alle pulizie di uffici e ospedali, impiegati di negozi di alimentari, magazzinieri, addetti alle consegne dovranno avere un equipaggiamento adeguato. Non solo guanti e mascherine, ma in alcuni casi anche tute.
Secondo, «la dura verità è che quando riapriremo le nostre città non tutti potranno tornare in ufficio. Questa intervista la stiamo realizzando grazie alla tecnologia, lo stesso si può fare per la maggior parte dei lavori intellettuali. Sempre più aziende dovranno spingere per il lavoro a distanza per diminuire la quantità di persone che nelle ore di punta usa i mezzi di trasporto per andare al alvoto e congestiona le strade, metropolitane o treni».
Tutto bello ma per realizzare il telelavoro e la medicina a distanza serve un’infrastruttura tecnologica solida con internet veloce e diffuso in tutto il Paese. «Perfino qui ad Austin, in Texas, uno degli hub tecnologici degli Stati Uniti in alcuni quartieri il nostro Wi-Fi è lento e le reti digitali non abbastanza affidabili. Immaginiamo nel resto del mondo. La lezione che abbiamo imparato dal coronavirus è l’importanza anche della sanità pubblica che ha bisogno di investimenti», conclude Pedigo.