Il mondo cattivoAnche di fronte a un male illogico resta in noi il bisogno di sperare

Che non fossimo nel migliore dei mondi possibili lo aveva già chiarito Voltaire qualche secolo fa. Quello che non riusciamo a capire è che nessuno è davvero capace di controllare gli eventi, che sono contraddittori e imprevedibili come la natura umana

PATRICIA DE MELO MOREIRA / AFP
PATRICIA DE MELO MOREIRA / AFP

Alexander Pope sosteneva che «tutto ciò che è, è giusto» o, in modo più conciso, «tutto è buono». Ma, nel 1755, la città di Lisbona venne distrutta da un terremoto e Voltaire, che amava Pope ma ne era esasperato, compose il “Poema sul disastro di Lisbona” per spiegare che no, non tutto è buono. Il poema demoliva l’ottimismo idiota convinto che tutto sia buono nel qui e ora.

Demoliva anche il fatalismo idiota che sostiene che tutto sia buono, se non nel qui e ora, almeno alla luce dell’eternità. E infine demoliva la credenza che la storia si conformi alla legge morale e che le persone ottengano ciò che meritano e che allora tutto sia buono da un punto di vista morale.

Il poema era anche un modo per riconoscere che il male esiste e, essendo male, non ha logica. Era, insomma, un appello alla compassione. Una difesa della speranza – non perché la speranza sia, per necessità, realistica, ma perché si rivela essere una necessità dell’essere umano.

Voltaire descrisse gli abitanti di Lisbona, schiacciati dalle macerie di marmo, mentre chiedevano al Cielo di salvarli. E disprezzava chi sorrideva di questi gesti. Voltaire era grande perché aveva capito che, al mondo, il controllo delle cose non dipende da niente e da nessuno, ed è una cosa tremenda. Aveva anche capito che, tuttavia, c’è la necessità di pensare che dipenda da qualcuno, o da qualcosa. E si infuriava con chi, come il grande Alexander Pope, non riusciva a cogliere e articolare queste verità contraddittorie, umane e inumane.

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