E verrà la fase mille, tra un millennio o giù di lì. Non ci sarà più il virus e nemmeno il capitalismo cieco e disumano, i neoliberisti saranno tutti affogati nei loro Martini, ma tranquilli, l’Alitalia continuerà a perdere.
E allora gli archeologi dell’anno 3010 scopriranno le caverne dell’Homo Covidensis, vissuto nell’era Pandemiozoica, periodo Decretaceo, riportando alla luce un campionario di curiosi cimeli.
Nella mia grotta, per esempio, troveranno il kit per la cura dei capelli made in China, in ottimo stato di conservazione anche perché usato una volta sola. L’ho acquistato online dopo due mesi e mezzo di quarantena – in testa mi era cresciuto un cespuglio stile Tonino dei Camaleonti quando cantava Eternità, giusto qualche sfumatura di grigio in più.
Ho scelto il modello più venduto su Amazon, con centinaia di ottime recensioni. Dalla scatola si è sprigionata una raffica di accessori che neanche Megatron dei Transformer. A cosa serviranno tutti quei pezzi?
Il libretto di istruzioni, in varie lingue, è opera di un ingegnere dello Zhejiang con l’ausilio di Google Translator. Dice tra l’altro di «spingere la parte superiore dell’attaccatura sul tagliacapelli finché si blocca in posizione udibile», di «iniziare il taglio di capelli con l’attaccabrighe (???) sul collo» e di «posizionare il pettine con il lato arrotondato contro l’orso» (barba in inglese si dice beard, bear ha solo una d in meno).
Volendo c’è pure l’attaccabottiglie per naso e orecchie. Disperato, faccio appello ai tutorial in rete: «Ciao ragazzi, benvenuti sul mio canale. Il mio nome è Fabio, e visto il periodo che stiamo passando vi faccio vedere come potete tagliarvi i capelli da soli in casa».
Sì, ciao, Fabio è un barbiere professionale. Mia moglie no: con le forbici se la cava, ma appena mi appoggia la macchinetta sul collo, è subito l’autostrada amazzonica di Bolsonaro. Il kit cinese, completo di lame di ricambio, pettini e attaccabottiglie, finirà dritto in cantina. E con esso altri utensili di emergenza.
Tipo il robottino lavapavimenti, che invece di pulire spalma uniformemente una patina di sporco per tutta la casa, e comunque, una volta finito il lavoro non ne vuol sapere di tornare nel suo alloggiamento e continua a girare su se stesso inseguito dal cane. O le confezioni da residenza per anziani di panni Lysoform e di Swiffer catturapolvere, che la colf (bentornata! che Dio la benedica) si rifiuta di usare.
O il pulsossimetro da dito per misurare la saturazione di ossigeno e la frequenza del polso, dove infilavamo compulsivamente l’indice, nell’altra mano il telecomando, ascoltando le omelie del professor Brusaferro: e il respiro si accorciava per l’ansia, mica per insufficienza polmonare.
E che dire del tapis roulant nella stanza degli ospiti, malinconico surrogato della corsetta al parco, con annessa visione in streaming delle conferenze stampa di Fontana? Quando si potrà tornare in palestra, rottameremo anche quello, insieme al suo carico di ricordi sgradevoli.
Sono i residuati bellici della guerra al Covid. Condannati ad arrugginirsi o a finire su Ebay, come gli elmetti tedeschi, i machete dei marines, le mitragliatrici MP40, i lanciarazzi o i trattori Scammell Pioneer del ‘45 (se ne trovano ancora ogni tanto in qualche cascina abbandonata).
Le nostre, almeno, sono armi pacifiche, che non hanno sparso sangue. Semmai hanno evitato spargimenti e liti domestiche. Ma una volta aperte le gabbie, chi userà ancora il Total Power Crunch Display («Un’intera palestra a casa tua! Allena contemporaneamente gambe, braccia, addome, spalle e glutei!»)?
E chi avrà tempo e voglia di impastare il lievito madre nella macchina del pane, ora che il fornaio dell’angolo non è più zona rossa? Perché forse ha torto Houellebecq a dire che «dopo il coronavirus il mondo sarà uguale, solo un po’ peggiore».
Ma noi, di sicuro, non saremo migliori, e alle buone cose fatte in casa come una volta ricominceremo a preferire i prodotti industriali, che costano meno fatica. I residuati bellici 4.0 hanno combattuto con onore, ma si porteranno sempre appresso un tanfo di chiuso. Un’aura mefitica di cui non vediamo l’ora di sbarazzarci.