Sono tutti d’accordo che, dopo la crisi, il mondo prenderà nuove direzioni. Mi diverto a leggere le speculazioni sul tema fatte da persone intelligenti. Michael Klare su The Nation, per esempio, immagina che, dopo che tutto questo, gli Stati Uniti saranno ricacciati nell’emisfero occidentale, come nel XIX secolo. Ancora di più, mi deliziano le riflessioni di Anne-Marie Slaughter sul Times, quando immagina che, nonostante il nostro presidente, il genio americano trionferà e la cultura svolterà in direzione di internet, le cui virtù conosceranno una fioritura. Piacerebbe anche a me esternare le mie ruminazioni futuristiche. Le molte ore che ho passato studiando Hegel, per non parlare di Fourier e Kropotkin, dovrebbero avermi fornito delle doti di chiaroveggenza sulle prossime fasi della storia. Ma la cosa non mi entusiasma. Sono invece preoccupato dal silenzio sinistro nelle strade. Quanto passerà prima che l’isteria delle sirene delle ambulanze lo cancellerà del tutto? Per farla breve, l’ostacolo che mi impedisce di contemplare la prossima fase della storia è proprio la presente fase della storia.
(Articolo pubblicato in inglese su Tablet magazine)