«Vittoria storica per la popolazione Lgbti! E la misura va a beneficio di tutti coloro che hanno bisogno di donazioni, poiché le scorte di sangue sono quasi sempre insufficienti». Così il 9 maggio Sâmia Bomfim, deputata federale del Partido Socialismo e Liberdade (Psol) per lo Stato di San Paolo, femminista e attivista per i diritti umani, commentava via Twitter la decisione della Corte Suprema del Brasile di abolire il divieto di donare sangue per «maschi che fanno sesso con maschi».
Con sette voti favorevoli e quattro contrari i giudici del Supremo Tribunal Federal (Stf) hanno infatti revocato del tutto il periodo di attesa per uomini gay e bisessuali, che, fino a venerdì scorso, erano tenuti ad astenersi per 12 mesi dai rapporti sessuali per poter essere donatori. La Corte Suprema, che era stata investita della questione nel 2016, ha rilevato l’incostituzionalità di una tale limitazione temporale in quanto restrizione discriminatoria per gli uomini gay e bisessuali.
Come rilevato nel suo voto dal magistrato Luiz Edson Fachin, «lo Stato, anziché consentire a queste persone di promuovere il bene attraverso la donazione di sangue, limita indebitamente la solidarietà sulla base del pregiudizio e della discriminazione».
La decisione del Supremo Tribunal Federal è stata così commentata a Linkiesta da Ana Andrade, campaign manager di All Out in Brasile: «Le restrizioni a donare il sangue in vigore per gli Msm (maschi che fanno sesso con maschi) qui da noi risalivano a un periodo in cui non avevamo le informazioni e le conoscenze scientifiche di cui disponiamo ora. Non ha senso, ancor più nel 2020, considerare qualcuno “insicuro” in base a chi è o con chi fa sesso.
Quindi questa è una decisione importante della Corte Suprema, soprattutto in un momento critico come questo. La pandemia di Covid-19 sta colpendo duramente il Brasile. I numeri ufficiali indicano più di 163.000 casi e oltre 11.000 morti.
Ma la stima degli specialisti è che ci sono sottostimati e il numero di casi potrebbe essere fino a 14 volte superiore, il che significherebbe oltre 2 milioni di persone infette. In questo contesto, molte persone hanno smesso di donare il sangue e molte banche del sangue hanno poche scorte.
Ora, anche un grande gruppo di persone sane può donare il sangue, quindi, questa è una vittoria per i brasiliani Lgbti, che però andrà a beneficio di tutti». La decisione della Corte Suprema del Brasile segue, infatti, le disposizioni adottate recentemente da altri Paesi, che hanno rivisto i criteri per le donazioni di sangue da parte di uomini gay e bisessuali proprio a causa delle preoccupazioni sulle minori forniture nell’attuale crisi sanitaria da Covid-19.
Revisioni che, in ogni caso, non hanno portato a una cancellazione totale del periodo di attesa come successo in Brasile. In Irlanda del Nord e, poco prima, negli Usa, ad esempio, esso è stato ridotto da 12 a tre mesi, come comunicato il 2 aprile dalla Food and Drug Administration (Fda).
La decisione dell’agenzia federale statunitense del Dipartimento della salute, preposta al controllo della sicurezza dei farmaci e delle procedure sanitarie, è giunta dopo una lunga campagna sulle donazioni di sangue da parte di gruppi per i diritti Lgbti e alcuni parlamentari, che ritengono la normativa statunitense ingiusta e discriminatoria dal momento che a uomini e donne eterosessuali non è richiesto alcun periodo previo di astinenza.
Come noto, a seguito dell’epidemia da Hiv/Aids, gli Stati Uniti avevano imposto nel 1983 un divieto totale di donare sangue a uomini gay e bisessuali. Divieto poi cancellato nel 2015 con l’introduzione di un periodo di attesa di 12 mesi. Ma in marzo la Fda ha subito pressioni da parte di vari parlamentari, tra cui la deputata Alexandria Ocasio-Cortez e la senatrice Elizabeth Warren, che ha definito le restrizioni «stigmatizzanti» e «discriminatorie».
Dopo aver notificato in marzo che il numero di donazioni di sangue «è drasticamente ridotto» a causa della presente crisi sanitaria, Fda ha dichiarato, il 2 aprile, che «le nuove misure per donatori gay e bisessuali rimarranno in vigore anche dopo la fine della pandemia.
Mantenere un adeguato apporto di sangue è vitale per la salute pubblica». Una decisione, quella di Food and Drug Administration, accolta con favore dalla nota organizzazione newyorkese Glaad e da altre associazioni Lgbti statunitensi, che, in ogni caso, vogliono una revoca totale del periodo di attesa.
Le regole sulle donazioni di sangue da parte di uomini gay e bisessuali differiscono in tutto il mondo. Gran Bretagna e Canada richiedono che gli uomini gay e bisessuali si astengano da rapporti sessuali per tre mesi prima di donare. In Austria e Germania, ad esempio, sono richiesti 12 mesi, mentre il periodo di attesa è di cinque anni a Taiwan. Cina, Filippine, Grecia, Libano, Singapore, Slovenia sono, invece, alcuni dei Paesi che vietano del tutto a maschi che hanno rapporti sessuali con maschi di donare sangue.
Nessun limite temporale, invece, in Paesi, ad esempio, come Argentina, Polonia, Russia, Spagna, Italia, dove, però, nonostante il decreto Veronesi del 2001 (che impone comunque un questionario in cui si deve notificare se si sono avuti comportamenti a rischio negli ultimi quattro mesi a prescindere dal fatto se si è eterosessuali, omosessuali o bisessuali), la donazione di sangue da parte di uomini gay e bisessuali è spesso a discrezione del centro trasfusionale.
Negli ultimi giorni ha destato una sorpresa enorme l’Ungheria, dove, come comunicato a metà aprile dall’Országos Vérellátó Szolgálat (Ovsz) ossia il Servizio nazionale per l’approvigionamento di sangue, è stato cancellato il periodo di attesa di 12 mesi e, dunque, revocata ogni limitazione temporale per donatori gay e bisessuali. In ogni caso, l’Ovsz ha reso noto, solo in piena pandemia, che una tale abrogazione sarebbe in realtà antecedente e in vigore dal primo gennaio.
Cosa ovviamente ignorata dalle associazioni Lgbti ungheresi, che, comunque, come la più nota Háttér Társaság, hanno salutato con entusiasmo la decisione adottata. A tal riguardo Yuri Guaiana, presidente dell’Associazione Radicale Certi Diritti e segretario di Lgbti Liberals for Europe, ha dichiarato a Linkiesta: «Nel 2015 la Corte di Giustizia europea ha stabilito che il divieto a vita di donare sangue per gli Msm è legale solo se la sicurezza degli emoderivati non può essere garantita con metodi meno draconiani.
Poiché tali metodi esistono (controllo dei comportamenti sessuali che rappresentano un rischio effettivo, quarantena del sangue prelevato per tutta la durata del periodo di finestra – che può arrivare fino sei settimane, a seconda del tipo di test utilizzato), l’esclusione a vita deve considerarsi illegale.
Alla luce di questa sentenza, la decisione ungherese di rimuovere il divieto a vita di donare sangue per gli Msm è una buona notizia che, anche se arriva tardi rispetto alla sentenza, andrà a beneficio di tutti gli ungheresi in questo momento di crisi.
Purtroppo, nel frattempo, il governo Orbán sta tentando di conculcare i diritti delle persone trans, come denuncia Transvanilla, la locale associazione trans, che ha lanciato una campagna promossa in Italia da UniCa Lgbt».