Da junk a comfort food Se è porno, mangio

Le scelte gastronomiche poco sane sono una costante della quarantena, ma quello che mangiamo riflette il nostro stato d’animo

Foto di Gaia Menchicchi

“Mangiare sano” è sempre una tra le più popolari risoluzioni per il nuovo anno. Ma il 2020, ormai è chiaro, fa storia a sé, e dall’inizio del lockdown la nostra autodisciplina alimentare collettiva si è decisamente allentata.

Del resto, stiamo facendo grandi sacrifici, e la volontà è come la forza muscolare: si può allenare, ma è limitata. Il risultato? Mangiamo molto più di quel cibo che in una vita precedente, più normativa, chiamavamo “spazzatura” (o junk) e nel frattempo abbiamo promosso a un più eufemistico “comfort”.

La tendenza è globale: in un articolo del New York Times (I Just Need the Comfort: Processed Foods Make a Pandemic Comeback) sono state raccolte testimonianze di discese all’inferno alimentare con un tono allarmato che offre momenti di umorismo involontario, come: «Solo pochi mesi fa, Sue Smith si considerava una persona che mangiava sano. Mangiava insalate con cavolo e quinoa (…) Ma lo scorso mese, mentre la pandemia di coronavirus la costringeva a rimanere a casa, la signora Smith, scrittrice di Los Angeles, ha iniziato a fare la spesa – e a mangiare – in modo completamente diverso. (…) Al supermercato ha comprato gli SpaghettiOs [una “zuppa” inscatolata di anellini in salsa di pomodoro, N.d.R].»

L’articolo – giudicato sussiegoso ed elitario – è stato criticato da più parti, tra cui il magazine Jezebel, che ha commentato in risposta: «Non è esattamente una notizia riconoscere che, in tempi di merda, la cosa naturale da fare è mangiare quello che ha un buon sapore, senza pensare troppo ai benefici per la salute».

L’Italia non fa eccezione: lo testimoniano i dati Nielsen, riportati dal Sole 24 Ore, che segnano la crescita vertiginosa di fondamentali da pigiama party tra adolescenti come creme spalmabili dolci (+63,4%), tavolette di cioccolato (+21,7%), patatine (+16,9%), vaschette di gelato (+22,5%), olive (+15,3%), pop-corn (+70%).

Ma lo dimostra anche l’aneddotica: quasi tutti hanno introdotto in dispensa alimenti che non avremmo considerato in precedenza. Abbiamo interpellato un campione – non statisticamente accurato – e abbiamo fatto alcune scoperte.

L’effetto nostalgia

A fare la parte del leone sono i cibi che ci riportano all’infanzia, in particolare le merendine: «Secondo me la spinta è data dalla malinconia, cerchiamo il ricordo delle cose che mangiavamo dai nonni», dice Annalisa. La risposta più ricorrente è – nessuna sorpresa, qui – la Nutella. «Ne ho mangiato un barattolo, per giunta grande» confessa Elena «In casa non compariva da anni, se non contiamo l’ultima visione di “Bianca” di Nanni Moretti».

Cecilia ha un elenco più comprensivo: «Ho comprato – a rotazione, non tutti insieme – i Fruttolo, la Coppa Bianca, la Nutella, e i biscotti Bahlsen. Per qualche ragione, altri biscotti al cioccolato “zozzoni” provati per la prima volta dopo i dieci anni invece non mi tentano».

I biscotti Grisbì hanno una nicchia di appassionati (Grisbuyers, li chiameremo), soprattutto nella variante guscio di cioccolato e ripieno al cocco. «Ma forse non vale la scusa della quarantena, sono fan di vecchia data. Ora però ne mangio il doppio (anche il triplo)» ammette Livia. Puntualizza Cecilia (di nuovo lei): «Si va incontro alla loro stagione migliore, quella in cui mangiarli freddi di frigo».

Ma per chi aveva mangiato queste merendine trent’anni fa per l’ultima volta, la familiarità diventa straniamento a confronto con le dimensioni: «Le Girelle ora mi sembrano molto più piccole» commenta Stefania, e se gli amanti della Kinder Fetta al Latte continuano a smontarla come da bambini «prima l’esterno e poi l’interno, rigorosamente sulla lingua» come Carlo, oggi le consumano in multipli, anzi in “cartuccere”, come Luca nella metà della settimana in cui i suoi figli sono dalla mamma e lui non sente la responsabilità di mettere in tavola cibo sano.

Molto citati anche snack come Ciocorì e Kinder Cereali: ci piacciono ancora molto per via dell’astuzia quasi gourmet, il croccante che “taglia” la sensazione soverchiante di dolcezza. Potremmo paragonarli ai film Pixar: sono pensati per i bambini, ma il loro successo dipende dai grandi.

Nell’ambito salato, vanno forte i Sofficini, anche nell’edizione limitata Cheddar&Bacon («mi salgono i trigliceridi solo a scriverlo» dice Francesca), bocconcini di pollo stile nuggets come le Birbe di Amadori o l’equivalente Findus, e le patatine surgelate McCain, quelle a forma di smile. Una menzione quasi struggente per il cordon bleu: «Ci penso sempre», dice Leila.

Quasi come uscire

Chissà se nel frattempo qualcuno si è pentito di essersi fatto portavoce in passato della mozione “Stare a casa è il nuovo uscire”, quell’onda social di struggimento per il divano, amore per il pigiama, ode alla beata domesticità. In queste settimane ovviamente è proprio il contrario: ci manca uscire, e in particolare per l’aperitivo. Allora lo facciamo in casa, e pazienza se è triste come la foto della spiaggia maldiviana appesa nella sala riunioni in ufficio. In questa categoria si registra lo strapotere delle patatine: «Pacco gigante da festa, con contenuto di sale equivalente all’intero Mar Mediterraneo», spiega Carlo, «Penso sia per evocare la sensazione di leggerezza di un aperitivo, l’idea di poter finire la giornata e iniziare le serata». Grande momento anche per «i cracker salati più French regression, tipo Tuc o Ritz», secondo Pier.

Il cibo come droga

Le confessioni alimentari sono punteggiate dal lessico tipico delle dipendenze: c’è tanta ironia, ovviamente; ma anche la dimostrazione del potere un po’ oscuro che alcuni cibi esercitano su di noi. Fino a poco tempo fa, la torta più popolare del Milk Bar di New York della celebre pastry chef Christina Tosi si chiamava “Crack pie”, alludendo a quanto fosse irresistibile; poi qualcuno ha fatto notare che il consumo di crack – epidemico negli Usa – non era argomento su cui fare humor a buon mercato e il nome è stato cambiato: oggi si chiama “Milk Bar Pie”. A proposito della Nutella: «Chissà perché poi ho ceduto… una volta che ci ricaschi è finita» rimpiange Caterina. Alessia è tornata alla sua drug of choice, una combinazione di Estathè e M&M’s gialle: «E pensare che mi ero disintossicata». Molto rischioso, apparentemente, anche il latte condensato in tubetto: «Ho cominciato a prenderlo con la scusa di metterne un poco nel caffè, ora è una droga» dice Annalisa.

Se in molti indulgono, per altri il lockdown è stata l’occasione per impostare nuove routine, che prevedono di mangiare più sano. La linea dura è incarnata da Stefano: «Il pensiero di buttarmi sul cibo spazzatura mi provoca una tristezza infinita. Insomma l’esatto contrario del concetto di comfort food».

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