Quesiti linguisticiPossiamo “sbucciarci” un ginocchio? O meglio se “ci sbucciamo” una mela? Risponde la Crusca

“Togliere la buccia” va bene per frutta e ortaggi, meno per la frutta secca. E viene usato anche nell’accezione di “escoriarsi. Ma “pelarsi” una parte del corpo è ancora troppo

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Tratto dall’Accademia della Crusca

Ci sono arrivate molte domande relative ai contesti in cui utilizzare il verbo sbucciare e alla sinonimia che lo lega al verbo pelare. Alcuni lettori ci chiedono il perché di un uso riflessivo affettivo del verbo (del tipo mi sbuccio una mela) mentre altri chiedono chiarimenti circa il significato di ‘escoriarsi una parte del corpo’.

Risposta

Il verbo sbucciare, le cui prime attestazioni in italiano risalgono al XIV secolo, deriva dal sostantivo buccia con l’aggiunta del prefisso privativo s– e della desinenza -are (si tratta dunque di un verbo “parasintetico”): il suo primo significato è quello di ‘privare un frutto della buccia o della scorza, un ramo o un tronco della corteccia’ (GDLI). Il significato di buccia, alla base dell’accezione del verbo è, già a partire dalla terza edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca, quello di ‘parte esteriore delle frutte’. Il Tommaseo-Bellini aggiunge anche il significato riferito alla frutta secca: ‘la sottile pellicina che sotto il guscio resta delle noci, nelle mandorle, ne’ pinocchi, nelle castagne’. Per il GDLI la buccia è la ‘parte esterna di frutti, tuberi, mandorle ecc. costituita da una pellicola o da una membrana più o meno consistente’ mentre il GRADIT la definisce come ‘rivestimento esterno protettivo di frutti, tuberi e sim.: b. di arancia, di mela, di patatatogliere la b.mangiare un frutto con la b. | sottile pellicola che riveste il seme di alcuni frutti’. Confrontando tutte le definizioni di buccia ci si rende conto che non viene mai menzionata esplicitamente la verdura (a differenza dei tuberi; nel caso del Devoto-Oli dei bulbi e nel Sabatini-Coletti dei legumi). Per la frutta secca come mandorle, nocciole, noci e simili si distingue di solito tra il guscio (legnoso e duro) e l’epicarpo, ovvero la pellicina interna che ricopre il seme e che può venir comunemente chiamato buccia (anche in Devoto-Oli e Garzanti). Un discorso a parte poi andrebbe fatto per la castagna che, a differenza di tutta la frutta secca a cui spesso viene accomunata, non presenta un vero e proprio guscio ma una scorza coriacea e una pellicina interna. Per estensione, si considera buccia la parte esterna e spesso di scarto di un qualsiasi prodotto alimentare, tanto che, stando alle definizioni del GRADIT, essa si può riferire anche alla parte esterna di formaggi e salumi, nonché, attraverso alcune ricerche condotte nel corpus dell’archivio della “Repubblica”, anche al guscio delle uova (soprattutto sode) e ai carapaci di crostacei e simili, sebbene queste due accezioni non vengano registrate da alcun dizionario italiano. Il verbo sbucciare di conseguenza, oggi viene usato in riferimento a tutti quegli alimenti che presentano un rivestimento definibile come buccia. Nello specifico, ricercando all’interno dell’archivio della “Repubblica” ci si è accorti che il verbo viene applicato nell’uso comune a:

  • Frutta: i frutti più sbucciati sono mele, pere, banane e arance ma non mancano i fichi, i meloni, i cachi, le nespole, i kiwi e altri frutti esotici e di recente importazione come ad esempio mango, litchis e papaya.
  • Verdura: si possono sbucciare i pomodori, le melanzane, i cetrioli, le zucche, i peperoni, e addirittura gli asparagi e i carciofi (per i quali sarebbe forse più appropriato utilizzare il verbo sfogliare).
  • Tuberi e bulbi: soprattutto patate ma anche rape, barbabietole, carote e sedano rapa; agli, cipolle e scalogni.
  • Legumi: sono stati trovati esempi in cui si sbucciano fave e piselli. Nella maggior parte dei casi il termine sbucciare si riferisce alla rimozione del baccello che racchiude il legume, ovvero quello che in romanesco si dice scafa (da cui il verbo scafare), nonché al suo svuotamento (da cui il verbo panitaliano sgranare):

Se la materia prima si trasforma in materia «umanistica» anche pulire la verdura, o sbucciare, anzi, «scafare» i piselli diventa un atto rituale, indispensabile alla riuscita di un’intera liturgia. (Luca Villoresi, Zagarolo, fra pane rumeno e vino, un’alta cucina di sapori antichi, Repubblica.it, 22/11/2003).

In altri casi, il termine può indicare tanto l’eliminazione del baccello quanto quella dell’epicarpo del legume:

[…] comunque, per alcune preparazioni li sbuccio (è la buccia che crea questa reazione, a quanto ho capito). per esempio, quando faccio la zuppa di farro e fagioli (gnam), una volta cotti li passo nello schiacciapatate. un pò [sic] laborioso ma funziona (commento sul forum gennarino.org del 24/8/2004)

Nel caso della frutta secca si può fare un discorso simile, visto che ogni singola varietà presenta caratteristiche differenti. Comunemente la frutta secca ha un guscio che racchiude il seme, ricoperto da una pellicola che spesso viene rimossa attraverso cottura (ad esempio nel caso delle mandorle bollite o tostate). Nella III edizione del Vocabolario degli Accademici della Crusca, alla voce buccia si ha una citazione che coinvolge i pistacchi:

Ed i pistacchi, fatti loro ingoiar colla buccia. (Saggi di Naturali Esperienze fatte in Firenze nell’Accademia del Cimento, descritti dal conte Lorenzo Malagotti Segretario di quelli dell’Accademia, e nostro Accademico, p. 268)

Come le noci, anche i pistacchi si mangiano prevalentemente senza privarli dell’epicarpo sottile che li ricopre e dunque buccia sembrerebbe significare ‘guscio’. Nel caso invece delle mandorle risulta più comune l’uso del verbo sgusciare per ‘togliere il guscio’ e del verbo sbucciare per ‘togliere la pellicina’.

Ingredienti: 250 gr. di zucchero, 100 gr. di mandorle dolci e 50 gr. di amare, 2 chiare d’ uovo. Preparazione: sbucciare le mandorle, passarle un poco in forno e poi tritarle finissime. (s.f., Mandorle e uova: il segreto è nell’impasto, Repubblica.it, 22/10/2006)

A mezzogiorno Sabatino sbuccia mandorle che compra crude (s.f., Bottega Sirica con le torte anni Sessanta, Repubblica.it, 16/5/2019)

Nel caso delle nocciole (ma anche delle arachidi), visto che il guscio è racchiuso a sua volta da una sorta di baccello che le unisce a coppia, il verbo sbucciare può indicare anche l’azione che riguarda la sua rimozione, come si può notare dall’uso del participio aggettivale nel passo seguente tratto da una descrizione del celebre ritratto dell’imperatore Rodolfo, dipinto da Arcimboldo:

La barba è formata da un paio di ricci di castagne, i denti da fragoline sotto a baffi potenti (nocciole non sbucciate). (Goffredo Silvestri, Quei potenti ridotti a ortaggi a Milano (quasi) tutto Arcimboldo, Repubblica.it, 14/4/2011)

Va fatto un discorso a parte per le castagne, che presentano, oltre al riccio esterno (per cui si hanno a disposizione i verbi diricciare sdiricciare, sia pure entrambi di basso uso), una scorza coriacea marrone (pericarpo) e la pellicina attaccata al frutto (epicarpo). Attraverso alcune ricerche in rete e confrontando i disciplinari delle castagne con Indicazione Geografica Protetta (come la castagna di Cuneo o di Montella) o con Denominazione d’Origine Protetta (come la castagna di Vallerano), si nota che il pericarpo viene spesso chiamato guscio, alternato a buccia. L’operazione di decorticazione viene denominata però sbucciatura.

La “castagna di Montella” può essere commercializzata anche allo stato secco: in gusciosgusciata, intera o sfarinata. (Riconoscimento della denominazione d’origine controllata della Castagnadi Montella, “Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana” n. 30, 5/12/1987)

Parte edibile 84-88%; Bucce 12-16%. (Disciplinare di produzione della Denominazione d’Origine Protetta della Castagna di Vallerano, 20/3/2003)

È ammessa inoltre la conservazione tramite sbucciatura e successiva surgelazione. […]. Le castagne secche sgusciate devono presentarsi intere. (Disciplinare di produzione della Castagna di Cuneo, 13/9/2006)

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