Non rivedremo presto l’asteroide che colpisce la mamma, scettica sull’esistenza di una colazione “leggera, ma decisamente invitante, che possa coniugare la voglia di leggerezza e golosità”. Ma si rassicuri chi trova troppo miele e ancor più eccessiva retorica negli spot del cibo durante la quarantena: ritroveremo un poco di leggerezza e di allegria durante la lenta fase di ritorno alla normalità. Però non aspettiamoci che gli spot irriverenti e dissacranti si riaffaccino presto sul piccolo schermo.
Nel bel mezzo dell’emergenza sanitaria più grave dell’ultimo secolo, (quasi) l’unica cosa che ci è concesso fare è provvedere alla spesa alimentare. La coda fuori dal supermercato è un po’ croce e un po’ delizia (se non altro è occasione per lasciare la prigionia domestica), mentre i veri coraggiosi 4.0 sfidano quotidianamente app e siti per le consegne – a casa o click-and-collect – di Esselunga, Coop, Carrefour e compagnia, in eterna attesa di un refresh fortunato, di uno slot libero. Sempre di spesa alimentare stiamo parlando, diventata da settimane il nuovo fulcro delle fantasie e dell’operatività delle famiglie.
Ed ecco che, sulla tv, la carta stampata, le affissioni e i social, girano gli spot delle grandi catene della GDO, o dei grandi brand. Esselunga ringrazia clienti e collaboratori e commuove, Coop idem, Giovanni Rana impasta. Molti altri promuovono il rispetto delle regole. Bauli ha addirittura messo a disposizione i propri spazi pubblicitari in TV e sui canali digital a chi non ha potuto raggiungere i propri cari lontani a Pasqua. Messaggi privati che diventano pubblici. Barilla con Sofia Loren coinvolge quanto nessuno spot istituzionale è riuscito a fare. Del resto, la forza dei brand non è una scoperta recente, e in tempi di panico globale è forse ancor più intensa. C’è uno studio recentissimo del colosso delle pubbliche relazioni Edelman (con orizzonte globale e relativo già all’emergenza Covid-19). Il 55% degli intervistati sostiene che le marche siano più veloci e più efficaci dei governi nelle risposte all’emergenza. L’84% vuole che i brand siano fonti di informazioni sicure e affidabili e che si focalizzino su come aiutare i loro consumatori ad attraversare le sfide poste dal coronavirus. Non è il momento di vendere prodotti, ma di farsi istituzione. Per questo dolcini, cibo in scatola e supermercati ci parlano con l’autorevolezza e il tono impegnato neanche fossero l’Onu o l’Oms.
Cinzia Scaffidi, giornalista e docente dell’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo, ha scritto un paio d’anni fa Che mondo sarebbe per Slow Food editore, focus sulla distonia tra modelli sociali e pubblicità del cibo in Italia. «Ha sempre proposto modelli molto meno audaci della realtà, convenzionali e poco stimolanti. Ora siamo tutti facili alla lacrima e la filiera alimentare è l’unica che per settimane ha rappresentato “la” certezza. Un buon momento per rilevare e sottolineare il suo ruolo cruciale. Abbiamo bisogno di essere consolati e rassicurati, quindi giusto così, anche se con un po’ di retorica e contenuti dolci».
Conferma Vicky Gitto, pubblicitario e presidente di Art Directors Club italiano, associazione di circa 500 creativi e professionisti del mondo pubblicità. «Le scelte fatte sono allineate al mood usuale di quel comparto in Italia, non le trovo fuori tono. Non ho visto rivoluzioni, ma coerenza. Da un lato il miele funziona sempre, perché a noi piace l’approccio emotivo. Dall’altro, data la dimensione dei brand del cibo e la dimensione del problema, ci sta e basta. L’approccio che preferisco è quello attivo, quello delle aziende che hanno avuto un approccio pragmatico e fattivo, trasformato poi in una attività di comunicazione. Straordinario un Amaro Ramazzotti che converte parte delle linee produttive per produrre un igienizzante e crea una bottiglia ad hoc. A livello internazionale, vince Burger King France che suggerisce la lista della spesa per “assemblare” una copia del suo panino usando i prodotti del supermercato».
Va bene, ma i toni ammiccanti e scanzonati? Il gorgonzola e quella celebre allusione sessuale del “formaggio con le pere”? La patatina che “tira”? Il già citato Buondì Motta con l’asteroide? «Il massimo dell’entertainment che ci possiamo permettere oggi è il social distancing nei loghi – gli archi distanziati di McDonald’s, la signorina di Chiquita che lascia l’etichetta. Niente approcci estremi ancora per un po’: ora bisogna avere una grandissima attenzione e rispetto nei confronti delle persone. Creatività dissacranti, ad oggi, non riesco a immaginarle. L’emergenza ha creato problemi, perdite umane, si rischia la frase sbagliata nel momento giusto, per di più parlando di cibo che è una necessità primaria. Sono sicuro che appena l’emergenza sarà superata, qualche brand che ha nel dna contenuti di entertainment e divertimento ci proverà, ma con attenzione».
«Tornerà la leggerezza, con garbo», spiega a Gastronomika Emanuele Nenna, presidente UNA – Aziende della Comunicazione Unite. «L’originalità creativa farà ancora di più la differenza. Chi riuscirà a tornare a parlare con toni di normalità e leggerezza, con una idea forte, si distinguerà. Per il momento, non ho visto idee pure eccezionali. Ma in questa fase non sono nemmeno ricercate». Qualcosa che ha colpito l’occhio esperto del pubblicitario? «Giovanni Rana. Prima ha concretizzato, gratificando i suoi dipendenti. Poi lo ha comunicato. Infine è uscito con quella immagine sulla carta stampata, con le mani in pasta e un messaggio semplicissimo e diretto: “Auguri, anche di buona Pasqua”». Più diretto e coinvolgente di così.