InfodemiaBorrell ammette di aver ricevuto pressioni dalla Cina sul report anti disinformazione

L’Alto rappresentante per la politica estera europea si difende davanti agli eurodeputati e assicura che nonostante il pressing di Pechino non ha annacquato il report: «Ci sono prove significative di operazioni cinesi sotto copertura sui social media»

Afp

«Una infodemia accompagna la pandemia». L’alto rappresentante dell’Ue, Josep Borrell, ha chiarito di fronte al comitato per gli Affari Esteri dell’Europarlamento il caso del dossier dello European External Action Service (Eeas). Pechino si è fatta sentire, ora è certo, ma Borrell nega che ciò abbia influenzato la gestazione del report sulla disinformazione. La sua difesa non convince fino in fondo gli eurodeputati. 

È stato l’affaire della settimana. Martedì 21 aprile, Politico.eu anticipa la relazione della divisione StratCom, attesa a ore; si parla di pesanti responsabilità cinesi, oltre alle «solite» russe. Quel pomeriggio, i portavoce rilasciano un «no comment» a Europea: «Probabilmente s’è trattato di un leak di documenti interni».

Il fascicolo non verrà pubblicato fino a venerdì 24 aprile: dietro il ritardo il New York Times scorge pressioni di Pechino. Quando vede la luce, la versione definitiva è più morbida, anche nella scelta delle parole. Scompaiono riferimenti alla «campagna globale di disinformazione» prima attribuita al regime, mentre lo «sforzo continuo e coordinato da parte di fonti ufficiali cinesi per scaricare ogni colpa» della pandemia è ricondotto ad attori generici, fra i quali la Cina. 

 

Borrell non si sottrae alle richieste di trasparenza, contenute nella lettera dell’olandese Bart Groothuis sottoscritta da 58 eurodeputati, e compare in audizione giovedì 30 aprile. Le discrepanze si spiegano, dice, alla luce di una distinzione: il materiale trapelato sulla stampa era a uso interno dell’Eeas e, quindi, diverso dalle relazioni che vengono rilasciate per essere lette dal pubblico.

«Dobbiamo verificare le fonti per non creare incidenti diplomatici — sottolinea l’Alto rappresentante —. Ciò comporta il rinvio di qualche giorno della pubblicazione, tuttavia il contenuto e le tempistiche vengono determinati esclusivamente dall’Eeas. La relazione non è stata annacquata o edulcorata: non fate l’errore di credere che la seconda è la prima con qualche modifica, sono due prodotti completamente differenti». 

Su precise domande degli europarlamentari, che fanno notare la correzione di tiro fra 21 e 24 aprile, Borrell ammette l’esistenza di rimostranze cinesi. Nella sua ricostruzione, racconta che non era «al corrente» del caso mediatico perché quel giorno era il suo compleanno e voleva prendersi «un pomeriggio libero».

Testuale. «Siamo un servizio diplomatico — replica lo spagnolo —, abbiamo contatti costanti con i rappresentanti dei Paesi terzi e questo significa ascoltare il loro punto di vista, ma non può significare piegarsi alla pressione politica esterna. È evidente che la Cina ha espresso le sue preoccupazioni tramite canali diplomatici, quando c’è stata la fuga di notizie».  

Spiegata semplice: non chiamatele «pressioni», ci sono state, però non hanno influito. «Posso garantirvi che nessuna modifica è stata introdotta per alleviare le preoccupazioni di una parte terza — spiega Borell in videoconferenza —. Non abbiamo rinunciato ai nostri valori né ci siamo piegati a nessuno, dovreste leggere la relazione, siamo fra i pochissimi che osano denunciare questi fatti». Si rifà alla dottrina geopolitica dell’Unione, la Cina è «partner chiave ma anche rivale e concorrente sistemico», e nomina altri disseminatori di mistificazioni: Iran e il regime siriano. 

 

Nel dibattito, l’erudeputato dei Verdi Reinhard Bütikofer riconosce che, anche se molte critiche sono state superate, lo scandalo resta. «Non dovete mentire al pubblico — l’attacco del tedesco —. Dovremmo sostenere l’appello di Germania e Svezia affinché la Cina sia trasparente sull’origine del coronavirus». Quel compito, risponde Borrell, esula dal mandato dell’Eeas, che è contrastare la disinformazione. Non si può permettere, conclude, un danno d’immagine dell’istituzione. Nathalie Loiseau (Renew Europe) segnala che il dossier non cita «le campagne scandalose dell’ambasciata cinese in Francia», per le quali ha protestato ufficialmente il ministero degli esteri della République

Anche questo sarebbe uno dei temi espunti, rispetto alle anticipazioni. Un’analisi di Politico.eu ha messo in luce come, dall’inizio della pandemia, più di 100 account ufficiali cinesi abbiano intensificato l’attività sui social network. Fra i contenuti si rintracciano critiche a Stati Uniti ed Ue, l’autodifesa sulla gestione di Pechino dell’epidemia, fino a rilanciare le fake news fabbricate da «testate» vicine al Cremlino. Per esempio, l’ambasciata cinese di Francia ha retwittato un articolo con teorie cospirazionistiche sulla diffusione del virus. 

 

Ma cosa contiene il report finale? La riga sui colpevoli ha un inciso che ridimensiona il ruolo della repubblica popolare: «Russia e – in misura minore – Cina» (corsivo nostro). In cifre: le fake news sono state condivise quasi 2 milioni di volte, totalizzando online 117 milioni di visualizzazioni. Per esempio, un terzo dei cittadini inglesi s’è lasciato convincere che la vodka possa funzionare da igienizzante per mani. 

C’è, va detto, anche un capitolo sulla Cina. I media di Stato, riecheggiati da ufficiali diplomatici, cercano di limitare i riferimenti a Wuhan come epicentro del Covid-19 e continuano a seminare confusione, sostenendo (falsamente, qualora fosse necessario ribadirlo) che sia stato importato da militari americani. «Ci sono prove significative di operazioni cinesi sotto copertura sui social media», si legge. Come i bot che amplificavano i tweet di gratitudine al tempo degli aiuti sanitari all’Italia, ma anche il tentativo di aggirare le regole sulla pubblicità sui social per magnificare la risposta di Pechino all’infezione. È globale il network di propaganda

Forse tutto il clamore avrà almeno una ricaduta positiva. Il sito di Eu vs Disinfo, nella scorsa settimana, ha visto le sue visite impennarsi dell’800 per cento, con oltre 10 mila visitatori al giorno. Con il fact-checking quotidiano depura le tossine riversate sul web dai nemici della democrazia. Come ricorda Borrell, «la disinformazione può avere un impatto materiale, può uccidere». Le torri del 5G incendiate e abbattute perché accusate di favorire la diffusione del virus lo dimostrano.

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