La parola d’ordine è “niente allarme”, ma le perplessità aumentano. A New York tre bambini sono morti per una malattia infiammatoria molto grave, con ogni probabilià collegata al coronavirus, che presenta sintomi molto simili a quelli della sindrome di Kawasaki, una malattia infantile molto rara e, per fortuna, curabile.
È la “sindrome respiratoria acuta multisistemica pediatrica”. Nelle ultime ore si sono registrati 93 casi, molti di questi sono risultati positivi al coronavirus – o ne hanno gli anticorpi.
Al momento le informazioni sono poche e serve cautela. Appare però evidente che considerare i bambini immuni – anche se è vero che siano meno esposti – sia una semplificazione eccessiva.
Lo ha ricordato anche il capo della task force americana Anthony Fauci, nella sua relazione al Congresso, mentre sconsigliava la riapertura, tra le altre cose, delle scuole.
Anche uno studio pubblicato il 12 maggio su Frontiers of Pediatrics, in cui si descrivono i casi di cinque bambini cinesi affetti da sintomi respiratori, con Covid, lo conferma. È un virus imprevedibile, il cui comportamento – nonostante la pandemia ci accompagni da qualche mese – non è ancora del tutto noto.
E se è vero che tra i più piccoli la letalità sia molto più bassa rispetto agli adulti, «ci sono ancora casi di bambini colpiti in modo pesante», ha ricordato al New York Times Adam Ratner, direttore del reparto di malattie infettive pediatriche della New York University School of Medicine. Ed è difficile spiegarli.
Da un lato ci sono, anche in questa fascia, le comorbilità. Cioè il fatto che i pazienti colpiti dal virus abbiano, nel frattempo, anche altre patologie.
Un articolo pubblicato su JAMA Pediatrics ricorda che 48 bambini, sempre negli Stati Uniti, hanno avuto bisogno di terapia intensiva. Tra questi, 40 avevano altre malattie, come obesità, diabete, immunodepressione. Eppure, anche qui, l’eccezione: casi gravissimi in assenza di altre malattie, proprio nella fascia d’età interessata dalla sindrome pseudo-Kawasaki – o come sarà definita, “Kawasaki-like”.
A questo proposito va ricordato che tra gli scienziati c’è ancora molta incertezza. La somiglianza dei sintomi induce alla prudenza. La sindrome di Kawasaki (quella già nota), quasi sempre curata con immunoglobuline e cortisone, ha tra le sue manifestazioni più evidenti febbre alta, congiuntivite, rush cutaneo, gonfiore al linfonodo latero-cervicale.
Nei casi più recenti sono state osservate anche forme di miocardite, problemi al tratto respiratorio, nausea. È la stessa malattia? Secondo alcuni medici, sì, solo più aggravata. Secondo altri, sarebbe un’altra, con gli effetti del Covid.
Moshe Arditi, pediatra della Cedars-Sinai Medical Centers, preferisce distinguere caso per caso. Alcune forme potrebbero essere manifestazioni della Kawasaki già nota, magari in bambini esposti al coronavirus. Altre, quelle più gravi e diffuse, sarebbero invece manifestazioni della “Kawasaki-like”, che dovrebbe apparire qualche settimana dopo il contatto con il virus.
Se le due sindromi siano in qualche modo collegate è ancora da capire, anche se alcuni ricercatori considerano probabile che l’origine della sindrome di Kawasaki sia infettiva. E che potrebbe trattarsi dell’effetto di un coronavirus (ce ne sono tanti). In questo senso, il Sars-Cov-2, molto più infettivo degli altri, avrebbe come conseguenza logica manifestazioni più pesanti.
Forse a conferma, oppure per pura casualità, spesso le stesse cure funzionano per entrambe le patologie. Lo spiega il dottor Philip Kahn, reumatologo pediatrico della New York University: molti bambini sono stati trattati con dosi di immunoglobuline e si sono ripresi.