Il sindaco Sala sta vivendo un momento complesso da gestire, e la sua fama di buon comunicatore – meritatissima fino a pochi mesi fa – sta cedendo il passo alle polemiche sempre più feroci che seguono molte delle sue quotidiane esternazioni.
Alcuni tra gli innumerevoli suoi sostenitori, prima appassionati al limite del fanatismo, si stanno trasformando nei suoi più acerrimi detrattori: perché – si sa – quando si ama molto, si può anche odiare altrettanto profondamente.
L’uscita sullo smartworking non è andata giù a tanti, e la lettera successiva è forse piaciuta ancora meno. Senza entrare nel merito del mercato del lavoro, ci occupiamo di ciò che ci compete, e che in modo neppure troppo velato era il fulcro del problema messo in luce dal Sindaco.
I bar milanesi, i ristoranti, i luoghi di aggregazione della pausa pranzo desertificati dal lavoro domestico stanno diventando un segno della Milano che non è più centro nevralgico del mondo, ma città che senza turisti e senza pendolari ha colto tutta la sua desolazione. Complice l’estate, la fine della scuola online e la conseguente fuga dei milanesi verso le agognate seconde case, la città senza i suoi vituperati omini e donnine di provincia si sta accorgendo che la sua forza vitale era in mani altrui.
Nessuno si senta offeso, non è un giudizio di merito: Milan resta un gran Milan, ma la sua energia emotiva ed economica esiste se esistono le persone che in città lavorano. Anche quando sono presi per i fondelli dal milanese imbruttito.
Quelli che, se stanno nelle loro città e paesi di provincia, che li hanno accolti con affitti più bassi, vita meno concitata, stile meno glamour ma più orientato al benessere semplice e autentico, le fanno magicamente rivivere.
Perché per ogni bar del centro di Milano che chiude o fatica, c’è un bar di periferia o un ristorante di provincia che si riprendono spazi e persone, che ci provano, e che hanno come conseguenza la rinascita di interi paesi e intere città.
Non più semplici dormitori, non più paesi per anziani in pensione: ma nuovi luoghi conviviali e dinamici.
Quando noi provinciali ci eravamo convinti che la pizza e il panino all’ombra della Madonnina fossero per forza migliori, abbiamo scoperto che anche il bar sotto casa o il ristorante del centro storico del nostro comune di periferia hanno qualcosa da offrirci. Che è più comodo, più autentico, meno artificiale e mediamente meno caro. Torneremo a Milano, ne siamo convinti, spesso la amiamo più del più imbruttito dei milanesi: ma nel frattempo le nostre piccole città non ci sono mai sembrate così brulicanti di vita. La nostra.
NB: Una neonata paninoteca del centro di Milano ha la coda fissa dal giorno dell’apertura, a inizio giugno. Prepara focacce farcite con prodotti toscani di grande golosità, a prezzi decisamente competitivi. Che il problema di tanti locali vuoti non sia solo e tutto da imputare allo smart working?