Il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha invitato gli italiani a fare le vacanze in Italia, anche se gli altri Stati, perlomeno quelli europei, riapriranno a breve le frontiere.
Inutile ricordare che appelli del genere, se seguiti con coerenza e reciprocità anche all’estero, sortirebbero gli stessi effetti negativi, sotto il profilo economico, del “comprate italiano” e dei dazi sui prodotti stranieri. Così come nella bilancia commerciale, anche in quella turistica saremmo in attivo, “vendendo” vacanze più di quanto ne compriamo all’estero. Ma sarebbe un guaio se anche tedeschi, francesi, inglesi, americani, cominciassero a snobbare destinazioni estere, in primis l’Italia, per stare a casa propria.
Non è possibile, per ora, sapere se gli italiani ascolteranno Conte. Quel che si può dire è che in passato non abbiamo mostrato molto entusiasmo per le vacanze nel nostro Paese.
Considerando la spesa per spostamenti interni maggiori di 3 notti per motivi non legati al lavoro, quindi incluse le vere e proprie vacanze, i nostri connazionali sono al quarto posto in termini assoluti. Spendono 9 miliardi e 755 milioni di euro contro i ben 41 milioni della Germania, i quasi 24 milioni della Francia e i quasi 13 milioni della Spagna, Paese che pure ha una popolazione e un Pil inferiore ai nostri.
Se si parametra la spesa al Pil, poi, diventiamo dodicesimi, con solo uno 0,6% del reddito dedicato al turismo interno, dietro a greci, bulgari, rumeni e croati. I primi della lista sono di gran lunga i francesi, con l’1,86%, seguiti dagli spagnoli con l’1,12%, e poi finlandesi, tedeschi, svedesi.
Il dato è ancora più sorprendente se consideriamo che dovremmo essere tra i Paesi più grandi dell’Unione europea, non solo a livello di Prodotto interno lordo e Pil pro capite, ma anche di estensione geografica. Dovrebbe essere logico che si possano trovare destinazioni interessanti lontano da casa, in un ambiente diverso dalla propria città, pur rimanendo nello stesso Paese.
Non ci si può aspettare molto turismo domestico da maltesi, lussemburghesi, ma neanche da parte di sloveni, belgi od olandesi, che vivono in Paesi piccoli e piuttosto uniformi, e che spendono pochi soldi nelle attrazioni di casa propria anche nei casi in cui hanno redditi superiori ai nostri.
Eppure, ci superano persino gli Stati piccoli e più poveri, per non parlare dei più grandi cui tanto ci piace paragonarci.
E questo nonostante, nel complesso siamo anche tra quelli che viaggiano meno all’estero.
In sostanza spendiamo poco per vacanze, sia all’estero che in Italia, ma soprattutto in Italia, malgrado le destinazioni turistiche che vantiamo, fonte di attrazione per moltissimi stranieri.
Ma a differenza di quanto riescono a fare per esempio francesi, spagnoli e persino i greci, non riusciamo a rendere le attrazioni del Belpaese appetibili per gli italiani come per chi proviene da fuori.
Sono numeri che nel tempo non sono migliorati, mentre altrove, per esempio in Spagna e Francia, sia la spesa in senso assoluto che quella in rapporto al Pil sono cresciute, e nemmeno di poco.
In Italia, nonostante qualche recupero negli ultimi anni, il 2018 ha registrato risultati stagnanti rispetto all’ultimo anno di crisi economica, il 2013. Un risultato misero, specie se paragonato agli imponenti recuperi visti per esempio in Grecia.
Ma perché gli italiani non spendono in Italia? Da un lato, può darsi che molti preferiscano recarsi nelle loro seconde case (che sono numerose) o in quelle dei parenti. Ma una grande peso è dovuto a prezzi eccessivi e troppo poco competitivi.
A dirlo è anche il World Economic Forum nel suo ultimo report sul turismo. Se l’Italia è promossa su altri aspetti, come la situazione sanitaria e l’attrattività per il turismo culturale e il business, sulla competitività dei prezzi è bocciata senza appello. Siamo nel 20% peggiore su questo aspetto in Europa e Asia Centrale, e all’ultimo posto nell’Europa meridionale, dove si trovano i nostri concorrenti più diretti a livello turistico, come Grecia, Spagna, Croazia.
Con un punteggio di 4,4 (su una scala da 1 a 7) siamo allo stesso livello della Danimarca e veniamo superati anche da Francia e Germania, che arrivano a 4,5 e 4,6 rispettivamente.
Basta curiosare su vari siti internazionali specializzati in budget vacanzieri per toccare con mano come per una villeggiatura di due settimane in alloggi di livello medio si superino i 1700 euro a persona in Italia, mentre in Germania ci si ferma a 1500 euro e in Spagna e Grecia a 1570.
Nonostante tutta la forza di volontà e gli slogan nazional-popolari che in questa emergenza hanno fatto capolino in una comunicazione politica che sempre più strizza l’occhio al nazionalismo, sarà difficile ottenere che una popolazione impoverita dalla recessione decida di riversarsi in hotel e stabilimenti balneari così cari.
Salvo alcune realtà significative, come una parte della riviera adriatica, molta della nostra industria turistica è stata costruita per essere attrattiva verso una clientela modello Dolce Vita, fatta di stranieri danarosi, un po’ in là con gli anni, che non badano a spese pur di vivere il sogno di un’estate italiana tutta sole, cultura, e buon cibo.
Bene, ora è difficile che si possa riconvertire verso un altro tipo di pubblico, spesso più giovane, che negli ultimi anni ha invece preferito l’estero, un po’ per voglia di vedere il mondo, un po’ per risparmiare.
Parliamo anche di realtà mediamente piccole, come accade del resto in ogni ambito dell’economia italiana. Quasi il 60% dei dipendenti del settore turismo lavora in imprese, hotel o ristoranti con meno di 10 addetti, mentre in Spagna si tratta del 46,2%, in Francia del 44,9%.
Forse, in attesa di politiche che finalmente riescano a portare nel nostro Paese anche chi ha un budget più contenuto, siano essi italiani o stranieri, dovremmo puntare a fare tornare i turisti abituali. Sperando che, nel frattempo, i politici di altri Paesi europei non diano sostanza ai loro progetti di chiusura delle frontiere verso l’Italia.