Questa settimana in un talk show di La7 Matteo Salvini si è arrabbiato perché il direttore de La Stampa, Massimo Giannini, ha definito «Italietta» il nostro Paese degli anni ‘80. «Con la Lira le nostre aziende correvano più della Germania. Era un’Italia dove si lavorava, si risparmiava, si stava bene. In quegli anni i nostri genitori e i nostri nonni, con il loro lavoro, hanno comprato le case dove oggi viviamo».
Forse il segretario della Lega non si è ricordato di dire che nei favolosi anni ‘80 della Milano da bere, l’Italia faceva in media un deficit del 10,7% e il rapporto debito pubblico/Pil è quasi raddoppiato dal 56% al 94% (Dati Banca d’Italia). Dalla fine della Seconda guerra mondiale nessun Paese sviluppato ha visto aumentare così tanto il suo debito in così pochi anni.
Oggi è arrivato 2.381 miliardi: 134,8% del Pil nonostante per 26 volte dal 1990 al 2019 lo Stato italiano abbia registrato un avanzo primario. Tradotto: le entrate sono state più delle uscite al netto degli interessi sul debito. Circa 67 miliardi che dobbiamo pagare ogni anno per gli interessi di quel debito pubblico raddoppiato negli anni ’80.
Certo, nel 1987 l’Italia è riuscita a diventare la quinta potenza economica del mondo come ha ricordato Salvini. Anche in questo caso però il leader della Lega dimentica di dire che al terzo posto dopo Stati Uniti e Giappone c’era la Germania (Ovest). Si riferiva forse a quella dell’Est quando ha detto: «Eravamo davanti alla Germania»?
Oppure nel 1982 quando l’Italia di Bearzot divenne Campione del mondo battendo 3 a 1 i tedeschi, l’inflazione nel nostro Paese era arrivata al 16,44% (con il picco nel 1980 del 19,55%), mentre in Germania era quattro volte meno: al 4,55%.
L’aumento rapido dei prezzi di beni e servizi da un anno a un altro è un problema che oggi non conosciamo visto che nel 2019 l’inflazione in Italia è stata solo dello 0,49%. «L’Inflazione erode il potere d’acquisto dei salari e dei risparmi. Rende più difficile accedere al credito. Se raccontassimo a un italiano degli anni ‘80 che oggi si può fare un mutuo al 3% ci prenderebbe per matti, visto che ai tempi i tassi per loro erano del 17%», spiega Carlo Stagnaro, economista dell’Istituto Bruno Leoni.
Un dato basso anche grazie all’Euro che a differenza della Lira non costringe i governi a continue svalutazioni, com’è capitato spesso negli anni ’80. «Con l’Euro abbiamo avuto la solidità che in passato l’Italia non aveva mai trovato con la Lira. Nel 1980 addirittura il governo la aveva svalutata del 21%, erodendo i risparmi degli italiani. Grazie al sistema monetario prima e alla moneta unica poi il tasso di inflazione è arrivato a tassi minimi che abbiamo oggi», spiega Francesca Fauri, autrice con Patrizia Battilani de L’economia italiana dal 1945 a oggi (Il Mulino)
«Anche allora la Germania esportava più di noi perché a parità di qualità del prodotto il nostro costava in media il 15% in più della loro. Ed è proprio per questo che in quegli anni abbiamo perso mercati internazionali che a fatica stiamo cercando di recuperare anche oggi».
E anche guardando il Pil pro capite l’Italia non ha mai superato la Germania. Nel 1980 quello italiano era di 8.456 dollari, quello tedesco a 12.138. Poi il divario è diminuito e nel 1989 i 16.386 dollari pro capite italiani arrivavano quasi ai 17.764 dollari tedeschi. La ragione per cui nel 1989 la distanza tra i due paesi era inferiore è esattamente la causa per cui ora l’economia italiana si trova molto peggio rispetto alla Germania. Perché in quegli anni stavamo erodendo il capitale guadagnato durante il boom economico e stavamo aumentando il debito pubblico», spiega Stagnaro.
«È come in Amici Miei – Atto IIº, quando il conte Mascetti (interpretato da Ugo Tognazzi, ndr) vive per un po’ in un hotel di lusso a Montecatini. In quel momento il conte sta meglio dei suoi amici. Il problema è quando arriva il conto. E non a caso nel film si finge fattorino per non pagare. Se all’inizio degli anni ‘90 l’Italia si è trovata in una situazione drammatica sull’orlo del default è perché si era comportata negli anni ’80 come il Conte Mascetti» Solo che ora pagano i suoi nipotini.
Forse la vivace tv commerciale che dava un po’ di colore rispetto al grigiore Rai e gli anni del “riflusso” dopo la stagione del terrorismo ci hanno fatto dimenticare che gli anni Ottanta sono stati altrettanto difficili dal punto di vista economico. Si usciva dall’austerity (quella vera) e le domeniche senza poter usare la macchina a causa della crisi petrolifera degli anni settanta e continuavano le proteste sindacali.
«È stato un decennio di ristrutturazione: gli occupati dell’industria diminuirono di circa un milione di unità, i lavoratori dipendenti calarono del 25 per cento, quindi anche il forte incremento di produttività che può apparire negli anni ‘80 in realtà è stato un incremento dovuto proprio dalla riduzione dell’occupazione», spiega Fauri.
Nel 2019 il tasso di occupazione è arrivato al 59,4%, il valore più alto registrato dall’Istat da quando ha iniziato a raccogliere i dati nel 1977. Mentre negli anni ’80 è stato in media tra il 53-54%. Cinque punti in meno.
Se allora c’erano meno occupati di oggi, nonostante la crisi economica del 2008, perché gli anni ’80 sembrano gli anni della ricchezza? «Perché il minor numero di occupati fu compensato dall’intervento pesante dello Stato italiano che si assunse il compito di alleggerire i costi sociali, attraverso l’uso della cassa integrazione e della nazionalizzazione di alcune aziende fallite. Attraverso questi escamotage è sembrato un momento di ripresa ma non si è fatto abbastanza. È un decennio di occasioni perdute in cui l’Italia ha perso il passo con la modernazzazione in settori dov’era alla avanguardia: dalla chimica all’elettronica», chiarisce Fauri.
«Prima dell’Euro la disoccupazione era più alta in Germania che in Italia», ha detto Salvini, come se fosse una moneta da sola a determinare il tasso di occupazione. Ma è davvero così come dice il segretario della Lega? No, come ha ricordato l’economista Veronica De Romanis su Twitter citando i dati Eurostat, il tasso di disoccupazione medio tra il 1991 e il 1998 (anno in cui l’Euro entrò sui mercati) in Germania era al 8,2% in Italia al 10,6%.
«La Germania degli anni ‘90 non era così entusiasta dell’Euro perché aveva una situazione complicata: lo sforzo titanico della riunificazione tra Est e Ovest. Addirittura a inizio degli anni 2000 la Germania era stata definita «il malato d’Europa», dal settimanale The Economist e nel 2003 l’economia tedesca era in recessione», spiega Stagnaro.
Grazie all’Euro, dal 1999 a oggi l’Italia ha potuto spendere meno per gli interessi, nonostante il debito sia aumentato. Una cifra pari a una finanziaria all’anno. Per venti anni in Germania hanno utilizzato questo tesoretto annuo per fare investimenti, ridurre le tasse e fare le riforme previste nell’agenda 2010 dell’allora cancelliere Gerhard Schröder. L’Italia invece ha usato questi “risparmi” per aumentare la spesa corrente e quindi il suo debito pubblico. Come negli anni ’80.