«I cambiamenti demografici in Europa saranno tali da modificare profondamente la società e l’economia del Continente». Secondo l’ultimo report della Commissione europea sulla demografia l’Unione ha davanti a sé un futuro già scritto, con un’età media dei suoi abitanti sempre più alta e un crollo delle nascite. Se nel 1960 gli abitanti erano il 12% della popolazione mondiale, ora sono il 6% e nel 2070 saranno solo il 4%. Uno scenario legato alle scelte fatte a livello politico, economico e culturale dai singoli Stati e destinate a manifestarsi tanto nel presente quanto nel futuro. Per questo «non va sprecata l’occasione per costruire una società europea più giusta e resiliente».
Dal 1960 il numero di abitanti europei è cresciuto del 25%, toccando quota 447 milioni nel 2019. Un dato che però nasconde molte disparità al suo interno, visto che Paesi come Belgio, Cipro e Irlanda hanno mantenuto nel corso del tempo tassi relativamente consolidati di crescita mentre altri, come Bulgaria, Croazia, Lettonia e Romania, hanno cominciato a spopolarsi a partire dal 1990. Un anno non casuale per i paesi dell’Europa dell’Est che negli anni Novanta si sono resi indipendenti dal blocco di Varsavia e dall’Unione Sovietica, crollata nel 1991.
Le politiche a favore della natalità attuate finora dai governi della regione non hanno frenato l’emorragia di giovani, che spesso decidono di emigrare insieme alle famiglie perché non trovano le giuste condizioni di vita nei loro Paesi. Un calo raccontato dai numeri: Un calo raccontato dai numeri: nei prossimi decenni la Bulgaria perderà il 39 per cento della sua popolazione, seguita da Romania (30 per cento) e Polonia (15 per cento)
Se in Europa occidentale non accade lo stesso, il merito è dell’immigrazione. Infatti, la popolazione europea è destinata a crescere ancora per qualche anno, raggiungendo i 449 milioni di abitanti nel 2025 per poi scendere a 424 nel 2070. Un dato probabilmente inconciliabile con il basso tasso di natalità, sceso in maniera costante dagli anni ’60 agli anni ’90 in tutto il Continente.
Nel 2018 la Commissione ha registrato un tasso di 1,55 figli per donna, un valore ben distante dal quel 2,1 che manterrebbe stabile una popolazione in assenza di migrazioni. In alcune aree europee il dato arriva a scendere addirittura sotto quota 1,25, come in Sardegna e in alcune parti del Mezzogiorno italiano, in Grecia e nel nord ovest della Spagna.
Un dato certamente legato alla condizione economica di queste aree, tra le più povere del Continente, dove la donna risente maggiormente delle condizioni di incertezza e precarietà a livello soprattutto occupazionale. Si spiega anche così la crescita dell’età media in cui una donna europea decide di partorire, arrivata nel 2018 a 30,8 anni.
Nel Continente cresce però anche l’aspettativa di vita. Come sottolinea il report, «gli europei vivono generalmente più a lungo, più in salute e più sicuri rispetto al passato, grazie anche a un sistema sanitario e di welfare tra i più avanzati a livello mondiale».
Lo dimostrano le statistiche: nel 2070 l’aspettativa di vita di uomini e donne conterà quasi 10 anni in più rispetto a oggi e sarà di 86 anni per gli uomini e di oltre 90 per le donne. Le condizioni di vita però sono notevolmente diverse nell’Unione.
Se gli abitanti di alcuni Paesi dell’Europa occidentale, come Italia, Spagna e Francia, hanno un’aspettativa media di vita superiore agli 80 anni, quella nei Paesi dell’Europa orientale, come Estonia, Lettonia o Romania, è addirittura inferiore ai 76. Un dato spiegabile soprattutto con le migliori opportunità di vivere più a lungo in salute presenti ad Ovest e non ad Est.
Insieme alla crescita dell’aspettativa di vita sale anche l’età media della popolazione europea più alta. Una questione molto importante, soprattutto a livello economico e occupazionale. Secondo le statistiche, nel 2070 l’età media della popolazione sarà di 49 anni e a incidere maggiormente sarà la fascia anziana, in particolare gli over 65, che arriverà a essere più di un quarto della popolazione totale.
Una crescita che sarà a fatica supportata dalla popolazione in età da lavoro (20-64 anni), che scenderà al 51% della popolazione, e dai bambini e ragazzi, che tra 50 anni saranno solo 12,6 milioni in tutto il Continente. Nell’agenda europea degli anni a venire sarà così centrale la “silver economy”, visto che un’Europa sempre più anziana avrà necessariamente bisogno di attività e servizi diversi da quelli odierni. Prenderne atto sarà la prima attività che l’Unione dovrà svolgere, per non farsi trovare impreparata alla prova dei fatti.