Il mondo della ristorazione, oggi, si divide in due partiti: i catastrofisti e i concreti.
Ferran Adrià, chef che ha segnato la nuova strada spagnola all’alta ristorazione, di solito positivo e visionario, lancia un grido d’allarme dai social network, preoccupato che i ristoranti possano riaprire e tornare ai fasti del pre-virus. Daniel Humm da New York mette in dubbio la sua stessa riapertura: primo ristorante al mondo per la classifica 50 Best nel 2017, l’insegna blasonata di Eleven Madison Park potrebbe non accogliere più clienti e trasformarsi in un nuovo concetto di mensa charity, cambiando radicalmente il suo destino.
In Italia sono in molti – anche tra i più celebri – a dire che la festa è finita e che i profitti di un tempo non torneranno. Molti scelgono una strada nuova e alternativa, ma sono quasi certi di non poter più permettersi di riaprire i loro locali da 25 coperti e basso fatturato.
Poi ci sono gli altri, i concreti. O forse sognatori? Che a colpi di “ogni problema è un’opportunità” si rivelano veri motori di questa lenta ma inevitabile ripartenza. E per ogni lamento c’è un nuovo modo di intendere la ristorazione. Se non sarà più come prima, dobbiamo inventarci come sarà: abbiamo tutti gli strumenti per farlo e dobbiamo trovare l’energia necessaria.
Magari scoprendo quello che succede all’estero, dove le idee si moltiplicano e la velocità di reazione è sempre alta, gli spunti sono tutti positivi. A partire dal mercato della tecnologia. È di Nick Kokonas una delle idee più brillanti e redditizie: proprietario di cinque ristoranti di alta gamma a Chicago, ha convinto lo chef Grant Achatz e il suo team a cambiare genere e target: da 250 dollari di cena a 35 dollari, con un menu necessariamente molto semplice, ma di grande soddisfazione e golosità.
Sono bastate poche settimane perché gli introiti del ristorante tornassero al 75% degli incassi precedenti, con molti meno costi. Dai pochi coperti del ristorante, oggi Alinea produce e recapita 1250 cene a domicilio, menu fisso più vini e libri dello chef inclusi.
Ma Kokonas non si è limitato a questo. Ha anche cercato un nuovo modo di utilizzare la sua app, creata nel 2015: prima del virus ci si potevano accaparrare posti a prezzi scontati nei ristoranti di livello, i prezzi erano dinamici a seconda del momento della prenotazione. Molto amata dai patron, questa app permetteva così di eliminare il problema delle cancellazioni e di ottimizzare i posti a sedere.
Oggi, la app è diventata Tock to Go e, in sei giorni, gli ingegneri l’hanno reinventata: invece di prendere prenotazioni per i tavoli, permette di pianificare gli ordini da asporto. Sempre con la stessa filosofia di prima: la programmazione. La app infatti permette di spalmare le prenotazioni su tante fasce orarie, senza ‘ingolfare’ le cucine dei ristoranti negli orari di punta. Inoltre, tiene traccia dell’inventario, eliminando automaticamente dal menu i piatti man mano che si esauriscono. L’app non offre un servizio di consegna, e questo è un duplice vantaggio per il ristoratore: può far consegnare ai suoi dipendenti (dando così lavoro ai camerieri, per esempio) e ha una commissione del 3% e non del 30% come richiesto dalle maggiori app di delivery.
Un esempio per tutti? Seven Reasons, un ristorante da 90 coperti a pochi passi dalla Casa Bianca. Chiuso il 10 marzo, ha riaperto il take away dalla app: ha venduto 900 cene in 15 minuti, causando il crash del sistema. L’app funziona, i ristoranti guadagnano e pensano di mantenere questa opzione anche dopo l’apertura dei locali: fatturato ulteriore che si sommerebbe a quello da ristorazione ‘pura’.
Ed è la tecnologia ad aiutare anche Lucas Sin, lo chef di Junzi Kitchen. È stato tra i primi a reagire alla crisi organizzando quelli che chiama ‘i pranzi a distanza’. Tre portate – cucinate ma abbattute, quindi spedite fredde – arrivano a domicilio del cliente. Lo chef, all’orario prestabilito per la cena, spiega su Instagram live come rigenerare il tutto a casa, raccontando i piatti e donando il vero valore aggiunto dello chef a tavola con te: l’esperienza, anche se da lontano. Che coinvolge tra l’altro tutti i clienti alla stessa ora, dando l’impressione di essere davvero a tavoli diversi ma dello stesso ristorante.
Lo chef ha investitori e fornitori in Cina, e ha vissuto sulla sua pelle l’epidemia di Sars, da piccolo.
Questa consapevolezza, unita alla sua voglia di costruire qualcosa di nuovo, gli ha permesso di reagire subito e di creare un progetto con un ottimo riscontro tra il pubblico, che può in qualche modo sentirsi al ristorante, avendo un’esperienza simile, ma senza uscire di casa e sentendosi al sicuro. Junzi, grazie a questo successo, ha deciso di offrire pasti quotidiani agli operatori sanitari, finanziati da donazioni dei suoi stessi clienti. Un perfetto esempio di economia circolare efficace.
E poi ci sono i super ottimisti, come Ana Roš, chef slovena di Hiša Franko: la sua idea di ristorante è sempre stata alternativa e visionaria. E anche in questa occasione non si smentisce, come racconta a Gabriele Zanatta su Identità Golose. Intanto, lavorando sullo staff, e cercando di ampliare le conoscenze di tutti attraverso una formazione puntuale e reciproca: ogni persona del team insegnerà alle altre una cosa che ha approfondito, e imparerà a sua volta.
E poi con una formazione da parte di artigiani e contadini locali, che insieme collaboreranno alla realizzazione di nuovi piatti e soprattutto di nuovi prodotti, come caramelle, salse, formaggi e salumi, da vendere ai clienti per un vero e proprio lavoro di sinergia e di valorizzazione reciproca. Con l’idea, nel futuro, di avere una possibile industrializzazione che dia valore alla filiera e che diventi uno strumento di promozione turistica, con il sostegno dello Stato.
Ma è l’America a non smettere di stupirci anche quando si tratta di fast food: accanto alle cucine robotiche – che sono ormai una realtà in California e non prevedono alcun contatto umano con il cibo, gestito interamente da braccia meccaniche, è arrivata l’industria che prende i piatti dei più famosi e desiderati ristoranti di tutti gli Stati Uniti, li congela, e li spedisce ovunque.
L’entusiasmo di Jonathan Martin, cronista politico del New York Times per la scoperta è palpabile: bloccato a casa e non all’eccitante seguito della campagna elettorale americana, ha deciso di fare comunque il giro degli Stati Uniti a colpi di costolette dal ristorante Central BBQ di Memphis, e di sandwich di filetto di maiale dell’Iowa. Grazie al potere del ghiaccio secco e a Goldbelly, è riuscito comunque ad assaporare i sapori che condivideva con i colleghi reporter tra una conferenza e una dichiarazione, ma comodamente seduto sul divano del suo appartamento di Manhattan.
In Italia, forse, farebbe troppo ‘Quattro salti in padella’, ma in tempo di crisi sanitaria, potrebbe non essere un’idea così peregrina. Vi va un banana pudding di Magnolia bakery? C’è. Al modico prezzo di 70 dollari per 6 maxi porzioni. Spese di spedizione incluse.
Ma non c’è proprio nulla che si muove nel nostro Paese? È di oggi la notizia di una nuova apertura, che ci fa ben sperare sul futuro, e individua in Costanza Zanolini l’ottimista all’italiana per eccellenza. Giovane e dinamica, nel mondo pre-Covid ci aveva già stupiti con aperture e tanti format diversi, ma aprire un ristorante in quarantena presuppone oltre che coraggio anche una visione concreta: «L’idea di Madre – così si chiama il nuovo locale per ora solo delivery in via Savona a Milano – c’era già da un po’, ma eravamo sempre talmente carichi di lavoro che non siamo mai riusciti a sviluppare il format al meglio. Quando qualche settimana fa ho capito che il periodo di stallo sarebbe stato più lungo del previsto, mi rendevo conto che il mio progetto che ne avrebbe sofferto di più sarebbe stato Amuse buche».
Il locale che fa mini-panini gourmet, altra insegna di Costanza in via Savona, vive di meeting, riunioni ed eventi. «Se con gli altri locali che ho, un minimo di sopravvivenza con il delivery la posso immaginare, Amuse buche so che non può venirne fuori. E allora perché non trasformare questo negozio in un luogo dove sperimentare e far lavorare la mia testa finalmente sgombra per mettere in piedi un nuovo format? Ho sviluppato la parte grafica e parallelamente ho studiato il menu con amici messicani: volevo dei piatti che trasmettessero autenticità, qualcosa di originale, non il classico tex mex anni Ottanta. Inizialmente sarà disponibile solo per il delivery, poi se la fase test funziona, Amuse bouche sarà trasferito in un laboratorio e Madre avrà un nuovo punto vendita e ci permetterà di continuare a ‘colonizzare’ via Savona». Madre è nato in quarantena: la ripresa è possibile. Bisogna avere la volontà di sperimentare.