C’è una foto che ritrae Margriet Vollenberg insieme con l’artista Maarten Baas in cui Margriet esibisce una shopping bag con il messaggio: “Penso che l’anno scorso sia stato migliore di questo” e purtroppo sappiamo quanto queste parole si siano beffardemente avverate. L’impatto del coronavirus è stato come un terremoto che ha scosso tutti i settori produttivi e quello del design non è stato risparmiato. Il Salone del Mobile è stato in un primo tempo rimandato da aprile a giugno e definitivamente cancellato qualche settimana più tardi. A catena, sono stati annullati tutti gli eventi del Fuorisalone, compreso Ventura Project di cui Vollenberg è stata ideatrice e curatrice dal 2010.
Dopo i numeri record dell’anno scorso – 94 mila presenze per gli eventi del Fuorisalone targato Ventura – l’edizione 2020 si preannunciava ricca di appuntamenti suddivisi tra due location secondo il format che addetti ai lavori e semplici appassionati avevano conosciuto nel corso degli ultimi anni: performance d’autore ai Magazzini Raccordati, nei sottopassi della stazione Centrale, e scounting di talenti nello spin-off Ventura Future, in zona Tortona, organizzato con Base Milano.
Poi sono sopraggiunti il blocco, le lunghe settimane di calma apparente e infine la decisione di annullare tutti gli eventi previsti, arrivata a pochi giorni dalla riapertura parziale delle attività in Italia. Vollenberg ha affidato a un post molto sofferto su Instagram l’addio di Ventura project a Milano: «Ho trascorso molte notti insonni preoccupandomi se e come avrei potuto salvare o trasformare la mia azienda per adattarmi a una nuova normalità ed essere ancora in grado di aiutare il mondo del design e promuovere il talento come abbiamo sempre fatto. È quindi con grande dolore nel mio cuore che sono giunta alla conclusione che non è più possibile costruire il mio sogno e quelli di molti designer e aziende. Le circostanze attuali non mi lasciano altra scelta che terminare i progetti di Ventura. I miei collaboratori e io abbiamo chiamato personalmente i singoli designer e gli espositori di Ventura Projects. È stato uno dei compiti più difficili che abbiamo mai dovuto compiere come squadra. Parlare con tutti i nostri fidati amici e amanti del design è stato profondamente doloroso e commovente. Per ora, guardo indietro con grande orgoglio e gratitudine per ciò che il mio team e io siamo stati in grado di realizzare». In termini pratici, un anno di lavoro cancellato, chiusura della sede italiana e dipendenti a casa.
Il post ha scatenato una valanga di reazioni tra coloro che hanno collaborato con lei e con Organisation in Design, il suo team italo-olandese che organizza eventi e che in dieci anni ha portato a Milano stupefacenti installazioni e qualcosa come 7mila espositori, il meglio del design sperimentale a livello internazionale. C’è stupore, amarezza e gratitudine per il ruolo di svolto da uno dei distretti chiave del Fuorisalone. Il designer Maarten Baas, presenza ormai fissa al fuorisalone di zona Centrale, si dice choccato: «Da zero, Ventura Projects ha creato qualcosa di unico ed è stato in grado di rinnovare ed espandere il loro concetto nel corso degli anni. Molti designer, incluso me, hanno avuto l’opportunità di mostrarsi attraverso i progetti di Ventura. Hanno dato colore alla Milano Design Week e i visitatori sapevano che potevano aspettarsi qualcosa di buono. Si è perso un grande catalizzatore».
Mentre Milano dice addio a Ventura e alle sue declinazioni internazionali di Berlino, Londra, Kortrijk, Dubai e New York, altre modalità di condivisione degli eventi si stanno facendo strada. Su tutti, il Virtual Design Festival di Dezeen che ha offerto un palcoscenico alternativo a molti designer che avevano programmato di esibirsi a Milano quest’anno. Il virtuale può sostituire davvero gli eventi live? Secondo Vollemberg no: «Non credo che il contatto diretto e il contesto degli eventi live possano essere tradotti in forma digitale. Penso tuttavia che l’online diventerà una modalità sempre più importante nel fare esperienze e che virtuale e reale esisteranno uno accanto all’altro».
Siamo nella fase del post terremoto in cui si comincia ad avere un’idea precisa delle macerie ma non è ancora chiaro come e quando si potrà tornare a costruire qualcosa. «In questo momento stiamo ancora finendo di sistemare tutto ciò che è collegato alle iniziative di Ventura e solo dopo inizieremo lentamente a capire come muoverci e quali saranno le domande che questa nuova realtà ci impone. Dobbiamo davvero pensare a se e come gli eventi torneranno a esistere e a come dovrà essere gestito il pubblico». Alessandro Michele, art director di Gucci, è stato tra i primi a esternare la sua visione del mondo post-Covid decretando la fine delle sfilate di moda così come le abbiamo conosciute finora. Secondo la sua visione, il presupposto perché venga organizzato un evento è che ci sia davvero qualcosa da mostrare, superando di fatto l’imperativo della stagionalità. Man mano che i giorni passano, sembra evidente che queste parole non siano una mera provocazione. «Penso che in futuro dovremo considerare le presentazioni come eventi da condividere con una selezione ristretta di visitatori e pensare a forme alternative, forse più esclusive. Sarà una miscela tra virtuale e reale. Ogni cambiamento costringe a fare delle riflessioni. In questo senso il post-Covid sta delineando un mondo nuovo in cui i designer avranno un ruolo chiave. Stiamo vedendo che le persone lavorano molto da casa ed è probabile che questa modalità venga confermata anche in futuro. C’è molto lavoro per i designer, perché un tavolo da pranzo e una sedia, oggi, non sono pensati per lavorare ma per mangiare. Abbiamo bisogno di nuovi progetti che ci aiutino ad affrontare questa nuova modalità lavorativa. Mai come in questo momento i designer e le aziende hanno davvero bisogno l’uno dell’altro. La domanda che tutti ci stiamo facendo è cosa sia necessario produrre e contemporaneamente sentiamo l’esigenza di nuove soluzioni. I designer sono chiamati a lavorare su entrambi i fronti e a collaborare per tracciare una nuova via. Sono ottimista sul fatto che i designer svolgeranno un ruolo importante, un ruolo che va oltre l’aspetto estetico. Come ho già detto, più che mai, per far fronte a questa crisi e alle sue conseguenze il mondo ha bisogno della creatività e dell’ingegno che il design può offrire».
Con Milano è un addio o un arrivederci? «Quando ho fondato Ventura l’ho fatto perché mi sono resa conto che c’era bisogno di una piattaforma per i designer emergenti. Abbiamo dimostrato che anche i giovani meritano un posto a Milano e che alcune parti della città dimenticate possono essere riqualificate attraverso il traino di manifestazioni come Ventura. Di questo sono consapevole e resto orgogliosa del lavoro che abbiamo fatto in questi anni. La situazione che si è creata a causa della pandemia è qualcosa che nessuno poteva conoscere o prevedere in alcun modo. Se c’è qualcuno che non biasimo è Milano. È stata nel mio cuore per anni, è la città in cui ho iniziato la mia carriera e resta un punto di riferimento fondamentale per l’industria del design. Mi dispiace davvero aver dovuto prendere questa decisione che coinvolge inevitabilmente la città, ma sfortunatamente il lockdown è arrivato nel momento sbagliato, in perfetta sincronia con i nostri progetti. Spero che Milano resti aperta a possibili progetti futuri».