Il Duomo di Napoli è vuoto durante la cerimonia del miracolo di San Gennaro, patrono della città, un’immagine inusuale come tante a causa del distanziamento sociale. Il cardinale Crescenzio Sepe celebra una messa storica, per certi versi unica, in piena pandemia davanti a una platea che può seguirlo solo in diretta streaming, fatta eccezione per Riccardo Imperiali di Francavilla, membro della Deputazione di San Gennaro, monsignor Vincenzo De Gregorio, abate della Cappella di San Gennaro, e il sindaco Luigi de Magistris, in qualità di presidente della Deputazione.
Al termine della cerimonia, de Magistris commenta con un post su Facebook: «San Gennaro ha fatto il miracolo, il sangue si è sciolto, San Gennaro è con noi», un modo per ricordare, ancora una volta, il suo ruolo di ambasciatore della napoletanità, una narrazione che ha permeato tutto il suo doppio mandato.
Nelle ultime settimane il sindaco è intervenuto su tutti i canali d’informazione per provare a ritagliarsi il suo spazio mediatico, compresi post sui social e altre idee intraprendenti, come la querela a Vittorio Feltri. Politicamente, però, i suoi discorsi non hanno prodotto granché, anzi: restituiscono l’immagine di un sindaco in difficoltà. La figura di de Magistris è stata oscurata dalla comunicazione dirompente e dalle ordinanze esecutive del presidente regionale Vincenzo De Luca – che ha dominato le cronache politiche napoletane e campane, e ha avuto eco ben oltre i confini nazionali.
Se De Luca si è imposto con la sua linea di ordine e sicurezza, il sindaco lo ha criticato con appelli alla libertà dei cittadini: «Non si può più continuare così, pensare che il destino delle nostre vite è affidato a chi vuole muovere le persone come se avesse un joystick della playstation, come un mangiafuoco». I due non si amano, e de Magistris ha sempre criticato il piglio del presidente della regione, definendolo un moderno Ceaușescu.
Eppure, de Magistris non è riuscito ad approfittare del coronavirus per diventare un personaggio nazionale. Una vecchia ambizione frustrata: «In questa congiuntura c’è una sostanziale assenza dell’amministrazione comunale – dice a Linkiesta lo storico Paolo Macry – perché non è vero che la crisi incrocia soltanto le competenze dei presidenti. I sindaci avrebbero un ampio spettro di iniziative, ma De Luca ha fagocitato anche il piano comunale. Con Napoli c’entra poco, eppure sembra molto più presente di de Magistris».
Macry fa riferimento all’impegno di primi cittadini come Giorgio Gori (Bergamo), o Antonio Decaro (Bari), capaci di interpretare con successo il proprio ruolo. Un ruolo che invece de Magistris sembra non riuscire a scindere da quel sentimento di eccezionalismo napoletano, di cui la città è intrisa e che nell’ultimo decennio è stato alimentato ed esasperato, al punto da diventare la cifra stilistica dell’amministrazione stessa.
Lo testimonia anche un recente messaggio diffuso via social sulla fase 2 e l’allentamento delle restrizioni: «Saremo noi napoletani a scrivere la storia della riscossa, con coraggio, visione, passione e amore. Penso che ce la faremo, nonostante tutto, ma è la sfida più difficile».
Macry lo definisce più volte «uno dei capostipiti del moderno populismo italiano. Un sindaco fortissimo sul piano della comunicazione, molto debole a livello amministrativo».
Le frasi con cui de Magistris si è presentato alla città fin dal suo primo discorso da sindaco – nel 2011 – e quelle con cui negli anni ha provato a raccontare Napoli stonano con alcune promesse non mantenute. È un esempio il mancato sviluppo delle periferie. «Dobbiamo abbattere il concetto di periferia», ha detto più volte il sindaco.
I numeri sull’occupazione, ad esempio, raccontano un ampio dislivello tra centro e periferia: a Posillipo sfiora il 43 per cento, a Scampia arriva appena al 22. Il panorama non cambia se si guarda il numero di laureati: nelle zone di Posillipo, Chiaia, Vomero sono circa il 40 per cento, una quota dieci volte più alta rispetto a quella di Scampia, Miano, San Giovanni a Teduccio – periferie Nord e Sud – dove si supera a malapena il 4 per cento.
Ma è un esercizio che si ripete anche in altri settori, come sui rifiuti. Nel discorso programmatico al consiglio comunale, poco dopo la prima elezione nel 2011, aveva espresso l’intenzione di rendere Napoli «all’avanguardia per la green economy, risparmiando denaro pubblico e facendo occupazione». Ma, al netto di un aumento negli ultimi anni, la raccolta differenziata in città non arriva ancora al 37 per cento a fronte di una delle tasse sui rifiuti tra le più alte d’Italia.
Più di ogni altra cosa, però, de Magistris viene criticato per le politiche di bilancio, per un debito cittadino che si è triplicato negli anni – da circa 800 milioni a quasi tre miliardi di euro – al punto che oggi, e nel prossimo futuro, il risanamento dei conti risulta quasi impossibile senza un aiuto da Roma.
A fine aprile la giunta comunale ha approvato una delibera con la quale «dispone lo stralcio» dal proprio bilancio dei debiti maturati da cinque commissariamenti (Bagnoli, sottosuolo, ricostruzione post-terremoto, rischio idrogeologico, emergenza rifiuti) «accollandoli» allo Stato.
Il Comune li ha messi fuori bilancio, ma la Corte dei Conti della Campania è intervenuta e ha comminato sanzioni che si aggiungono ai debiti stessi. Insomma, il sindaco ha provato a rendersi protagonista in queste settimane in cui era stato messo sullo sfondo da un rivale politico più forte e più presente. Risultato: un disavanzo record che è cresciuto fino a due miliardi e 700 milioni. E la delibera stessa ovviamente non può avere alcuna valenza: a fine anno ci sarà il bilancio consuntivo e quelle cifre dovranno pur comparire da qualche parte.
La posizione di de Magistris è tuttavia condivisa dal vicepresidente emerito della Corte Costituzionale Paolo Maddalena, che ha contribuito alla redazione del documento e lo ha definito «un coraggioso gesto di civiltà giuridica».
Fin dalla sua prima campagna elettorale de Magistris ha voluto imporsi come elemento di rottura nella politica cittadina. Ha provato a presentarsi come «sindaco del popolo», come si è definito più volte. Un candidato senza un vero partito alle spalle capace di creare legami soprattutto con una base elettorale diversa, altra: da una parte i centri sociali e i collettivi studenteschi, la sinistra antagonista per definizione, presente a livello capillare sul territorio; dall’altra alcuni dei maggiori esponenti della cultura presenti in città.
Il consenso dei collettivi e dei centri sociali, però, non è necessariamente un consenso strutturato. E infatti nel corso della sua amministrazione de Magistris ha visto deteriorarsi il suo rapporto con i centri sociali. Le cause sono state spiegate lo scorso gennaio dai militanti del gruppo “Ex Opg Je so’ pazzo”, tra gli ultimi ad abbandonare la nave: «Una continua lotta di potere all’interno della maggioranza, per la promozione di soggetti premiati perché fedeli e non perché capaci, non ci sono più le condizioni per sostenere l’amministrazione».
Oggi di quella base di consenso rimane solo il “Laboratorio Occupato Insurgencia”, che politicamente ha ottenuto anche vittorie importanti – come dimostra Ivo Poggiani, eletto presidente della III Municipalità. Ma non c’è molto altro. Anche perché nei tanti rimpasti la Giunta ha perso alcune delle personalità che facevano da collante con importanti frammenti della sua base di consenso. È il caso degli ex assessori Roberta Gaeta e Nino Daniele.
Proprio quest’ultimo, assessore alla Cultura, è stato il vero connettore tra l’amministrazione e il panorama artistico cittadino. Lo spiega a Linkiesta lo scrittore Maurizio De Giovanni: «Perdere un assessore come Nino Daniele è stato un durissimo colpo che de Magistris ha dato alla sua amministrazione».
De Giovanni mantiene ancora un giudizio positivo sul sindaco: «Certamente si poteva fare di più, ma se si considera com’era Napoli prima del 2011 un cambiamento in positivo c’è stato. In questo senso il lavoro di Nino Daniele può essere un caso emblematico, perché ha fatto benissimo nonostante il sistema culturale napoletano non se la passi benissimo, malgrado la qualità degli artisti».
Il panorama artistico napoletano è sempre molto attivo e presente sul territorio. Quel che manca, secondo De Giovanni, è l’industria culturale a sostegno degli artisti. «Basti pensare ai tanti musicisti e scrittori, e al fatto che non ci sono grandi case editrici o discografiche. Tutto l’ambiente ritiene che Nino Daniele abbia fatto un ottimo lavoro fin quando è stato assessore nonostante l’assenza di grandi risorse».
Allontanare Nino Daniele dall’assessorato alla Cultura ha contribuito a erodere una grossa fetta di consenso. Così, dopo dieci anni di amministrazione, nelle mani di de Magistris rischia di rimanere ben poco.
Ma raccoglierne l’eredità non sarà facile anche per i suoi avversari politici. Così come non sarà facile capire i prossimi sviluppi, in una fase così incerta. Il politologo Mauro Calise ha spiegato a Linkiesta che probabilmente «ci sarà una deflagrazione del suo gruppo, già adesso alla ricerca di una collocazione sullo scacchiere».
Uno scacchiere che faticava – fino a poche settimane fa – a trovare una vera forza egemone: dal Movimento 5 Stelle, che per anni si sono visti sfilare voti proprio dal primo cittadino, al Partito democratico spaccatosi più volte, fino a una destra ancora in cerca d’autore.
Lo scorso gennaio “l’operazione Sandro Ruotolo” aveva riunito una coalizione formata da Partito democratico, Dema, Articolo Uno, Italia Viva e Sinistra italiana per le elezioni suppletive del Senato a Napoli. Un esperimento che faceva immaginare accordi anche in vista delle regionali ed eventualmente per le comunali dell’anno prossimo.
«Quell’operazione – spiega il segretario metropolitano del Partito democratico Marco Sarracino – serviva proprio per ripartire, per restituire al Partito Democratico gli elettori che aveva perso nelle ultime tornate elettorali. Sono elettori che ci avevano voltato le spalle, anche per grosse responsabilità del nostro partito, schierandosi con il Movimento 5 stelle o con de Magistris. Ma che in fondo nascono come elettori nostri».
Il Partito democratico avrebbe l’occasione di concretizzare il vantaggio che si sta guadagnando sul campo, dopo diverse sconfitte politiche, grazie al credito politico costruito da De Luca in questa crisi.
Per Calise il rafforzamento di De Luca «potrebbe mettere fuori gioco tutti gli schemi di coalizione a lui alternativi, schemi che rappresentavano una ciambella di salvataggio per un pezzo di Dema e dintorni. Tutto questo darà spazio ai democratici. Se prima dovevano inventarsi qualcosa per fermare De Luca, che politicamente sembrava vicino a un capolinea, adesso invece possono cavalcare l’onda». Con un vantaggio che si dovrebbe poter valutare per davvero alle prossime regionali, sempre più probabili a luglio.
Per le prossime comunali – che si terranno tra un anno – un candidato che arrivi da sinistra sembra, al momento, la soluzione più probabile. Anche perché da destra, a Napoli, negli ultimi anni sono arrivate ben poche proposte convincenti, come testimoniano i risultati elettorali. «È una destra non più tanto radicata sul territorio e strutturalmente debole», dice Macry.
Per questo il primo obiettivo sarà ripartire da una «coalizione in grado di trovare un candidato più forte a livello elettorale», come dice Francesco De Giovanni (Forza Italia), presidente della I Municipalità e potenziale candidato per la poltrona di Palazzo San Giacomo.
Parole condivise anche da Severino Nappi, presidente del movimento civico Il nostro posto: «La destra deve riunire tutte le sue anime, ma non solo di partito, anche le tante realtà civiche che devono essere parte di un progetto unitario. L’amministrazione cittadina non può più guardare solo al partito politico, dobbiamo andare oltre per creare una proposta più convincente».
Insomma, la carriera politica del sindaco rischia di terminare con il suo secondo mandato: «La situazione di de Magistris – conclude Calise – è chiara: sta cercando di trovare un lavoro per il suo domani. Poteva provare a costruirsi del credito in una situazione di crisi e ridare vigore al suo movimento, invece paradossalmente potrebbe uscirne ancora peggio».