Non possiamo sbagliare: i momenti di crisi rivelano le competenze e le leadership collettive e l’impatto dell’epidemia sul turismo è la più grave crisi della nostra storia (persino durante la guerra gli alberghi erano rimasti aperti). Non possiamo sbagliare perché il futuro della nostra industria dell’ospitalità si scrive in questi giorni.
Abbiamo bisogno di un Recovery Plan, di un piano per la nostra industria dell’ospitalità, fatto di poche cose: molto puntuali, molto concrete, molto realistiche, con il timing giusto e con la lucidità necessaria per intervenire nei punti (e nei modi) appropriati, con mente aperta e con cognizione di causa. Niente vestiti per tutte le stagioni, niente ritorni al già detto, ma comprensione della situazione inedita e focus sul che fare qui e ora.
Intanto, il quadro della situazione: il fatturato complessivo degli alberghi italiani è di circa 20 miliardi di euro all’anno. Tenendo conto dei tassi d’occupazione mensili, e della situazione clienti-zero di alcuni mesi, e pronosticando una ripresa lenta in estate e autunno (vi risparmio i metodi di calcolo) si arriva alla conclusione che la perdita netta del settore è di almeno il 60 per cento del fatturato (considerando l’intero 2020).
Perciò le entrate perse ammontano a circa 12 miliardi di euro. Un salasso e probabilmente nessun settore è danneggiato quanto il turismo. L’impressione (per forza dev’essere un’impressione, visto che si tratta di un virus inedito) è che il ritorno alla situazione con un fatturato pari a quello pre-crisi si avrà 18 mesi dopo il picco di contagi, perciò nel terzo trimestre del 2021. Questa è la situazione oggi.
Quello di cui stiamo parlando è la caduta della domanda, che dipende da due fattori: la legge e la psiche. La prima dipende direttamente (o quasi) dall’andamento della curva dell’epidemia, per cui è inutile qualunque iniziativa sulla domanda, fintanto che i movimenti delle persone non siano liberi; i trasporti aerei non riprendano e così via; il secondo fattore è più sottile e più potente, perché il consumo di vacanze (ben diverso è il segmento business) non è un consumo obbligato, perciò se la gente non si sente tranquilla non parte. Questa base psicologia probabilmente durerà più a lungo del lockdown.
Quindi, abbiamo due problemi immediati: salvare le aziende e incentivare la domanda. Per le aziende ci vorrà qualcosa che possa riparare il danno, non interamente (economicamente impossibile) ma in qualche misura sì. Le aziende hanno bisogno della liquidità per riprendere l’attività, pagare gli stipendi e, grazie ai provvedimenti del governo, avranno il credito necessario.
Il credito però è l’altra faccia del debito, perciò queste imprese che, per loro natura non potranno vendere nessuno stock accumulato, si dovranno accontentare di entrate che andranno a rilento e nell’intanto dovranno cominciare a ripagare sia il debito di oggi che quello di ieri. Come potranno investire nei cambiamenti che dovranno fare in queste settimane? Il 10 per cento del fatturato perso, erogato a fondo perduto, sulla base dell’ultimo bilancio presentato, potrebbe essere una riparazione del danno equa: costerebbe al massimo 1,2 miliardi di euro, una cifra importante, ma sostenibile.
Quando si parla di turismo si parla sempre, come ci fosse un pilota automatico, della promozione, della comunicazione, insomma della domanda e mai dell’offerta, perché si fa coincidere l’offerta (implicitamente) con le nostre spiagge, il patrimonio storico-artistico, i nostri paesaggi, ma queste, in economia, sono le risorse, non il prodotto. Quello che si vende è il prodotto, cioè il modo come quelle risorse sono combinate tra loro in una maniera economicamente attraente.
Bisogna lavorare anche sull’offerta e il cuore dell’offerta sono gli alberghi. Tutti (o molti) dicono che il mondo post-epidemia non sarà uguale a quello di prima: è la consueta, scontata retorica del “mai più come prima”? Non sappiamo. Sappiamo però che l’epidemia è un formidabile acceleratore di fenomeni già in atto.
Certamente la qualità degli alberghi rappresenta il biglietto di visita più rassicurante del paese: perché è possibile tracciare ogni presenza, e nel caso di contagio, sapere esattamente chi ha rifatto la stanza, chi ci ha dormito prima e dopo il contagio (ricordo la perfetta gestione – senza alcun contagio – dei primi due turisti cinesi con il coronavirus, provenienti da Wuhan che hanno soggiornato in un albergo romano: se fossero stati in una casa sarebbe stato più difficile ogni controllo).
Saranno in grado di assicurare una sanificazione in tempo reale dei luoghi e, com’è avvenuto per le cucine a vista, che prima si cercava di nascondere, le cameriere adesso dovranno/potranno essere viste, perché la loro presenza è rassicurante; probabilmente raddoppieranno la cadenza delle pulizie (da una volta al giorno a due, come avviene oggi solo negli alberghi di categoria elevata); la domotica e la digitalizzazione permetteranno in tempo reale di controllare entrate/uscite dall’albergo; il bagno e l’igiene diventeranno centrali, per cui ci sarà bisogno di ristrutturare e ammodernare gli impianti; tutti chiederanno un mondo più sicuro.
Questo lavoro richiede costi, investimenti e cambiamenti. Se si farà, ci ripresenteremo migliori di come ci siamo lasciati. E sarà un vantaggio competitivo non irrilevante.
Veniamo agli incentivi alla domanda. Si parla molto dei voucher, strumento che in tempi normali sarebbe perfetto, ma oggi bisogna capirne la reale efficacia. Rappresentano uno sconto, ma funzionano quando c’è il desiderio dell’acquisto (cioè la tranquillità per affrontare un viaggio e stare fuori casa); funzionano quando sono automatici (credito d’imposta o sconto automatico sul conto). Devono essere mirati nel tempo: servono a riempire presto gli alberghi in estate, altrimenti nei mesi successivi non c’è più la disponibilità di tempo per le famiglie di utilizzarli.
C’è poi il target giusto: porre un limite troppo basso di reddito per il voucher rischia di includere solo persone che non li utilizzerebbero comunque, per motivi intuibili proprio guardando al reddito. Il costo dell’alloggio oggi pesa per non più del 20-30 per cento del costo complessivo di una vacanza. Perciò ok ai voucher con l’attenta calibratura, ricordando che oggi l’ostacolo fondamentale verso gli alberghi non è il costo, ma la legge e la psiche, come si diceva prima.
Il Recovery Plan, oltre al lavoro sull’offerta, lo stimolo immediato alla domanda per l’estate 2020, dovrà avere un orizzonte più ampio, perché dovremo reimmaginare (e forse reinventare) la strategia di comunicazione: sempre meno fiere (lo si sapeva già, ma adesso è palese…) e più digitale. Oggi il problema non è far conoscere l’Italia, che è già non solo ben conosciuta, ma è la più desiderata, almeno lo era prima del malefico virus asiatico. Non c’è più bisogno di mass market, ma di un marketing one-to-one (oggi è possibile farlo) e, data la circostanza epidemica, “a geografia variabile”.
Dovremo selezionare i paesi secondo criteri nuovi, non (solo) quelli demografici, ma i nuovi criteri che l’epidemia mette in evidenza: percezione dell’Italia qui e ora; propensione a viaggiare all’estero (e all’interno); ranking della sicurezza nella scala di preferenze; quota-parte dei viaggi business rispetto ai viaggi leisure. Insomma, bisogna delineare, passo passo, analizzando il fenomeno, i contorni del “new normal” del soggiorno turistico.
E nel mondo a venire l’Italia ha nuove chances: nuove rispetto al passato (ne riparleremo), senza perdere quelle già note, cambiando quelle che già adesso i nostri ospiti indicano come i “limiti” del nostro sistema di ospitalità: il sistema delle file, prima scomposte e affollate, nei luoghi di maggiore attrazione; la piena trasparenza nell’erogazione dei servizi (lotta all’abusivismo dovunque); la confusione nell’offerta delle seconde residenze (oggi fuori controllo).
È incredibile come il virus abbia messo in ginocchio, in così pochi giorni, un sistema ospitale fra i più solidi del mondo, ma è ancora più sorprendente pensare che, con la strategia (e la tattica) giuste, possiamo diventare un sistema ospitale incredibilmente più forte.