(S)bilancio comunitarioIl mondo della cultura spiega perché non bisogna tagliare i fondi a Europa creativa

La Commissione europea ha diminuito la quota prevista per il prossimo budget 2021-2027 al programma dell’Unione che dal 2014 sostiene con successo i network culturali e la produzione cinematografica del Continente: «Occorre raddoppiare il finanziamento»

Creative Europe

Dai tour virtuali nei musei ai contenuti digitali accessibili a tutti, il mondo della cultura si è rimboccato le maniche sin dalle prime battute del lockdown. Era chiaro da subito, però, che professionisti dell’arte e dello spettacolo sarebbero stati fra i primi a risentire degli effetti delle misure assunte per limitare la diffusione dei contagi e della cancellazione a valanga di eventi e appuntamenti. 

Ora che riaprono mostre, cinema e teatri nel rispetto delle regole sul distanziamento fisico – grande incertezza, invece, sul fronte dei festival e dei concerti -, il vasto ma spesso frammentato mondo dei settori culturali e creativi guarda alle incerte prospettive dei mesi a venire: un test di sopravvivenza, secondo gli addetti ai lavori di un ecosistema che impiega almeno 12 milioni di europei – la gran parte dei quali giovani o giovanissimi – che hanno scoperto che il piano dell’Unione per finanziare la ripresa non prevede, allo stato, nuove risorse per la cultura. 

Europa Creativa è il nome da tenere d’occhio. Molti lo fanno inconsapevolmente già da anni, seduti nelle poltrone dei cinema, quando nei titoli di testa di qualche film appare il fatidico logo “co- finanziato da Europa Creativa”. Dal 2014, è il programma dell’Unione dedicato a cultura e audiovisivo e alla cooperazione europea in questi ambiti, attraverso i due strand (filoni, ndr): “Cultura” e “MEDIA” e uno transettoriale: il primo finanzia, tra le varie azioni, i network culturali europei (dalla rete dei musei a quella dei conservatori musicali) e i progetti di cooperazione su larga e piccola scala, così come iniziative di successo quali le capitali europee della cultura e il premio dell’Ue per la letteratura.

Il secondo, invece, si occupa, tra le altre cose, di sostenere la produzione cinematografica europea e la distribuzione transfrontaliera di film e altri prodotti audiovisivi (dalle serie tv ai videgiochi), compresi doppiaggio e sottotitolatura. Un programma a cui l’Italia guarda tradizionalmente con grande interesse e nelle cui graduatorie finisce sempre fra le teste di fila, insieme a Francia e Germania. 

Nella proposta di Ursula von der Leyen, però, il bilancio di Europa Creativa si attesta a quota 1,52 miliardi di euro – fra i più piccoli programmi di spesa dell’Ue –  con fondi concentrati nei primi due anni e progressivamente meno nei successivi, senza beneficiare di risorse aggiuntive provenienti dal Recovery Fund “Next Generation EU” (come accade, invece, per altri settori, dall’agricoltura alla protezione civile). Si tratta di una quota inferiore rispetto a quanto la Commissione aveva proposto due anni fa (1,64 miliardi) e sostanzialmente analoga a quella che il programma ha avuto nel ciclo di programmazione che volge al termine (2014-2020, 1,4 miliardi).

Numeri che l’hanno reso un’amara storia di (in)successo. Meno del 20% le application che superano la selezione: “Il programma è sottofinanziato rispetto al potenziale interesse che genera e molte buone candidature devono essere respinte”, scriveva la Commissione europea nella mid-term review del 2018. «Occorre raddoppiare il finanziamento», il coro unanime proveniente dal mondo della cultura e raccolto dal Parlamento europeo. Che oggi infatti alza gli scudi e chiede che la strategia della Commissione rispetto a Europa Creativa (ma pure Erasmus+ anch’esso vittima di promesse d’incremento non mantenute) venga ripensata. Se si guarda al complessivo budget di 1,85 mila miliardi di euro, Europa Creativa rappresenta lo 0,08%. 

«Questa proposta di bilancio inevitabilmente penalizzerà il programma e la cooperazione culturale europea in un momento in cui la collaborazione e il dialogo transfrontaliero sono già complicati dalla crisi e da una mobilità ridotta», con il rischio che si ritorni a pensare alla cultura come bene nazionale o locale e non europeo. Cristina Da Milano è presidente di Eccom(Centro europeo l’organizzazione e il management culturale) e vice-presidente di Culture Action Europe (Cae), la maggiore rete europea che si occupa di politiche culturali.

Proprio Cae ha lanciato una petizione online che ad oggi ha raccolto quasi duemila firma per chiedere ai leader degli Stati membri di inserire il raddoppio del finanziamento per Europa Creativa fra i punti del negoziato che inizierà con la video-conferenza del 19 giugno. Così come ha fatto anche la Fondazione Erasmo.

Sulla stessa linea si muove qualche governo: è di qualche giorno fa una telefonata del ministro italiano della Cultura Dario Franceschini con l’omologa tedesca Monika Grütters – dal 1° luglio al timone della presidenza di turno del Consiglio dell’Unione europea- a sostegno di «un’azione comune per aumentare le risorse a favore della cultura nel bilancio europeo e arrivare almeno al raddoppio dei fondi per il programma Europa Creativa».

Se un aumento non dovesse esserci, «guardando all’architettura del programma – dice Da Milano -, il rischio più grosso è quello di vedere la maggior parte dei finanziamenti concentrati su progetti di cooperazione di piccola scala, che permettono sì di raggiungere molti più partner e molti più Paesi, ma danno l’illusione di una maggiore partecipazione. Ciò andrebbe a discapito dei progetti su larga scala: gli unici che, pur essendo in numero minore e raggiungendo una platea meno ampia, sono in grado di creare uno strutturale valore aggiunto europeo, grazie ad attività più durature e budget più importanti».

Innovazione è la parola d’ordine anche secondo Michelangelo Galeati, direttore d’orchestra e docente al Conservatorio “Santa Cecilia” di Roma – da dove coordina il progetto Europa Creativa “Opera Out of Opera”, che vuole portare la tradizione dell’opera fuori dai contesti tradizionali -.  «Europa Creativa significa essenzialmente due cose: costruire e programmare insieme ad altri partner una rete europea, e creare cultura in modo innovativo provando percorsi alternativi. Tutto ciò che l’Italia fa normalmente nei suoi circuiti di produzione culturale, spesso molto pregevoli, non è però sufficiente. In una stagione di grandi cambiamenti, dove oltretutto la tecnologia e l’impatto degli avvenimenti esterni è molto grande, è fondamentale innovare. Ridurre il budget significa limitare le nostre possibilità di reinterpretare la tradizione rendendola oggi e nel futuro viva e fruibile». 

«Europa Creativa ha assolutamente bisogno di maggiori risorse: ha dimostrato di essere un programma necessario ma sottodimensionato. Senza un budget rafforzato per esempio non potrà attivare i nuovi percorsi settoriali», dice Cristina Loglio, presidente del tavolo tecnico Europa Creativa al ministero per i Beni e le attività culturali e il turismo. Il riferimento è ai nuovi focus aperti negli ultimi anni e che potrebbero finire per non vedere la luce in fondo al tunnel: è il caso delle azioni dedicate alla musica, all’editoria, al patrimonio culturale, ma anche alla mobilità degli artisti. 

Il cinema non è da meno; anzi. «Dopo le modifiche nella fruizione dei contenuti audiovisivi indotte dal Covid-19, è necessario accompagnare la filiera cinematografica e gli spettatori a riprendere familiarità ed evolvere verso nuovi modelli da sperimentare – continua Loglio -. Ma serve un’adeguata massa critica. E più sale dovrebbero contribuire agli obiettivi di Europa Cinemas», il network dei cinema con una programmazione prevalentemente europea. 

Di fronte a un’iniziativa senza precedenti, quale “Next Generation EU” e alla sua potenza di fuoco pari a 750 miliardi di euro, raddoppiare il programma dedicato a cultura e audiovisivo vorrebbe dire investire lo 0,2% delle risorse aggiuntive che Bruxelles destina alla ripresa. Il successo del catalogo di Netflix fra gli utenti europei – soprattutto nei mesi di lockdown – è sotto gli occhi di tutti, come lo è volontà delle istituzioni Ue di costruire un’autonomia strategica su più fronti: ma al progetto politico di una sovranità europea manca ancora un’anima culturale per potersi dire completo. 

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