«Piano piano bisogna mollare eh…», dicono a Palazzo Chigi nel terzo giorno in cui grazie a Dio il numero dei contagi cala e c’è il record del numero dei guariti, la famosa curva si appiattisce, la guerra continua ma pensare al dopoguerra non è una bestemmia. E dunque quel «bisogna mollare» significa allentare la pressione sull’Italia blindata, svitare qualche vite del lockdown, pensare con calcoli alla mano come riaprire qualche fabbrica già nella seconda metà di aprile. Un “Piano Exit” ancora non c’è, ma la dinamica delle decisioni è questa: sarà il comitato scientifico a mettere in campo ipotesi di graduale riapertura dei siti produttivi e delle varie attività, un lavoro complesso al quale si sta già lavorando e che verrà sottoposto a Giuseppe Conte entro Pasqua; dopodiché le decisioni saranno politiche, cioè del Consiglio dei ministri sentiti i partiti e le parti sociali. Tutto molto in fretta per cominciare a riaprire qualcosa dopo Pasqua, il 12. Le ipotesi fioccano non più sul se ma sul come riaprire, con quali garanzie per i lavoratori.
Secondo uno studio dell’Einaudi Institute for Economics and Finance (Eief) è prevedibile – rispettando rigorosamente le restrizioni attuali – che le giornate con zero contagi potrebbero essere queste: «Il Veneto e il Piemonte arriverebbero al giorno-zero tra il 14 e il 15 aprile, la Lombardia il 22 aprile e l’Emilia-Romagna il 28 aprile. Per il Lazio la direzione di marcia indica un obiettivo al 16 aprile, pochi giorni prima di Calabria e Campania. Ultima a raggiungere l’obiettivo sarebbe la Toscana, la regione dove la curva si sta piegando più lentamente, con una soglia-zero prevista per il 5 maggio». Per i ricercatori, si potrebbero «utilizzare i primi territori a zero contagi per tentare sperimentazioni sulle modalità più sicure di procedere a riaperture graduali delle imprese e della vita civile». Ieri il dato del tasso di contagiosità è stato dello 0,8, all’inizio in Lombardia era del 4. Per questo le previsioni sono abbastanza sul breve periodo.
E mentre gli studiosi lavorano sui numeri, la politica è stata scossa dal pressing di Matteo Renzi che ieri parlando con il Corriere della Sera non ha più insistito sulle date ma ha ribadito che «dobbiamo fare un piano per l’uscita, i tecnici ci dicono che è possibile che ci siano 5-10 milioni di italiani che hanno già contratto il Covid-19 senza sintomi. Se hanno sviluppato gli anticorpi, perché tenerli in casa? E anche chi non ha preso il virus può tornare a lavorare se la sua azienda rispetta le regole di sicurezza». E ormai tutta la politica si rende conto che la fase è cambiata.
Carlo Calenda, insieme a Walter Ricciardi e all’ex presidente di Bain Italia Giovanni Cagnoli (i cui interventi sono stati pubblicati la settimana scorsa e ieri su Linkiesta), ha redatto un piano che prevede un tempo realistico fra 15 e 30 giorni per realizzare le condizioni necessarie per riaprire settori decisivi dell’economia italiana. Mentre il leader della Federazione Italiana Metalmeccanici, Marco Bentivogli, ritiene che «bisogna utilizzare questi giorni per riorganizzare gli spazi di lavoro e le misure preventive per quando sarà possibile, gradualmente, riaprire senza che nessun lavoratore corra rischi. Su questo abbiamo sollecitato Federmeccanica».