Orario balordo a parte, 20:20, la conferenza stampa di Giuseppe Conte di ieri sera è stata meno surreale del solito. Nel prorogare la chiusura totale fino al 13 aprile, il presidente del Consiglio ha detto la verità quando ha spiegato con empatia che al momento non si possono fare previsioni sulla fine della quarantena e quando con il medesimo garbo ha annunciato che a questa fase di lockdown ne seguiranno altre due: una seconda che ha definito «di convivenza con il virus» e una terza «di uscita dell’emergenza e quindi della ricostruzione».
Conte poi si è incartato sul Meccanismo europeo di stabilità, continuando a rifiutare gli aiuti miliardari dell’ex fondo salva stati perché apparentemente vuole essere aiutato, nel caso anche dal Mes, senza fornire nessuna garanzia, vuole soldi senza alcuna condizione, cosa che rende la posizione italiana quasi un capriccio adolescenziale e senza via d’uscita. Subito dopo è anche andato da Andrea Scanzi sul 9 e, tra Mes e Scanzi, Conte si è giocato quel minimo credito della conferenza stampa.
Ma il punto è esattamente quello della fase due, la convivenza con il virus. Finalmente, Conte ne ha fatto cenno. Il problema è che si è fermato al titolo. Conte non ha fatto quello che un leader civile e morale di un paese costretto alla quarantena avrebbe dovuto fare: spiegare agli italiani non tanto quando usciremo ma come sarà questa fase due, come sarà la convivenza con il virus.
E, invece, non ha raccontato che cosa sta facendo il governo per rendere sicura, quando sarà possibile, la ripresa delle attività produttive sia per i lavoratori sia per i consumatori; come sta pensando di cambiare il modo di muoversi; che provvedimenti sta studiando per il trasporto pubblico, per gli aerei e per gli aeroporti, per i treni e per le stazioni, per gli autobus e per le fermate; che suggerimenti sta dando agli industriali in modo che le aziende si riorganizzino in tempo per garantire la sicurezza di tutti quando sarà l’ora; che cosa sta dicendo ai sindacati per tutelare chi rientrerà in fabbrica, negli uffici, nei negozi, nei campi.
E, ancora, in che modo saranno ristrutturati gli ospedali e i pronto soccorso quando torneranno ad assistere i pazienti non Covid-19. E i tribunali, e le carceri. Non ha detto che precauzioni saranno adottate agli ingressi delle scuole e delle università, e dentro le classi, quando il prossimo anno ricominceranno i corsi e le lezioni. Né quali modalità saranno previste per accedere negli stadi, nei teatri, nei cinema, nei centri commerciali, nelle discoteche, ai concerti.
Non aver detto assolutamente nulla sul come dovremo convivere con il virus fa venire il dubbio che Conte e i suoi non ne abbiano idea, cosa che ci farà trovare ancora una volta impreparati quando si tratterà di ricominciare. Walter Ricciardi, capo della task force di Palazzo Chigi, ha replicato via Twitter a un giornalista assicurandolo che ci stanno lavorando, nel chiuso delle stanze, ma non è normale che dopo un mese di reclusione forzata e con gli impianti produttivi spenti come se avessimo passato ventiquattro o venticinque ferragosto di fila la comunicazione sulle modalità di ripartenza e di convivenza siano affidate a un reply su Twitter. Né che gli imprenditori, i manager, i sindacalisti, i cittadini non ne sappiano niente.
Il rischio di ripetere la grande mistificazione sulle mascherine è molto alto. Prima ci hanno detto che non servivano, poi che servivano soltanto ai medici e agli operatori sanitari, poi hanno spiegato che invece servono tantissimo a tutta la popolazione in caso di forzata e necessaria uscita dalle case, ma successivamente una circolare del ministero dell’Interno ha specificato che le mascherine professionali, quelle che grazie al respiratore evitano di prendere il virus, in realtà potrebbero anche accelerare il contagio.
Poi hanno detto che ne servono alcuni miliardi sia per gli operatori sanitari sia per convivere con il virus fino al vaccino, eppure non consentono alle aziende di produrle o di importarle in Italia mentre, ancora ieri sera, nel giorno in cui Bloomberg Businessweek titolava la copertina del magazine con un «More», di più, quasi la favolosa produzione 3M di mascherine con respiratore fosse il Manhattan Project del nostro secolo, Ricciardi diceva in tv che quelle mascherine sono pericolose perché i filtri vanno cambiati. Decidetevi, preparate la fase due, diteci la verità. E, nel caso, dateci anche i filtri.