La fase 2 è cominciata. Prima riaprono fabbriche e uffici. Poi, se il coronavirus non deciderà di tentare il ritorno, sarà il momento dei negozi. Seguiranno ai primi di giugno i bar e i ristoranti. Ultime, in sostanza, le scuole.
A differenza di quanto accade in gran parte d’Europa, dove i bambini e i ragazzi, pur seguendo regole diverse, stanno tornando sui banchi, in Italia si è subito scelto di puntare su settembre, quando forse addirittura si dovrà avere una turnazione. Il 77 per cento degli italiani, secondo un sondaggio di Emg, approva la scelta. Solo il 15 per cento appare contrario.
E allora le proteste emerse sui media dei genitori, che non avrebbero avuto nessuno cui affidare i figli (se non in alcuni casi i nonni, proprio quegli anziani che dovrebbero rimanere al riparo dai contatti con altri) forse rappresentano il sentire solo di una minoranza del Paese reale.
Un Paese reale dove, a differenza di quanto avviene all’estero, famiglia e lavoro sono sempre più separati a livello strutturale. E la dimostrazione sono proprio le vicende e le opinioni intorno alle chiusure delle scuola.
È vero: almeno ufficialmente non siamo tra i Paesi con più lavoratori senza figli minorenni, anzi, questi sono solo il 50,7%, contro il 54,7% medio europeo e il 65,2 per cento della Germania, e siamo esattamente in media per quanto riguarda la percentuale di occupati con bambini sotto i 12 anni, quelli che non potrebbero proprio stare in casa da soli.
Queste statistiche, però, raccontano solo metà della storia. Prima di tutto, i lavoratori senza figli sono relativamente pochi per il semplice motivo che molti, troppi, italiani over 50 ma soprattutto under 30 – quindi in quell’età in cui è molto meno comune avere minorenni da mantenere – non sono lavoratori e non rientrano nelle statistiche. A differenza di quello che avviene in Germania.
In secondo luogo – e cosa più importante – in Italia lavorare e avere bambini non implica per forza dover trovare una soluzione per collocare i figli durante il giorno. Questo perché soltanto nel 45,3 per cento dei casi lavorano entrambi i genitori, full time o part time. Qui siamo terzultimi in Europa, solo croati e rumeni fanno peggio di noi. La Spagna e la Bulgaria, che nel 2005 superavamo, ora hanno avuto dei progressi importanti, soprattutto la Spagna. Noi abbiamo fatto molto meno.
Basti pensare che in Europa le famiglie con due genitori lavoratori sono mediamente il 58,9 per cento, in Svezia l’84,3 per cento, in Germania 68,3 per cento.
Proprio in Germania, come nei Paesi Bassi o in Austria, sono tantissimi, la maggioranza assoluta o relativa, i nuclei in cui vi è un genitore che lavora full time e uno part time. È proprio questo – il part time – il segreto dell’alto livello di occupazione e anche del tasso di fertilità superiore alla media di molti Paesi del Nord Europa.
Non è il caso dell’Italia dove, al contrario, nel 45,8 per cento dei casi parliamo di situazioni in cui vi è solo un adulto occupato e l’altro senza lavoro, nella grande maggioranza dei casi è naturalmente la donna. Senza contare che siamo il Paese in cui è più alta la percentuale di genitori che stanno in nuclei in cui nessuno dei due lavora.
Le cose non sono andate migliorando nel corso degli anni. La proporzione di genitori che vivono in nuclei in cui entrambi lavorano è cresciuta dal 40,4 per cento del 2005 al 45,3 per cento del 2019, ma si tratta di una crescita in linea – se non inferiore – con quella della proporzione di adulti nello stesso tipo di nuclei familiari ma senza figli. In questo caso, si è passati nello stesso lasso di tempo dal 26 per cento al 32,6 per cento.
L’aumento dell’occupazione e in particolare dell’occupazione femminile negli ultimi 15 anni, certamente positiva, non ha beneficiato particolarmente le famiglie con figli.
Naturalmente lo status lavorativo dei genitori cambia in base all’età dei figli, si sa, ma se mediamente in Europa tra il 2009 e il 2019 i nuclei in cui lavorano entrambi full time sono divenuti maggioranza relativa quando i figli raggiungono 6 anni o più, in Italia continuano a essere minoranza.
Anzi. Nel nostro Paese sono addirittura diminuiti, in presenza di uno o due figli, i genitori in famiglie con due lavori a tempo pieno con bambini più piccoli di sei anni. Mentre non si registrano variazioni in presenza di figli più grandi.
I miglioramenti nell’occupazione sono relegati alla crescita del part time. Questo vuol dire che c’è una maggiore difficoltà occupazionale proprio per le madri e i padri nella fase più delicata, quella in cui i bambini sono più piccoli.
Forse questo spiega anche un altro aspetto, non propriamente positivo, che può illuminare la questione della riapertura di scuole ed asili. Ovvero la diminuzione della percentuale di lavoratori con figli di meno di 6 anni, che sono passati dal 20,7 per cento al 15,8 per cento in 14 anni. Si tratta di un calo che non si è verificato altrove. Anzi, in Germania si assiste a un lieve aumento, mentre in Francia e Spagna, che erano una volta su livelli italiani, si è verificata una diminuzione meno marcata della nostra.
C’è poi una certa stabilità nella percentuale di genitori con figli tra i 6 e gli 11 anni, mentre a salire più che altrove sono quelli che di figli non ne hanno, di circa un 5 per cento.
L’Italia è non a caso tra i tre Paesi con meno lavoratori con 3 o più figli. Il 51,3 per cento anzi ne ha uno solo.
Anche questo ci fa capire che questioni come la pessima situazione occupazionale femminile, insieme all’inverno demografico collegato, alla fine guidino certe scelte della politica, come quelle legate al lockdown.
Lo scarso lavoro disponibile per le giovani donne (ma non solo le donne) non soltanto abbatte la natalità, ma contribuisce (più che nel resto d’Europa) anche alla formazione di famiglie in cui uno dei genitori deve stare a casa, in particolare al Sud.
Nessuna meraviglia quindi se le pressioni sul Ministero dell’Istruzione per trovare soluzioni alternative alla sola chiusura delle scuole siano in fondo così deboli: dipende dalla struttura sociale del Paese, dove i nonni sono tanti e le mamme lavoratrici poche.
Anche per questo si è deciso che d’ora in poi si potrà andare dai nonni e questi potranno andare dai parenti. Non è stata presa in considerazione, come in Spagna, una differenziazione per le uscite in strada in base all’età. Ma per la ripresa delle lezioni si dovrà aspettare – quasi solo da noi – fino a dopo l’estate.