Appena andato in archivio un anno di grazia per le bollicine, a preoccupare erano le incertezze di mercato legate a Brexit e dazi e la dipendenza dal Prosecco per l’export. Tra i filari, sulle montagne del Trento DOC, serpeggiava al massimo un pensiero per gli effetti del cambiamento climatico: forse toccherà alzare la quota della prossima vigna, perché servirà andare un po’ più su, a caccia delle temperature che furono. Tutto qui. E invece è arrivato qualcosa che non si poteva nemmeno immaginare, con la pandemia. Lo stop mondiale alla pratica festosa dello sbocciare. Il blocco della convivialità. I ristoranti chiusi, i bar fermi. Dall’altra parte, all’inizio della filiera, il ritmo blando e imperturbabile della natura, ché la vigna mica può assecondare obblighi di quarantene o aspettare il prossimo Dpcm.
Le bollicine italiane galoppavano. I dazi di Trump hanno colpito la Francia e risparmiato noi, si puntava alla pace commerciale con gli Usa in vista del Vinitaly. L’anno scorso si è chiuso con numeri ottimi. L’Osservatorio del Vino di Uiv e Ismea sulle esportazioni 2019 del vino italiano ha rilevato un export di spumanti sopra i 4 milioni di ettolitri (+8%) per un valore di quasi 1,6 miliardi di euro (+4,5% su base annua). Certo, a trainare è sempre il Prosecco, che da solo pesa per il 65% dell’intero export del segmento spumanti, e per chi punta a crescere nel segmento premium delle bollicine “Metodo Classico” (quelle ottenute con la più complessa tecnica della seconda fermentazione in bottiglia e non in autoclavi, come si fa nello Champagne) l’associazione spumante italiano-prosecco all’estero rimane un problema. E ora ci si è messo il coronavirus a sparigliare le carte. L’Osservatorio Vinitaly-Nomisma Wine Monitor vede un’Italia protagonista in positivo a gennaio e febbraio 2020, ma in ritirata pesante a marzo, con l’inizio del lockdown e la fine delle scorte anti-dazi che gli americani avevano messo da parte da fine anno, all’insegna del “non si sa mai”. A conti fatti, il colpo sarà fortissimo. Club Excellence, che riunisce 18 tra le maggiori aziende di distribuzione e importazione di vini e distillati di pregio, stima nel primo trimestre un ridimensionamento del 30% del volume di affari dei distributori di vino e alcolici. Diventa un 50-60% su aprile.
Matteo Lunelli, presidente e Ceo di Cantine Ferrari, leader in Italia negli spumanti Metodo Classico, vede il bicchiere mezzo pieno. «Dopo Expo per noi è stata una crescita continua, e il 2019 è stato l’anno record con 5,8 milioni di bottiglie vendute e 79 milioni di euro di fatturato, +9% rispetto all’anno precedente. Abbiamo vinto il titolo di Produttore dell’anno allo Champagne & Sparkling Wine World Championship, è stato un anno magico. Il 2020 sarà sicuramente complesso, ma abbiamo la fortuna di essere una azienda solida. Il che ci permette di attraversare questa tempesta mantenendo il timone sulla rotta impostata. Anche se abbiamo l’Italia come principale mercato, all’estero siamo apripista su questa sfida, primi esportatori del Metodo Classico italiano. Ferrari viene riconosciuta come bollicina di eccellenza in un mercato mondiale dominato dallo Champagne. Vedo grandi spazi di crescita».
Dai numeri – e per l’effetto dazi, non scordiamolo – l’Italia pare aver affrontato il momento meglio della Francia. C’è una base per ripartire e fare ancor meglio? «Sì, ma all’estero abbiamo tratto vantaggio da un posizionamento più basso, anche nel prezzo. È vero che reggiamo bene ma è vero anche che i consumi degli ultimi mesi sono stati concentrati sulle fasce basse di prezzo, tanto è vero che la Francia ha sofferto molto sullo Champagne. Spero non sia solo questo, ma incide. Credo che la sfida italiana sia cercare un continuo posizionamento verso l’alto; non dobbiamo essere produttori di vino low cost, ma orgogliosi di proporre l’eccellenza».
Ha ancora senso l’eterno confronto con le bollicine francesi? «La sfida nel tempo ci ha spronati a fare meglio», dice Lunelli. «Nel vino è bene parlare di diversità: pur con lo stesso metodo, sono vini differenti, espressione di territori diversi. Dopo un secolo di storia, noi come Trento DOC dobbiamo raccontare la nostra storia. Siamo una bollicina di montagna (i vigneti Ferrari e delle altre cantine della DOC sono tutti tra i 400 e i 600 metri di altitudine, distribuiti tra Valle dell’Adige, Val di Cembra e Valle dei Laghi, ndr), espressione dello stile di vita italiano. Un confronto che dobbiamo fare senza alcun senso di inferiorità».
Si ripartirà dalla Cina, da Est. Pochi giorni fa è stato presentato il rapporto Bain-Altagamma sulle prospettive del mercato dei beni di lusso. Le bollicine raffinate stanno dentro quei consumi lì. Lunelli, dal 1° gennaio, è anche presidente di Altagamma, la fondazione che raggruppa 107 aziende del Made in Italy. «Il 50% dei consumi lusso nel 2025 sarà ad opera di consumatori cinesi. Anche il vino italiano dovrà tentare di risolvere questa distorsione: siamo quasi assenti, dobbiamo investire». Intanto c’è da fronteggiare un crollo del giro d’affari, per tutto l’alto di gamma, fino al -35% entro fine anno. Stéphane Revol, Ceo della Maison di Champagne Comte de Montaigne, ha detto che per uscire da questa crisi serviranno «ponti virtuali e solidarietà tra produttori». «Anche nel mondo del vino si può lavorare insieme, per territori, tanto per cominciare», spiega il Ceo di Ferrari.
«Per esempio con gli sforzi comuni di comunicazione, e noi lo facciamo con più di 50 cantine trentine riunite nell’Istituto Trentodoc. Ma penso soprattutto alle sinergie con altri settori dell’eccellenza italiana. In un mercato globale fare squadra è fondamentale, perché anche una realtà nostra, pur se leader, è piccola nel confronto con la dimensione globale».
E lo stato? Non tanto interventismo – che rischia di sconfinare e diventare invadenza – quanto cura del contesto. «Gli imprenditori devono fare leva sulle loro forze prima di tutto, poi creare sinergie multisettoriali, come quelle che creiamo in Altagamma. In un momento come quello attuale, talmente pesante, penso sia giusto anche pensare che lo stato intervenga in aiuto, ma ci sarà bisogno di una strategia di comunicazione del Paese, sulla reputazione dell’Italia nel post-Covid. Attrarre il nuovo turista, raccontare al mondo sempre di più il vino assieme allo stile di vita italiano, resuscitare in tutti la voglia di Italia. Su questo credo che lo Stato possa fare di più, soprattutto ora. Come fondazione ci siamo resi disponibili con il Ministero degli affari esteri, per portare professionalità a supporto di progetti di comunicazione e marketing di cui avremo grande bisogno».
In azienda, il coronavirus ha imposto ancor maggiore senso di responsabilità. «Ci siamo attivati per tutelare la salute dei nostri dipendenti (200 persone in tutto il Gruppo Lunelli, che oltre a Cantine Ferrari possiede la grappa Segnana, l’acqua minerale Surgiva, i vini fermi delle Tenute Lunelli in Toscana, Umbria e Trentino, e uno storico marchio del Prosecco Superiore DOCG di Valdobbiadene, Bisol, che da solo macina 4,3 milioni di bottiglie, ndr). La task force guidata dal nostro direttore generale Simone Masè ha studiato un rigido protocollo per la gestione degli spazi e del lavoro in cantina. Abbiamo sfruttato in piccola parte la cassa integrazione, stipulato una assicurazione sanitaria Covid e anticipato ai nostri agenti parte delle provvigioni, perché la rete di vendita si è dovuta fermare completamente. Siamo riusciti anche a rispettare la catena dei pagamenti a monte».
Le bollicine Ferrari nascono da vigneti di proprietà per il 20%, il resto arriva da conferenti, ossia piccoli proprietari, vignaioli che gestiscono le terre di famiglia, «e che sono con noi da moltissimi anni. In vigna non c’è stato alcuno stop, la natura non si ferma ed è più facile mantenere le distanze. Abbiamo impostato precauzioni come la sanificazione di trattori e strumenti di lavoro e la gestione di spazi comuni come mense e spogliatoi con turni e ingressi scaglionati».
Si continua a coccolare l’uva, come prima. Spiega Lunelli, terza generazione della famiglia che dagli anni ’50 ha acquisito l’azienda fondata nel 1902 da Giulio Ferrari, che «oggi tutti i vigneti di nostra proprietà sono certificati come biologici, e tutti i conferenti seguono il nostro protocollo che ha bandito completamente uso di insetticidi, acaricidi e chimica».
Sostenibilità ambientale e sociale diventeranno ancora più importanti nel mondo “dopo”. Lo dice Gfk, centro studi che analizza il sentiment dei consumatori. Ne sono convinti anche in casa Ferrari: «Ci sarà ancora maggior attenzione al portato valoriale dei marchi, non solo alla qualità del loro prodotto ma anche al loro modo di trattare dipendenti, stakeholder e ambiente. In particolar modo nell’alto di gamma, i consumatori si aspettano eccellenza anche nel comportamento globale dell’azienda».
Lo stop di marzo e aprile ha impattato poco sullo spumante Ferrari. «Per fortuna il nostro vino tendenzialmente migliora con un più lungo periodo di affinamento. Abbiamo potuto svolgere tutte le attività critiche sia in vigneto che in cantina, per fare in modo che il vino base fosse gestito in modo accurato. Eravamo anche molto corti con i nostri stock, vista l’esplosione della domanda degli ultimi anni. Non saremmo potuti crescere più di tanto in futuro. Quindi qui, se vogliamo, c’è il lato positivo della medaglia. Certo, c’è anche il lato negativo perché a nessuno piace non vendere per settimane, e il mercato ci metterà un po’ a recuperare».
Se si guarda all’anno intero, Ferrari viaggia in equilibrio sui due canali di vendita principali, grande distribuzione e ho.re.ca. (hotellerie e ristorazione). Fino all’ultimo trimestre prevale il secondo, con le Feste è ovviamente boom per le vendite nel primo. «Fino all’ultimo quarto di anno non possiamo dire davvero come è andata. Per esperienza, i consumi natalizi sono resilienti, ma certamente c’è un enorme punto interrogativo sul mercato del prossimo Natale». Ipotizzando un medio periodo con poche occasioni per stappare festosamente in gruppo, potremmo vedere rimpicciolirsi la bottiglia di spumante. Dal Magnum alla mezza. «Con la gdo stiamo ragionando per spingere sulla mezza bottiglia, che trovo possa essere un formato interessante in questo periodo. Magari per chi vuole bere bene fra le mura domestiche, ma senza l’ansia di non riuscire a finire, sprecando bollicine preziose. Queste, come la spinta su delivery ed e-commerce, sono strategie di breve termine, ma non possiamo non lavorarci. La convivialità tornerà, passata l’emergenza, di questo sono sicuro. E l’ho.re.ca. resterà per noi un riferimento».
Ferrari lavora ad appuntamenti per scambiare con i ristoratori idee e best practice sull’accoglienza post-Covid. «Siamo stati molto attenti a dare agio finanziario a chi ora non può pagarci le forniture, andiamo incontro ai nostri partner valutando caso per caso». C’è chi dice che in Italia almeno il 30% dei ristoranti cadrà senza più forze per rialzarsi. «La ristorazione, anche quella di qualità, non ha grande forza finanziaria e rimanere chiusi con il peso di costi fissi è molto grave», chiude Lunelli. «Non voglio essere catastrofista, come imprenditore ho l’obbligo di agire con ottimismo. Ma forse questo porterà a un cambiamento, i soggetti più forti e meglio organizzati potranno consolidarsi».