Una policy aziendale rigida che privilegia l’assunzione di dipendenti sotto i 35 anni. Una strategia, meglio nota agli interni come “operazione Fring” – dal nome del personaggio di “Breaking Bad” Gustavo Fring – con donazioni a enti e onlus benefiche per creare un’immagine positiva dell’azienda. Soci di primo piano come la H14 dei Berlusconi, la holding di investimenti Nuo Capital, che opera con capitali cinesi, e la Tip di Giovanni Tamburi. E una costellazione di società controllate per moltiplicare la diffusione e la vendita di app più o meno simili.
Tutto questo ha permesso alla giovane Bending Spoons (nome che si ispira al film “Matrix”) di scalare l’App Store in meno di sette anni. Fino a essere scelta, tra oltre 300 proposte arrivate al ministero dell’Innovazione, per lo sviluppo della app anti-contagio “Immuni” destinata al tracciamento dei contatti nella fase 2.
Dal quartier generale di Corso Como, a Milano, i quattro soci trentenni della software house si sono fatti largo in questi anni avviando una “produzione” massiccia di app a pagamento, dai quiz al fitness, dal fotoritocco al boost dei follower di Instagram, gestendo una mole di dati personali.
Un modello che ha portato a 90 milioni di ricavi nel 2019, il doppio dell’anno prima. Con una costante: una cura quasi maniacale della brand strategy, tra i feedback dei dipendenti che gli hanno fatto guadagnare per il secondo anno di fila il riconoscimento di “Great Place to Work”, e le donazioni regolari in beneficenza di quella che in azienda è conosciuta come “operazione Fring”. L’ultima, di 1 milione di euro, fatta alla Protezione civile il 12 marzo scorso, a pochi giorni dal lancio del bando del ministero dell’Innovazione per la scelta della società a cui affidare l’app anti-Covid.
Da Bending Spoons hanno da sempre escluso ogni legame tra i due eventi, rassicurando che non sarà la società il soggetto adibito al trattamento dei dati sensibili degli italiani. Ma sull’azienda ha messo gli occhi anche il Copasir, che ora vuole fare chiarezza sui criteri di scelta della app (il 5 maggio saranno in audizione Arcuri e Pisano), sulla architettura societaria, vista presenza dei capitali cinesi, e sulla la gestione dell’applicazione. Soprattutto sul fronte del trattamento dati personali.
«Non abbiamo mai venduto i dati degli utenti a nessuno, né intendiamo farlo», assicura Matteo Danieli, cofondatore e chief product officer della software house milanese. «Il 98% dei nostri ricavi deriva dagli acquisti effettuati direttamente dagli utenti. Il restante 2% da pubblicità».
Bending Spoons avrà accesso ai dati degli utenti con Immuni?
No. Noi ci limitiamo a contribuire al design e allo sviluppo del software. Il progetto fa capo al Commissario straordinario e alla Presidenza del Consiglio dei ministri. I dati saranno sotto il controllo di un ente pubblico, come già ripetutamente dichiarato dal governo. Ci teniamo a ripetere che abbiamo contribuito e contribuiremo al progetto in modo totalmente gratuito, senza scopo di lucro alcuno (anzi, perdendoci pure, viste le notevoli risorse che abbiamo dedicato e continuiamo a dedicare), mossi unicamente dalla volontà di aiutare il nostro Paese in un momento di difficoltà.
Da quando la nostra soluzione è stata selezionata, siamo stati attaccati su più fronti in un modo che non avremmo mai potuto immaginare. Questi attacchi che stiamo ricevendo dopo aver fatto un passo avanti ed esserci messi a disposizione dell’Italia con spirito di solidarietà non incentivano noi né altri a venire in aiuto del Paese in futuro, e questo è un peccato.
Nel 2017, quando Apple modificò le sue direttive, rimuovendo le app create da Bending Spoons per guadagnare follower ed esposizione su Instagram, la società però creò un sito per offrire lo stesso servizio. Ma questa volta i dati erano nel pieno possesso di Bending Spoons. Come sono stati gestiti?
Va sottolineato che Apple rimosse non solo le nostre app, ma tutte quelle di quel tipo, incluse le app di centinaia di altri sviluppatori. Noi avevamo sempre rispettato il regolare processo di approvazione delle app da parte di Apple. In ogni caso non critichiamo assolutamente Apple per questo – l’App Store è una piattaforma complessa ed è naturale che le regole evolvano nel tempo. Sta agli sviluppatori (inclusi noi) adeguarsi.
Il sito a cui si riferisce ha avuto un ruolo estremamente marginale nella nostra storia aziendale. Il sito non chiedeva le credenziali Instagram dell’utente per offrire il proprio servizio. Chiedeva solo il nome utente, che è un’informazione pubblicamente disponibile su Instagram stesso. I dati che venivano raccolti venivano usati per fornire (e migliorare nel tempo) il servizio stesso e, in parte, per fare attività di marketing molto standard. Abbiamo cancellato tutti i dati raccolti dal sito tempo addietro.
Anche nel caso di Live Quiz, una delle vostre app di punta, per la distribuzione dei premi la società raccoglie però i dati degli utenti.
I dati raccolti per consentire il pagamento e l’invio dei buoni Amazon sono dettati da requisiti di legge per i giochi a premi o dal regolamento del concorso, o necessari per evitare frodi. Li usiamo unicamente a quello scopo, senza monetizzazioni di alcun tipo. L’utilizzo dei dati degli utenti di Live Quiz è descritto trasparentemente nella privacy policy del prodotto e comunque, voglio sottolinearlo ulteriormente, non vendiamo nessun dato – e lo stesso vale anche per tutte le altre nostre app.
Abbiamo curato gli aspetti di privacy di Live Quiz con alcuni dei migliori esperti di Gdpr, facendo del nostro meglio per creare un prodotto che oltre che essere gratuito e divertente per gli utenti, ne rispetti appieno il diritto alla privacy. Per esempio, mandiamo email commerciali solo agli utenti che ci danno attivamente il consenso. A differenza di quanto molti pensano, Live Quiz fino a oggi è stato un progetto in perdita, e infatti abbiamo più volte considerato di chiuderlo. L’unico motivo per cui non l’abbiamo fatto è che gli utenti lo amano.
Avete mai venduto i dati degli utenti?
Non abbiamo mai venduto i dati degli utenti, in nessun caso. Su tutte le nostre app, i nostri ricavi sono sempre derivati dai pagamenti effettuati dai nostri utenti per il servizio erogato e, in misura davvero minima (sempre inferiore al 2% del fatturato), da pubblicità mostrata agli utenti. E poi da noi lavorano professionisti di livello internazionale, che potrebbero lavorare ovunque – non sarebbero qui se non fossero fieri dell’azienda e allineati dal punto di vista valoriale.
Come gestite la mole di dati che convergono nelle app che sviluppate?
Fornire una lista esaustiva delle misure che abbiamo implementato per proteggere i dati degli utenti richiederebbe una discussione molto più ampia. Iniziamo col dire che siamo orgogliosi del livello di protezione dei dati raggiunto oggi da Bending Spoons, specialmente considerando che la società esiste da appena sette anni e abbiamo solo 150 collaboratori. Abbiamo investito davvero molto – milioni di euro – per eccellere da questo punto di vista, fra le altre cose facendoci supportare da alcuni dei migliori professionisti del settore.
Nel 2019 abbiamo anche ingaggiato diverse aziende specializzate per fare penetration test su alcune delle nostre app principali, test che abbiamo passato a pieni voti. Ciò detto, sappiamo di non essere “nati imparati”. Come startup, per diversi anni, non avevamo né le competenze né le risorse per fare tutto alla perfezione. Ma sono anni che investiamo nella protezione dei dati e certamente non lo avremmo fatto se non reputassimo importante questo aspetto del nostro servizio agli utenti.
Perché Bending Spoons usava diffondere app molto simili tramite società diverse controllate con diversi intestatari ma riconducibili alla casa madre? È una prassi largamente contrastata da Apple e Google.
In primis ci tengo a sottolineare che con Apple abbiamo da anni un rapporto eccellente, di vera partnership. Su Google Play invece non abbiamo lavorato quasi per niente, anche se stiamo iniziando a investire per sviluppare una presenza significativa anche lì.
Non mettevamo in commercio le stesse app, ma è vero che avevamo diverse app simili. Circa sei anni fa scoprimmo che acquisire app popolari di sviluppatori terzi e valorizzarle al meglio poteva essere una strategia vincente sull’App Store. Decidemmo di focalizzarci su categorie che conoscevamo bene, finendo per avere diverse app che fornivano più o meno lo stesso servizio, pur offrendo interfacce (e spesso esperienze) utente anche abbastanza diverse tra loro. Un po’ come avere una mini catena di pizzerie, per capirci.
Questa strategia era un vantaggio competitivo fondamentale per noi (non lo è più da tempo, ora il nostro business si basa su poche app di punta) e non volevamo che i nostri concorrenti o altre terze parti avessero visibilità su di essa, per evitare possibili danni all’azienda. Da lì la scelta di pubblicare le app da diversi account sull’App Store.
A scanso di equivoci, con gli utenti siamo sempre stati trasparenti sul servizio erogato e in molti casi le nostre app erano fra le migliori nella loro categoria, con conseguente entusiasmo di chi le usava. Ma c’è anche un altro motivo per l’utilizzo di vari account e società: alcune delle app che acquisivamo non potevano essere trasferite ai nostri account esistenti per limiti tecnici, ad oggi non ancora superati dall’App Store, ed eravamo pertanto costretti a tenerle sull’account dello sviluppatore originale. Abbiamo discusso di questo limite con Apple diverse volte, l’ultima recentemente, e sappiamo che ci stanno lavorando.
All’inizio dell’anno avete presentato un’offerta da 260 milioni di dollari per l’acquisto di Grindr. Com’è andata?
Non posso esprimermi riguardo all’importo, ma comunque l’offerta non fu accettata. È un peccato, perché avevamo dei piani ambiziosi per migliorare l’app, che è usata da milioni di persone in tutto il mondo. Per quanto ne sappiamo, l’offerta vincente è al momento al vaglio delle autorità statunitensi e la transazione potrebbe diventare ufficiale nelle prossime settimane
In conclusione, tra le fonti di ricavi di Bending Spoons, quindi, non c’è la vendita di dati?
Assolutamente no. Il 98% dei nostri ricavi deriva dagli acquisti effettuati direttamente dagli utenti. Il restante 2% da pubblicità. Nel complesso, le nostre app sono state scaricate più di 200 milioni di volte in tutto il mondo e non abbiamo mai venduto i dati degli utenti a nessuno, né intendiamo farlo.