Chi ama, chi odia e chi ignora l’Europa litiga su tutto ma concorda su un punto: l’Unione ha bisogno di una strategia per imporre la sua narrazione. Facile dirlo, difficile farlo con 27 Stati membri che hanno tutto l’interesse a scaricare le colpe a Bruxelles quando le cose vanno male e a prendersi i meriti quando vanno bene. Ancora più difficile farlo con Paesi come Russia e Cina che hanno dimostrato in questa crisi di saper come rimanere nella mente dei cittadini europei e fare una buona impressione.
Ci si ricorda di più dell’aereo con bandiera cinese colmo di migliaia di mascherine o la conferenza stampa in cui la presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde ha spiegato con un acronimo (Pepp) che avrebbe comprato titoli di Stato per 750 miliardi di euro?
Parlando al bar, o meglio su whatsapp, degli aiuti dei Paesi stranieri, si cita di più l’immagine dei militari russi a braccetto con gli italiani o la conferenza stampa della presidente Ursula Von der Leyen in cui spiega di aver sospeso i vincoli del Patto di stabilità?
E pazienza se le mascherine russe son difettose o se si scopre che la Cina spiava i leader Ue dall’ambasciata di Malta a Bruxelles. L’impressione è fatta e gli aiuti europei, concreti, che hanno permesso all’economia italiana di non collassare più del dovuto rimangono lì.
C’è però una istituzione che da un po’ di tempo ha imparato una lezione: l’emozione vale più di mille comunicati stampa. Parliamo del Parlamento europeo che dalle elezioni dello scorso 26 maggio, ma in realtà anche prima, ha iniziato a coinvolgere sempre più persone oltre i soliti addetti ai lavori: studenti, associazioni, infuencer per far capire ai cittadini cosa fa l’Unione europea per loro, ogni giorno.
«Quando questa crisi è scoppiata, ha colto tutti di sorpresa. E la reazione dell’Unione europea nel suo insieme è stata forse troppo lenta. Non tanto ad agire ma a comunicare cosa stava facendo», spiega Stephen Clark, direttore degli Uffici di collegamento della Direzione generale Comunicazione del Parlamento europeo, cioè l’uomo che coordina e indirizza la comunicazione tutti gli uffici del Parlamento europeo nei vari Stati membri.
«È un problema implicito in un’organizzazione complicata come questa. E molte cose che dovevano essere fatte all’inizio non erano proprio di competenza dell’Unione europea. Ma le istituzioni ci hanno messo poco a muoversi e fare quello che c’era da fare».
E voi cosa avete fatto?
Ci siamo trovati ad affrontare questo sentimento di delusione. Questo perché la reazione iniziale è stata molto nazionale. Gli Stati hanno chiuso i confini, messo i loro cittadini in quarantena. Misure giuste che però hanno dato un’aura opposta al concetto di solidarietà. Qui, “dietro le quinte” della comunicazione europea abbiamo capito subito che dovevamo agire e proporre una contro narrazione. Per questo abbiamo lanciato una campagna che mettesse al centro i cittadini, non gli Stati: “Europei contro il Covid-19”, cercando di fare poche cose, ma efficaci.
Quali?
Abbiamo sfruttato i nostri forti e capillari canali di comunicazione. Siamo una presenza reale in tutta Europa. Abbiamo aiutato gli Stati a comunicare i messaggi fondamentali: “Stare a casa”, “Stare al sicuro”, “Mantenete le distanze sociali”. In alcuni luoghi è stato più facile, in altri molto meno. Alcune volte abbiamo seguito e implementato le indicazioni degli Stati, in altri invece ci siamo assunti la responsabilità di condividere messaggi efficaci di buon senso.
Non si vive di soli frasi.
Crediamo fortemente nell’importanza di coinvolgere le persone con le emozioni. Volevamo comunicare tutti quei gesti di solidarietà che sarebbero stati ignorati, nel caos generale. Abbiamo condiviso esempi di amicizia, aiuto e solidarietà tra i cittadini in tutto il Continente. Un messaggio potente perché ci mostra che siamo tutti sulla stessa barca. Ci siamo accorti che c’era una disinformazione da parte di alcuni media che stava andando proprio nella direzione opposta. Per questo abbiamo dovuto strutturare la nostra narrazione o le persone non avrebbero mai saputo in modo chiaro cosa stava facendo l’Europa per loro.
Come si struttura una narrazione?
Abbiamo organizzato parecchi briefing con i mass media, e lavorato molto nei social network pubblicando quelle storie di solidarietà. Ma la prima cosa è stato partire dai fondamentali: raccogliere i dati e le informazioni su cosa stava facendo l’Europa e tradurli per i media e i cittadini. Per esempio la lista delle 10 cose fatte dalle istituzioni nelle prime fasi dell’emergenza. Questo elenco lo abbiamo distribuito anche a tutti i nostri eurodeputati chiedendo a loro di diffonderlo attraverso i loro canali.
Perché coinvolgere anche gli eurodeputati?
Potenzialmente abbiamo 705 comunicatori. Voglio dire, fa parte del loro lavoro. Ognuno di loro ha naturalmente la sua agenda di cose da dire e promuovere. Ma con sorpresa abbiamo notato in poco tempo che tutti ci chiedevano a gran voce informazioni concrete su cosa stava facendo l’Unione. Per questo abbiamo tradotto in tutte le lingue i dati a nostra disposizione e li abbiamo forniti. Così ognuno ha avuto informazioni affidabili per rispondere con autorevolezza alle domande dei giornalisti. Lo avete visto anche voi, gli eurodeputati sono molto presenti sui mass media e hanno spiegato in gran parte loro il ruolo dell’Europa nella crisi. Ma il nostro terreno di gioco è stato un altro.
Quale?
Quello che abbiamo fatto anche durante la campagna per le elezioni europee del 2019: coinvolgere le persone che sono fuori dalle istituzioni. La nostra rete di volontari, associazioni e persone comuni. Una comunità attiva di persone che collabora con noi tutto l’anno per vari eventi e che ci ha chiesto di dare loro informazioni, qualcosa che potessero usare per far arrivare il messaggio. E loro stessi hanno condiviso una foto, un video, una testimonianza di un gesto di solidarietà in Italia, Spagna o Germania. O dovunque ci sia stata solidarietà in queste settimane.
Il problema però è che le persone comuni hanno poche persone a cui far arrivare il messaggio,
Per questo abbiamo coinvolto anche degli influencer o personaggi famosi che hanno voluto darci il loro supporto. Per esempio un’influencer tedesca con milioni di follower su Instagram ha fatto una diretta sul suo canale intervistando gli eurodeputati. Così il messaggio non arriva ai “soliti sospetti” che seguono cose europee. Questa strada che abbiamo imboccato da tempo ci piace, la troviamo utile ed efficace. In questo momento alcuni influencer europei stanno lavorando insieme a un video che sarà lanciato tra un po’ sui social, per mostrare la solidarietà europea.
Anche i funzionari europei hanno un cuore, quindi.
Abbiamo imparato questa lezione durante le elezioni europee: se vuoi che la tua campagna sia efficace, se vuoi che le persone ascoltino davvero il tuo messaggio è poco utile spiegare sempre tutto razionalmente. Perché serve qualcosa di più per sopravvivere nell’oceano dell’informazione. Per appassionare i cittadini serve un’emozione e un obiettivo. Per questo nel 2019 abbiamo creato la piattaforma “thistimeimvoting.eu“ (Stavoltavoto).
In quel caso però il messaggio era convincere i cittadini a votare. Questa pandemia è un’altra storia.
In questa crisi l’emozione da trasmettere è il vero senso di solidarietà e unità a cui abbiamo assistito in queste settimane. Gesti di solidarietà ispirano a loro volta altri gesti altruistici. Ed è un bene che questo messaggio non arrivi necessariamente da un burocrate in giacca e cravatta seduto in un ufficio grigio di Bruxlles, ma da una persona simpatica e influente con milioni di follower. Così il messaggio di solidarietà coinvolgerà molte più persone di quanto potremmo fare noi da soli come istituzione.
Coinvolgere tante altre realtà però vuol dire anche cedere il controllo completo sul messaggio che volete inviato.
Abbiamo dovuto accettarlo. E non è una cosa facile da fare per un’istituzione. Ma abbiamo imparato a correre questo rischio. E le autorità politiche a cui facciamo riferimento la pensano come noi. Lo abbiamo capito guardando alla differenza tra le elezioni europee del 2014 e del 2019. Quando sei anni fa presentavo la nostra campagna di comunicazione mostravo alle persone tutto ciò che avevamo fatto. L’anno scorso abbiamo mostratto tutto quello che avevano fatto anche gli altri. Una campagna funziona se mobiliti altre persone a credere nel tuo progetto. Questa è la filosofia di piattaforme come thistimeimvoting.eu. In questa crisi stiamo seguendo la stessa strategia con la piattaforma togheter.eu. Non si tratta solo di “parlare con te”. Si tratta di “tu e noi che parliamo insieme e comunichiamo insieme”. È un modo molto più potente di far passare un messaggio.
Però abbiamo visto come sia bastato un aereo russo o una stretta di mano dietro una bandiera cinese per convincere gli italiani che gli aiuti di Pechino e Mosca sono stati maggiori rispetto a quelli dell’Unione. Almeno nella prima fase.
Sappiamo che i volumi di questo sono stati in realtà relativamente minori rispetto a ciò che viene fatto dall’Europa. Non è mica facile coordinare diversi dipartimenti, commissioni, comitati e sottocomitati di diversi Stati membri. Per dire, la Commissione ha molta potenza di fuoco quando si parla di comunicazione, ma spesso si disperde perché parliamo sempre di 27 Stati membri. Ecco perché nel nostro piccolo cerchiamo di aiutare anche le altre istituzioni, condividendo con loro la nostra strategia e le nostre informazioni. Magari non mettendo neanche il nostro logo del Parlamento e lasciando solo quello dell’Unione. Credo però che la percezione delle persone sia ormai cambiata dopo le prime fasi.
Quindi la prima impressione non è quella che conta.
All’inizio della crisi c’è stata una risposta molto emotiva perché dominavano l’ansia e la preoccupazione. La gente stava semplicemente chiedendo aiuto, tanto e il più possibile. E forse le aspettative erano irrealistiche. Da qui nasce l’insoddisfazione. Le persone hanno capito il coinvolgimento dell’Europa anche grazie alle discussioni sugli strumenti per salvare l’eurozona. Certo, si potrebbe fare di più, magari facendo davvero capire che se l’Europa non fa certe cose è perché non ne ha il potere. Purtroppo i primi giorni della pandemia saranno ricordati come una nota a pié di pagina di una storia molto più lunga in cui ci sarà la ripresa dalla crisi. Alla fine, saremo giudicati più da questo che sull’incertezza iniziale.
Un po’ forse c’entra anche il ruolo dei media. Che cosa le dà più fastidio di come giornali, radio e tv comunicano l’Europa?
Lo sta chiedendo a un britannico. (ride) Non mi piace che troppo spesso l’agenda degli editori nei confronti dell’Europa prevalga su qualsiasi tentativo di rappresentare le cose in modo accurato e pacifico secondo la realtà. So che ci sono molti giornalisti diligenti che spesso hanno difficoltà a far passare le loro storie perché non coincidono con una narrazione che i loro editori stanno cercando di spingere. Molte volte purtroppo è successo nel dibattito sulla Brexit, un capitolo molto doloroso per me. Sono triste nel vedere che lo stesso genere di cose sta succedendo altrove.
Per chiudere, ci dica un segreto della comunicazione di voi funzionari europei.
Una cosa che potrebbe sorprendere molti è che chi lavora nei servizi della comunicazione non è il tradizionale eurocrate. Se guardate all’età media, sono molto giovani. Me escluso. Molti di loro vengono da una robusta esperienza di lavoro nei social media, si assumono rischi e sono pronti ad andare oltre i loro limiti. Anche grazie a loro abbiamo rinunciato al controllo completo nella comunicazione, coinvolgendo altre realtà.